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Metodo tipologico e metodo sussuntivo

Una volta individuati gli indici di subordinazione, il dibattito si sposta sul metodo che il giudice dovrà applicare di volta in volta nella qualificazione della fattispecie.

Secondo i sostenitori del metodo tipologico è sufficiente, per considerare il rapporto subordinato, che la fattispecie concreta oltrepassi una certa soglia di somiglianza alla fattispecie descritta dal codice, e ciò si verifica quando degli indici di subordinazione ne siano presenti tanti da far prevalere il tipo lavoro subordinato rispetto a quello autonomo55.

Per i sostenitori del metodo sussuntivo invece la maggiore somiglianza ad un rapporto subordinato che ad uno autonomo non basta, infatti, per poter parlare di subordinazione è necessario che il caso concreto risulti in tutti i suoi elementi perfettamente assimilabile alla fattispecie astratta.

I sostenitori del metodo sussuntivo sono spinti anche da un tentativo di arginare la tendenza espansiva della subordinazione rendendo più severa la qualificazione del rapporto subordinato.

La tendenza espansiva viene vista come il principale fattore di crisi del concetto di subordinazione infatti avendo esteso i confini della fattispecie ha contribuito alla creazione delle cosiddette zone grigie: infatti se ad esempio il riferimento all'inserimento nell'impresa non fosse stato superato dalla legge sul lavoro domestico,

tale elemento avrebbe una buona capacità di tenuta e varrebbe da criterio distintivo. L'espansione dei casi concreti ha contributo all'impossibilità di far coincidere completamente tali casi con la fattispecie astratta.

Per questo di pari passo al fenomeno dell'espansione va la scelta di utilizzare il metodo tipologico al posto di quello sussuntivo: se i moltiplicarsi delle fattispecie concrete, considerato anche il mutare dei tempi e dei rapporti lavorativi, non possono coincidere perfettamente con la fattispecie del codice, l'unica soluzione è quella di ridurre l'operazione qualificatoria ad un giudizio di approssimazione dove viene valutata la prevalenza degli indici o la mancanza di essi.

I fautori del metodo sussuntivo sono spinti da un'esigenza di certezza del diritto che non ammette “zone grige”, questo li porta ad agire con una mentalità conservatrice e a riportare la fattispecie concreta nei “concetti56” definitori fissati dal codice per i diversi tipi contrattuali.

Secondo loro il processo di qualificazione non può che avvenire con il tradizionale metodo sussuntivo che allo stesso tempo dà certezza del diritto e argina il fenomeno della tendenza espansiva della subordinazione.

D'altra parte l'art 2094 del codice è certamente un articolo pensato per i modelli organizzativi del lavoro del dopoguerra ed è intuitivo ritenere che questi non possano aver tenuto conto delle trasformazioni avvenute nel tempo al diritto del lavoro.

Il metodo tipologico invece recupera gli elementi delle ipotesi storicizzate alle quali si richiama anche la teoria “socio-economica” di subordinazione, ma non più per tentare di ridefinire la fattispecie astratta, bensì per individuare la presenza di questi e farli valere come indici che possono essere utilizzati dal giudice per determinare la maggiore o minore somiglianza del caso concreto preso in esame alla fattispecie

delineata dal codice.

Se per il concetto generale astratto è necessario individuare tutti gli elementi comuni al gruppo attraverso un processo di astrazione generalizzante, i tratti caratterizzanti il tipo non “costituiscono un numero chiuso, e possono anche in parte mancare, senza che per questo si esca necessariamente dal tipo57”.

Il lavoro di tipo subordinato dovrebbe quindi essere rilevato attraverso questo metodo che permette di determinare, in base alla maggiore o minore intensità in cui si trovano queste caratteristiche tipizzanti, il caso concreto.

Questo metodo permette inoltre di superare il problema dell'arretratezza del dettato del codice rispetto all'evoluto mondo del lavoro, risolvendo quelle situazioni in cui ci si trovi effettivamente di fronte ad un rapporto subordinato che però non coincide esattamente con la fattispecie astratta e che il datore utilizza per evitare le garanzie previste per i dipendenti.

Un ulteriore contributo alla teoria del metodo tipologico ci è data da uno studio di Luca Nogler58, il quale trovando sostegno dagli studi svolti da Carlo Beduschi in

Tipicità e diritto sui procedimenti di tipizzazione, arriva a formulare la teoria del cosiddetto metodo tipologico funzionale.

Egli è convinto che il tipo è uno schema di pensiero che raggruppa una serie indefinita di oggetti o concetti selezionandoli per la loro capacità di svolgere una determinata funzione.59

Partendo da questo assunto egli sostituisce al principio d'identità, tipico del giudizio analitico del metodo sussuntivo, il principio di equivalenza il quale permette di riconoscere quegli aspetti che, seppur diversi tra di loro, risultano tutti coordinati

57 ibidem

58 L. Nogler, Metodo tipologico e qualificazione dei rapporti di lavoro subordinato, in Riv. it. Dir. Lav., p.210 e ss., 1990, I.

funzionalmente.

In questo contesto la parola funzione riesce a esprimere l'idea di come questi caratteri, nel caso del lavoro subordinato indici di subordinazione, siano tutti legati l'uno all'altro con un unico compito da svolgere.

Considerando questi caratteri sulla base del loro nesso funzionale si riesce anche ad inserirli in un contesto più ampio dove: la presenza di ciascuno trovi giustificazione come aspetto particolare, cioè come alcunché di distinto ma non di estraneo, proprio come la parte rispetto all'intero.60

In sostanza, secondo questo modello, nella qualificazione del rapporto di lavoro ci si dovrebbe basare più che su la contemporanea presenza di tutti quegli aspetti che il dettato del codice prevede, sul rapporto di lavoro, ovvero nel suo effettivo svolgimento, considerando tutti gli indici come una serie di caratteri che l'esperienza ha saputo elaborare e che sono tutti funzionalmente collegati a riconoscere la presenza del vincolo di subordinazione.

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