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Attraverso l’esperienza concreta di tirocinio, svolta nel Comune di Viareggio, ho avuto modo di approfondire le mie conoscenze riguardo la Tutela Minorile, che si occupa di minori che si trovano in situazioni familiari pregiudizievoli per la loro crescita, i cui genitori per diversi motivi legati all’abuso di sostanze, maltrattamenti, trascuratezza, alta conflittualità e incapacità nella gestione del figlio non possono esercitare la responsabilità genitoriale. La tutela favorisce quindi il rispetto dei loro diritti ed il recupero delle risorse educative familiari, qualora sia possibile.

Attraverso l’analisi di un caso, riferito all’affidamento familiare, ho voluto mettere in risalto alcuni aspetti salienti che riguardano l’operato delle figure professionali in azione, le metodologie tecniche e relazionali utilizzate e in particolar modo il coinvolgimento del minore oggetto dell’affido, della famiglia naturale e della famiglia affidataria.

X, y, z sono tre fratellini, nati da tre padri diversi. L’identità del padre di X non è conosciuta, il padre di Y ha fatto il riconoscimento tardivo e dai colloqui effettuati, pare abbia avuto comunque contatti con il figlio quando era molto piccolo, infine Z è riconosciuta dal padre, che però è stato cacciato da casa perché pare abusasse di sostanze stupefacenti. Anche se ad un colloquio, la nonna materna dei tre fratellini che abita con il marito, agli arresti domiciliari, insieme alla figlia e ai nipotini, riferisce di ripetuti incontri del padre con la piccola Z. Già da questa presentazione iniziale del caso si capisce che c’è una situazione familiare molto instabile e ambigua, dove la figura

43 paterna, è poco rilevante e spesso assente nella vita dei tre bimbi. Il nucleo familiare è conosciuto dal servizio sociale già da molti anni per interventi di natura assistenziale, educativa ed economica. L’intervento di tutela si apre sulla base di una serie di segnalazioni pervenute al Servizio da alcuni vicini di casa, che riferiscono di aver sentito spesso i bimbi piangere, di aver visto un via vai di gente che si tratteneva fino a tarda notte, di aver notato a volte i bimbi in giro da soli per il quartiere senza nessun riferimento, senza nessun limite di orario, con abbigliamento inadeguato. Numerose sono anche le segnalazioni da parte della scuola, che riguardano la scarsa igiene dei bimbi, difficoltà a rapportarsi e frequenza poco regolare.

L’assistente sociale con il consenso della famiglia, si attiva dunque autonomamente raccogliendo le informazioni necessarie per realizzare un progetto di intervento e porre in essere tutte quelle attività e iniziative che ritiene utili a favore dei minori e del nucleo familiare. Attraverso visite domiciliari e colloqui con la madre e la nonna, è emersa una chiara inadeguatezza nella gestione dei bimbi, le loro condizioni di vita appaiono problematiche per il contesto di promiscuità in cui vivono, per la scarsità di condizioni igieniche e soprattutto per la non presa di coscienza da parte della madre riguardo la situazione sanitaria dei bimbi. X infatti è certificata60e non segue la terapia con continuità, Y dovrebbe essere certificato, ma la madre si è sempre rifiutata. Dai colloqui la madre attribuiva la colpa della frequenza discontinua alla mancanza dei mezzi di trasporto e problemi di organizzazione familiare, ma era evidente che sottovalutasse l’importanza della terapia.

Parte così la segnalazione del Servizio Sociale di Viareggio al P.M. , destinatario unico di tutte le segnalazione riguardante i minorenni. Il Servizio porta dunque a conoscenza dell'autorità giudiziaria una situazione di pregiudizio per i tre fratellini, ossia una situazione di grave trascuratezza dei minori in cui la potestà genitoriale è male esercitata. La Procura minorile da mandato al Servizio di svolgere un’approfondita indagine psicosociale, da cui conseguirà la richiesta con ricorso al T.M. di pronunciare la limitazione delle responsabilità genitoriali. Il T.M. prima di pronunciarsi con decreto, convoca i diretti interessati in udienza, chiede al Servizio di raccogliere ulteriori informazioni e di continuare ad aggiornarlo. La situazione comunque non cambia,

60 L. 5 febbraio 1992, n. 104, “Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle

44 perché Y non viene certificato e non può usufruire del sostegno scolastico di cui avrebbe bisogno, in generale i bimbi vengono trascurati e vengono esposti a situazioni rischiose per la loro integrità psicologica e la madre, continua a non essere consapevole di questa situazione di pregiudizio per i suoi figli e tutto il nucleo familiare non è per niente collaborativo.

Arriva dunque il decreto che prevede la limitazione della responsabilità genitoriale e l’affido di X,Y e Z al servizio sociale per controllo, sostegno e ogni intervento ritenuto necessario.

L’assistente sociale realizza il progetto d’intervento, che prevede: il servizio di educativa domiciliare, la certificazione di Y, l’inserimento dei bimbi presso un centro diurno, la presa in carico dell’UFSMIA di X per i necessari interventi di sostegno psicologico, la presa in carico dell’UFSMA della madre per quanto riguardava la valutazione psicodiagnostica e le capacità genitoriali, l’inserimento della piccola Z al nido e la collaborazione della madre.

L’attivazione dell’educativa avrebbe avuto lo scopo di individuare strategie per creare un sistema famiglia quasi inesistente, dove le regole sono poco presenti, ogni componente della famiglia vive nella propria dimensione non condividendo con gli altri momenti importanti per i bambini, come il gioco, il pranzo, lo stare insieme, dove l’affettività non emerge. Ma questo intervento purtroppo non ha portato cambiamenti, anche perché dal primo momento in cui l’educatrice si recava a casa della famiglia per osservare la situazione non è mai stata vissuta come parte integrante di quanto accadeva, ma come osservatrice esterna e risolutrice di problemi. Come anche gli altri interventi, ad esempio l’inserimento in centro diurno, da una parte, avrebbe permesso ai fratellini di vivere una situazione di socializzazione con altri bimbi coetanei, di rapportarsi con figure adulte come gli educatori, che svolgono un ruolo molto importante, sono il loro punto di riferimento, li ascoltano, li riprendono quando sbagliano. Dall’altra, avrebbe permesso alla madre di lavorare molto su stessa, sui bisogni dei loro figli e di attivarsi con l’aiuto dei servizi specialistici.

Ma la piccola X continuava a saltare gli incontri con la neuropsichiatra, Y non aveva le cure sanitarie di cui necessitava, i bimbi erano igienicamente e affettivamente trascurati, e la mamma continuava a non seguire nessuna indicazione.

Durante gli anni l’A.S. ha continuato ad aggiornare il T.M. con le relazioni e le valutazioni delle figure specialistiche che si sono attivate in questo progetto, quali la scuola, l’educativa domiciliare, la neuropsichiatria infantile, gli operatori del centro

45 diurno, la psicologia. Nel contenuto delle relazioni emergevano forti preoccupazioni per X,Y e Z, in quanto mancava la collaborazione di tutto il nucleo familiare che non riusciva a comprendere la gravità delle condizioni e dello stile di vita del tutto inadeguato dei bimbi.

Per tale motivo l’A.S. decide di richiedere al T.M. un intervento urgente di far decadere la responsabilità genitoriale e di allontanare i minori dal nucleo familiare e collocarli presso una comunità familiare, in attesa di elaborare un progetto di affidamento etero- familiare.

Nella ricerca della famiglia affidataria è intervenuto il Centro Affidi del Comune di Viareggio, in cui lavora un’equipe formata da un’assistente sociale, un educatore e uno psicologo.

Il Centro Affidi tiene una banca dati degli affidatari e attraverso corsi di formazione e informazione, volti a conoscersi e a farsi conoscere, valuta insieme ai potenziali affidatari se l’affidamento è adatto alla loro situazione e a quella dei bambini che in quel momento sono in stato di bisogno. Inoltre attraverso il progetto “Azioni di sostegno e di supporto alle famiglie affidatarie: se ti sostengo mi sostieni” l’istituto è stato rafforzato, attivando azioni di sostegno alle famiglie affidatarie, l’educativa domiciliare e la formazione degli operatori sui temi dell’affidamento familiare e dell’affido a rischio giuridico.

La famiglia affidataria scelta per i tre fratellini, è una famiglia che in passato ha già compiuto una positiva e significativa esperienza di accoglienza. Fanno parte della Comunità di Papa Giovanni XXIII e desiderano costituirsi come struttura di accoglienza.

Considerazioni:

Il mio lavoro di osservazione è cominciato quando il centro affidi aveva già reperito la famiglia affidataria e la famiglia di origine era stata invitata al colloquio per parlare del provvedimento che sarebbe arrivato da lì a poco. Prima che arrivassero la madre dei piccoli e la nonna, ci fu un momento di confronto tra l’assistente sociale e l’educatrice di riferimento che seguiva il nucleo già da parecchi anni. Ovviamente non era semplice dire alla madre che avrebbe dovuto lasciare i suoi figli, in particolar modo non lo era, perché negli anni, sia per una chiusura nei confronti del servizio, sia per limitazioni mentali, non ha mai raggiunto consapevolezze rispetto alla sua incapacità di gestione dei bimbi e dei rischi che questi ultimi correvano. Durante il confronto ci fu uno

46 scambio di pensieri e di aspettative su come avrebbero reagito la mamma e la nonna alla notizia e mi prepararono sul caso, di cui avevo precedentemente letto le relazioni, raccontandomi i momenti più salienti che hanno caratterizzato la storia di vita dei bimbi. Ricordo di aver provato una certa preoccupazione per la loro probabile reazione e dispiacere, perché, dimenticando per un attimo il vissuto di questa famiglia e tutto quello che di negativo la contraddistingue, stavamo per comunicare a una madre che avremmo allontanato i suoi figli, cresciuti e voluti bene secondo il suo modo di vivere. Da questo colloquio e da tanti altri effettuati ho capito infatti che l’assistente sociale che si occupa dei minori non deve perdere di vista il focus centrale del suo lavoro, cioè il benessere e la tutela dei minori che ha in carico. Dove il termine tutela non è solo separare, ma lavorare in collaborazione con la famiglia di origine perché la riunificazione (perlomeno affettiva) del nucleo familiare diventi possibile.

Arrivate in ufficio le invitammo a sedersi. La mia tutor mi presentò come la sua tirocinante chiedendo loro se la mia presenza non fosse gradita, non tutti gli utenti gradiscono l’intrusione di una persona esterna e sconosciuta, potrebbero irrigidirsi e non essere del tutto sinceri nelle risposte date all’assistente sociale.

Apparivano molto tese. Chiarito il motivo dell’incontro l’A.S richiedeva la loro collaborazione, in particolare, la possibilità di effettuare degli incontri finalizzati a preparare i bambini nell’ambito del progetto dell’affido, e successivamente un incontro di conoscenza con la coppia affidataria. A tale proposta assunsero un atteggiamento di totale chiusura, non comprendendo per l’ennesima volta i motivi per cui il T.M. aveva deciso di intraprendere il progetto di affido, minacciando che avrebbero portato via i bambini prima dell’arrivo del provvedimento.

Il colloquio si concluse comunque fissando l’appuntamento presso lo Spazio Neutro di Viareggio.

Incontro che non avvenne, come ci si aspettava, perché né la madre né i minori si presentarono.

Venne convocato a colloquio anche il padre di Y, che non si presentò e inoltre l’ultimo incontro risaliva a molti mesi fa.

Dopo circa due settimane arrivò il decreto che disponeva la collocazione immediata dei tre fratelli presso la famiglia affidataria reperita dal centro affidi. Il T.M. dava mandato al servizio sociale di organizzare gli incontri protetti tra la mamma e suoi figli e con i parenti che ne avrebbero fatto richiesta, di proseguire con la presa in carico della madre

47 per sostegno psicologico e alla genitorialità, e presa in carico dei bambini per un supporto psicologico durante l’affido.

L’arrivo del provvedimento, se da una parte sollevava l’assistente sociale e l’educatrice, dall’altra destava preoccupazioni. Le preoccupazioni derivavano dal fatto che la madre e la nonna non avrebbero mai agevolato il trasferimento dei bimbi, anzi lo avrebbero ostacolato e reso ancora più traumatico e doloroso. L’assistente sociale e l’educatrice decisero quindi di prenderli presso i rispettivi istituti scolastici, con la scorta dei vigili urbani in borghese, e comunicare nel frattempo alla madre dell’arrivo del decreto e della sua attuazione tempestiva.

Il collocamento dei bimbi in famiglia affidataria non fu per niente semplice, perché la madre e il padre di Y, dopo aver appreso del trasferimento, manifestarono comprensibilmente il loro malessere tempestando di chiamate l’assistente sociale e minacciandola con parole molto forti.

Trasferiti i bimbi dalla famiglia affidataria, l’assistente sociale e l’educatrice si trattennero fin quando la situazione non si stabilizzò. Il giorno dopo andammo a fargli visita. Era una coppia molto semplice e unita e trasmettevano grande serenità. Era la prima volta che vedevo X, Y e Z. X era molto silenziosa, Y e Z erano invece iperattivi. Ovviamente chiesero della loro mamma e di quando sarebbero tornati a casa, ma subito dopo erano facilmente distratti dalla voglia di farci vedere la loro nuova camera, la stanza dei giochi, e di raccontarci di come avevano passato il pomeriggio e la notte. Non era stata una nottata tranquilla, in quanto già dalle prime ore di permanenza, Y manifestava il suo disagio e la paura di dormire da solo.

Come dice il decreto, l’assistente sociale ha la facoltà di prendere decisioni in materia scolastica e sanitaria. A questo proposito, confrontandosi con le insegnanti e con l’educatrice, si decise per il cambio di Istituto. Questa scelta avrebbe dato ai tre fratellini l’opportunità di sperimentare un contesto scolastico diverso dal precedente, caratterizzato in particolar modo per X, da prese in giro per il modo in cui andava vestita (a volte capitava che non avendo vestiti puliti della sua misura, indossava ciò che trovava a casa e anche di misure più grandi) e continue offese per la scarsa igiene. Sono stati fatti tutti i passaggi dovuti, quindi: colloquio con la dirigente del vecchio istituto, del nuovo istituto, e all’arrivo del nullaosta ci siamo recate nuovamente nel nuovo istituto per la consegna dell’iscrizione.

In quest'occasione abbiamo avuto modo di incontrare la mamma affidataria che esprimeva forti preoccupazioni per Y e la sua paura di dormire da solo, tanto da farlo

48 stare male fisicamente. Diciamo che con il passar del tempo in tutti e tre i minori si stavano manifestando diverse problematiche, emotive e comportamentali, derivate dal contesto di vita in cui hanno vissuto.

Prima che finissi quest’esperienza sono riuscita a partecipare al colloquio di aggiornamento in cui erano presenti la madre, il padre di Y, la nonna materna e il nonno materno, quest’ultimo mai visto dai servizi sociali.

In quell’occasione si discusse degli incontri da fissare per riprendere i rapporti dei tre fratellini con la famiglia di origine.

La madre dei piccoli e la nonna apparivano molto più aperte al dialogo e collaborative rispetto all’ultima volta. Chiedevano notizie dei bimbi, se riuscissero a dormire, se cercassero la madre. Dissero che avrebbero fatto di tutto per tornare a vedere i loro piccoli in casa a giocare. Un cambio di atteggiamento che non ci aspettavamo, che poneva le basi per l’inizio di un dialogo e una collaborazione per l’esclusivo benessere dei tre fratellini.

In questa storia di affido emerge chiaramente la riflessione del disagio familiare fondato non sul maltrattamento o l’abuso ma sulla trascuratezza e l’incompetenza genitoriale di una famiglia deviante. Una devianza legata all’isolamento sociale, alla mancanza di reti sicure, alla debolezza culturale e alla vulnerabilità psicologica della madre. Tutto questo ha segnato profondamente il vissuto dei tre fratellini, il cui benessere psico-fisico è stato messo più volte a dura prova.

Incisivo è stato il cambio di prospettiva della famiglia di origine. Inizialmente arrabbiati e scontrosi con l’assistente sociale per aver preso la decisione dell’affido e in un secondo tempo collaborativi e fiduciosi circa la possibilità di incontrarli.

E’ stato di grande importanza il lavoro congiunto tra il Centro Affidi, che ha reperito la famiglia affidataria adeguata alla situazione dei bambini, seguendola per tutto il progetto e il Servizio Sociale che continua a seguire la famiglia di origine dei bambini in affidamento per riattivare le competenze genitoriali e familiari.

Quando entra un bambino affidato in una famiglia, l’impegno è complesso, nasce quindi l’importanza di un lavoro di rete tra associazioni, famiglie, professionisti, istituzioni. Di grande importanza è stato il lavoro integrato con altre figure professionali e servizi (ad esempio il Servizio di Neuropsichiatria Infantile, Educatori, Psicologi dell’UFSMIA) per realizzare e rinforzare gli interventi e rispondere a tutte le sfere del bisogno sia del minore sia della sua famiglia.

49 D’altronde la buona riuscita di un affido dipende dall’interazione che s'instaura tra i diversi soggetti coinvolti. Un’interazione che deve essere proiettata alla costruzione di progetti creati su misura, sulle differenti situazioni, che possa partire dal presupposto di una buona cooperazione e confronto tra i diversi professionisti, i quali ulteriormente si adopereranno per sostenere i vissuti emotivi, le storie e la relazione delle famiglie affidatarie e naturali e del minore stesso.