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L'ampliamento della nozione di subordinazione alla luce delle riforme sul

Le riforme delle collaborazioni coordinate e continuative del 2003 e del 2012 hanno avuto indirettamente l'effetto di ampliare i confini della subordinazione, o almeno le ipotesi in cui questa ricorre, tanto che si è parlato in dottrina di un effetto di “sovrainclusione139”operato dal legislatore.

Questa sovrainclusione era la diretta conseguenza della politica del legislatore secondo la quale laddove mancassero i requisiti richiesti dalla legge per la stipulazione di un contratto a progetto si doveva automaticamente considerare il rapporto come fraudolento e convertirlo in un rapporto subordinato.

Infatti il legislatore pur prevedendo che i contratti simulati andassero ricondotti nell'alveo della subordinazione, non prevedeva anche che le concrete modalità attraverso cui si sviluppava il rapporto fossero le stesse richieste ex art 2094 c.c., con il risultato di aumentare considerevolmente le fattispecie che la integrano.

Pertanto il tipo legale ne usciva ampliato contenendo al suo interno sia i rapporti che presentavano i tratti caratteristici ex art 2094cc, sia le collaborazioni autonome in cui il lavoratore doveva mantenere un coordinamento con le esigenze del datore qualora non fossero stati rispettati i requisiti per la stipulazione di un contratto a progetto e quindi

139 M. NOVELLA, Lavoro subordinato, lavoro a progetto, lavoro autonomo. La legge n. 92/2012, ridefinisce le fattispecie?, in Lav. Dir., III-IV, 2012, p. 578.

era intervenuto il meccanismo di presunzione.

In questo caso, al committente, non restava che dimostrare giudizialmente la natura genuinamente autonoma della prestazione, magari adducendo proprio l'alta professionalità del dipendente, facendo scattare il meccanismo dell'esclusione dalle presunzioni ex art 69 bis.

Storicamente, la subordinazione, si è sempre caratterizzata per le particolari modalità di svolgimento della prestazione. Per questo motivo in fase di accertamento era necessario analizzare il rapporto nel suo atteggiarsi in concreto ed arrivare ad una conclusione solo sulla base di come si concretizzava tale rapporto, ma l'introduzione del meccanismo di presunzione aveva creato una nuova accezione di subordinazione che poteva essere riscontrata senza analizzare la sua fase di esecuzione, ma semplicemente riscontrando la presenza di un rapporto di collaborazione che non rispettasse il requisito della necessaria menzione del progetto all'interno del contratto140.

Per ridimensionare la portata di tale tesi, parte della dottrina aveva provato a leggere l'art. 69 in chiave esclusivamente sanzionatoria, nel senso che venivano estese tutte le tutele previste in capo al collaboratore pur mantenendo la natura autonoma del rapporto e quindi restando esclusi anche tutti quei doveri che nel rapporto subordinato tradizionale sorgono in capo al lavoratore dipendente( obbligo di fedeltà e diligenza ad esempio)141

140 M. NOVELLA, Lavoro subordinato, lavoro a progetto, lavoro autonomo. La legge n. 92/2012, ridefinisce le fattispecie?, in Lav. Dir., Fasc. III-IV, 2012, p. 574

141 V. LUCIANI, Lavoro a progetto, indisponibilità del tipo contrattuale e rimodulazione delle tutele, in Riv. It. Dir. Lav., 2010, I, p. 280.

 Le collaborazioni organizzate dal committente

Durante i primi anni del nuovo millennio il diritto del lavoro si era caratterizzato dalla richiesta di maggiore flessibilità da parte delle aziende ed in questo senso si erano mosse tanto la riforma Biagi che la riforma Fornero aumentando le tipologie contrattuali a cui le imprese potevano ricorrere.

In realtà “il criterio selettivo del progetto è risultato inadeguato nonostante le riforme e le modifiche predisposte anche dalla successiva legge Fornero del 2012 perché il legislatore non ha chiarito che cosa dovesse intendersi per progetto e perciò sotto l’usbergo del progetto le forme di falso lavoro autonomo hanno continuato a esistere e a proliferare 142”.

Le riforme Biagi e Fornero avevano sicuramente contribuito ad un incremento della flessibilità all'interno delle aziende italiane con l'introduzione di nuove tipologie contrattuali che meglio rispondevano ai cambiamenti economici e produttivi del mercato, ma non avevano dato quel rilancio occupazionale auspicato.

Già la Commissione Europea nel 2007 aveva espresso l'idea secondo la quale la necessità maggiore, oltre ad incrementare la crescita economica all'interno dei vari stati membri, era quella di aumentare l'occupazione143.

Per rispondere a questa necessità il legislatore italiano nel 2015 con il decreto

142 G. Santoro Passerelli, lavoro eterorganizzato, coordinato, agile e il telelavoro: un puzzle non semplice da comporre in un'impresa in via di trasformazione, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 327/2017

143 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle regioni. COM(2007)359 def., 27 giugno 2007.

legislativo n. 81( jobs act) introduce il contratto a tutele crescenti come forma comune del contratto di lavoro subordinato, nella convinzione che, rendendo più economico tale contratto, con la previsione di un importante sgravio fiscale per i primi tre anni e sopratutto prevedendo pochissimi casi di tutela reintegratoria per i casi di licenziamenti illegittimi, ciò avrebbe favorito l'occupazione. Infatti le aziende sarebbero state più propense ad assumere ma non solo, ciò avrebbe comportato anche un minor ricorso ai rapporti atipici simulati.

Per superare le difficoltà interpretative che il progetto portava con sé e che abbiamo già esaminato in precedenza invece, il legislatore decidere di sopprimere tale forma contrattuale e di introdurne un'altra : le collaborazioni organizzate dal committente. L'art 2 del d. lgs. n.81 del 2015 al primo comma stabilisce che “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali.”

Appare subito evidente come i requisiti necessari per la fattispecie in esame sembrino coincidere con quelli delle collaborazioni ex art. 409 c.p.c. , ma in realtà ci sono delle differenze.

Per quanto riguarda il requisito della personalità della prestazione per le collaborazioni organizzate dal committente si parla di una prestazione “esclusivamente personale” che lascia intendere un impossibilità del lavoratore a farsi sostituire o ad avvalersi a sua volta di altri collaboratori, mentre nelle collaborazioni ex art 409 c.p.c. la natura della prestazione doveva essere “solo” prevalentemente personale.

Di più difficile interpretazione è invece la differenza l'organizzazione prevista per le collaborazioni organizzate dal committente e il coordinamento previsto per le vecchie collaborazioni coordinate e continuative.

Per risolvere questa questione il legislatore è intervenuto nuovamente con la legge n. 81 del 22 Maggio 2017, la quale all'art 15 dispone che “ La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa”. Per concludere possiamo quindi affermare che se dal punto di vista teorico si riesce a trovare una distinzione tra l'organizzazione e il coordinamento, ovvero la possibilità di organizzare autonomamente il proprio lavoro o meno, dal punto di vista pratico, in fase di esecuzione del rapporto, tale differenziazione può risultare di più difficile lettura, basti pensare a tutte quelle ipotesi dove nei fatti la dipendenza economica subita dal collaboratore comporta nei fatti che le modalità spazio-temporali della prestazione siano determinati dal committente e che anche il d. lgs 81 del 2015 non è riuscito a superare tutte quelle contraddizioni che caratterizzano il diritto del lavoro da ormai troppo tempo.

Considerazioni conclusive

Dopo aver analizzato il lavoro subordinato ed i vari interventi legislativi che si sono succeduti nel tempo possiamo affermare che esistono due diverse interpretazioni di questo concetto.

Da una parte troviamo la definizione tecnico-giuridica di subordinazione, incentrata sul metodo sussuntivo di qualificazione, volta a fornire degli strumenti interpretativi certi per ricondurre le diverse fattispecie di lavoro esistenti al genere lavoro subordinato.

Come abbiamo visto nel corso della nostra trattazione però, tale orientamento, deve confrontarsi con la difficoltà di trovare gli elementi essenziali validi per tutte le forme di lavoro subordinato, una difficoltà ancora più grande se si pensa al fatto che la fattispecie generale prevista dal codice prende a modello l'operaio di fabbrica, un modello ormai obsoleto e che non si concilia con le trasformazioni avvenute all'interno del mercato del lavoro.

La seconda interpretazione prende atto di tale trasformazione del mercato del lavoro e, infatti, è per questo che i sostenitori di questa tesi hanno sviluppato un metodo qualificatorio più flessibile che punta all'individuazione di più indici presuntivi sui quali fondare l'assimilazione al “tipo normativo” lavoratore subordinato.

Questa diversa impostazione non si limita a verificare che siano presenti le caratteristiche tecniche-giuridiche previste dal codice per qualificare il rapporto come

subordinato, ma cerca di verificare l'effettivo status socio-economico del lavoratore per ricondurre sotto l'area della tutela forte anche quei lavoratori che si trovano in condizioni simili a quelle del dipendente ma che sulla base di una definizione tecnico- giuridica non rientrerebbero in tale fattispecie.

La prima interpretazione è mossa da una necessità di certezza del diritto e quindi chiede una maggiore rigidità per la qualificazione del rapporto, la seconda è mossa invece da un bisogno di coerenza del sistema e mira ad evitare che vi siano trattamenti ingiustificatamente diversi per posizioni sostanzialmente simili.

Il legislatore a partire dagli anni 2000 sembra aver preso dei provvedimenti di compromesso tra queste due tendenze apparentemente contrastanti non riuscendo però ad ottenere grandi risultati in termini di contrasto all'uso illegittimo di contratti atipici, occupazione, certezza giudiziale o coerenza di sistema.

A ben vedere in realtà queste due esigenze non sono necessariamente inconciliabili, infatti qualora si riformulasse l'art 2094 estendendo l'area coperta dalla tutela, si potrebbe evitare che la rigidità della fattispecie astratta impedisca a tutte quelle situazioni di confine meritevoli di tutela di restare escluse.

In questa prospettiva, attraverso una riformulazione in senso espansivo degli elementi necessari per la qualificazione in lavoro subordinato della prestazione, si potrebbe arrivare a conciliare le due esigenze di certezza del diritto, non dovendo più ricorrere ad interpretazioni giurisprudenziali per ricomprendere anche quei rapporti di confine, e di coerenza rispetto alle finalità della tutela.

Proseguendo questa strada a questo punto il problema da risolvere sarebbe capire quale sia il punto di equilibrio tra l'estensione dell'area della tutela e il contenuto della disciplina applicabile, perché estendere la disciplina protettiva a tutti senza pensare ad un ridimensionamento della tutela significherebbe non tener conto della sostenibilità

economica della riforma e quindi incentivare il ricorso a fenomeni come il lavoro nero. In questo caso infatti il rischio è che un eccessivo aumento delle ipotesi coperte dalla tutela, senza pensare ad un ridimensionamento dei costi, possa spingere il datore di lavoro a ricorrere a escamotages per eludere la disciplina.

Allo stesso modo invece estendere illimitatamente la tutela riducendone però in modo sproporzionato le garanzie ad essa assegnata svuoterebbe di significato il concetto di lavoratore dipendente, infatti in questo caso nonostante il lavoratore venga qualificato come dipendente, si vedrebbe applicare una disciplina protettiva debole che nei fatti lo lascerebbe sottoprotetto anche in quanto lavoratore subordinato.

Senza arrivare a stravolgere la disciplina di tutela una soluzione potrebbe essere, oltre ad uno sgravio degli oneri fiscali per il datore, quella di prevedere elementi di flessibilità in entrata, come previsto anche con l'ipotesi del contratto a tutele crescenti in base all'anzianità di servizio, sia in uscita, limitando le ipotesi di possibilità di reintegra in tema di recesso, ed è in questo senso che sono state realizzate le ultime riforme, anche se non in maniera soddisfacente visto che hanno continuato a prevedere ipotesi che restano al di fuori di questa disciplina.

Per realizzare questa ipotesi però, è necessario che venga rimessa in discussione la tradizionale disciplina applicabile alla subordinazione, tenendo a mente la differenza tra obbiettivi e strumenti di tutela infatti, si può perfettamente comprendere come l'eliminazione di alcuni di questi strumenti non comprometta necessariamente la possibilità di realizzarne gli obiettivi, che restano la cosa più importante e possono essere raggiunti in maniera diversa tenendo conto del cambiamento del sistema produttivo.

senza aggravare troppo l'onerosità delle prestazioni per i datori, creando una disciplina più coerente e allo stesso tempo più “certa” offrendo una soluzione capace di ricomprendere al suo interno anche tutte le nuove forme di collaborazione che il mutamento del sistema produttivo ha prodotto e continuerà a produrre.

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