• Non ci sono risultati.

La famiglia affidataria: tra continuità affettiva e doppia

Il tema della continuità e dell’appartenenza rappresenta un aspetto molto interessante, per varie ragioni. Innanzitutto perché chiama in causa la qualità degli investimenti affettivi che un minore è messo in condizione di fare; in secondo luogo ci chiede di riflettere su quali significati abbia per un bambino crescere avendo due famiglie e su quali rapporti deve stabilire con ciascuna.

“Come ben sappiamo nell’affido, l’originaria appartenenza del minore non può essere eliminata e sostituita, ma semmai integrata con quella nuova”91.

Il bambino allontanato dalla propria famiglia non ha soltanto il bisogno di essere educato, mantenuto ed istruito (art. 30 costituzione), egli deve essere sostenuto ad elaborare la separazione dai propri genitori attraverso interventi specifici che lo aiutino

91 Cam, Centro ausiliario per i problemi minorili (a cura di), Nuove sfide per l’affido. teorie e prassi, Franco Angeli, Milano, 2012, p. 68.

72 a comprenderne la propria storia e ad accettare quanto avvenuto, ha bisogno di curare e custodire legami affettivi indispensabili per la sua crescita e sviluppo.

La famiglia affidataria è chiamata ad accogliere un “non familiare” all’interno della propria casa e deve far fronte ai bisogni del nuovo arrivato come se fosse un figlio proprio, deve cercare di valorizzare il più possibile tutta la sua storia e di proteggere tutti i legami che ha.

A tal proposito Schofield e Beek nel loro libro “Adozione, Affido, Accoglienza. L’attaccamento al centro delle relazioni familiari”, scrivono: “In una società basata sulla famiglia, un bambino privo di legami familiari stretti può essere portatore di profondi vissuti di disperazione psicologica e sociale. Al contrario, la certezza di una appartenenza familiare incondizionata offre ancoraggio e rassicurazione di poter avere un sostegno concreto ed emotivo per tutto il corso della vita. Questo agisce come una base di sicurezza psicosociale che favorisce l’esplorazione e lo sviluppo personale”92.

Da quanto detto è importante che si consenta al bambino di costruire un forte senso di appartenenza al nucleo che lo accoglie, condizione per esplorare e vivere in modo più sicuro le relazioni con la sua famiglia di origine. Si dovrà quindi lavorare per favorire la costruzione di legami di appartenenza tra minore e affidatari. Si tratta di incoraggiare il minore e gli affidatari ad investire reciprocamente a sentirsi famiglia, avendo aspettative realistiche e senza rimuovere l’esistenza della famiglia d’origine.

La famiglia affidataria è da considerarsi in appoggio alla famiglia di origine: McHale parla di co-genitorialità, riferendosi al senso più ampio del termine ovvero alla coordinazione e al sostegno fra adulti responsabili della cura e dell’allevamento dei figli93.

La realtà è ben diversa. Succede che la doppia appartenenza, il continuo confronto tra le due famiglie e i contesti familiari, sociali e culturali differenti provochino al bambino confusione nel definire l’identità di sé e come figlio. Se consideriamo inoltre che la maggior parte degli affidi supera di gran lunga la durata dei due anni, ci rendiamo conto che, se da un lato è senz’altro possibile e positivo mantenere una pluralità di legami e di

92

Schofield G., Beek M., Edizione italiana Ongari B. (a cura di), Adozione, Affido, Accoglienza.

L’attaccamento al centro delle relazioni familiari, Raffaello Cortina, Milano, 2013, p. 309.

93 Kuestern-Hogan R., Cos’è la co-genitorialità e perché è così importante, in McHale J. P., La sfida

73 appartenenze, dall’altro non si deve perdere di vista che questi legami non possono collocarsi su uno stesso livello di significatività94.

Nelle linee guida95 si precisa a questo proposito come nel corso dell’affidamento

familiare, a seconda delle situazioni, dei contesti, delle fasi del progetto, si possano avere livelli diversi di riunificazione familiare e di senso di appartenenza.

Marco Chistolini nel suo volume “Affido sine die e tutela dei minori. Cause, effetti e gestione” parla di “gerarchizzazione degli affetti”, riferendosi alla relazione “monotropica” di Bowlby, ovvero caratterizzata dalla tendenza ad instaurare un legame affettivo privilegiato con una figura specifica che “…offra cure continuative e costanti e… sia percepito dal bambino come più forte e più saggio”96, più capace di fornire

protezione e sicurezza. In altre parole, bisogna aver chiaro che per creare nuovi legami di appartenenza si deve, necessariamente, disinvestire in parte da quelli creati in precedenza e che il senso di appartenenza si organizzi in modo gerarchico.

Tengo a precisare che secondo me questo tipo di prospettiva può essere applicata solo negli affidi sine-die, ovvero quegli affidi apparentemente temporanei ma che in realtà durano anni perché il recupero della famiglia non è del tutto realizzabile o viceversa del tutto inattuabile. “Quindi nella gestione dell’affido prima di tutto verrà data priorità alle esigenze della famiglia affidataria in quanto reale e attuale famiglia del minore, in secondo luogo la frequenza e le modalità con cui il minore mantiene rapporti con la famiglia di origine verranno stabilite con l’obiettivo di aiutare il bambino a radicarsi nella nuova famiglia e a costruire nei confronti della stessa un forte senso di appartenenza e attaccamento”97.

Ritengo molto importante la dimensione informativa ed esplicativa nell’esperienza di affido.

Alberto Penna nel suo articolo “Curare i bambini tramite le relazioni” in Nuove sfide per l’affido, dice:

94

Chistolini M., I legami dei bambini adottati in forme aperte e in affido sine die con i genitori:

alcune note psicologiche, in “MinoriGiustizia” 4/2014, pp. 50-63, DOI: 10.3280/MG2014-004006.

95 Linee Guida Nazionali per l’affidamento familiare , Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2012, p. 19.

96 Attili G., Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente. Normalità, patologia, terapia, Raffaello Cortina, Milano, 2007, p. 39.

97

Chistolini M., Affido sine die e tutela dei minori. Cause, effetti e gestione, Franco Angeli, Milano, 2015, p. 124.

74 “È un dovere civile informare un bambino su quanto accade a lui e alla sua famiglia”98.

Per un bambino che sperimenta un’esperienza altamente stressante come l’affido, caratterizzata da processi di separazione e attaccamenti, è essenziale essere sostenuto da un’équipe multi professionale, in un percorso di riflessione sulle informazioni ricevute e dare senso a ciò che è stato vissuto.

Anche Chistolini, in un recente articolo su Terapia Familiare, trattando il tema dell’informazione, illustra le difficoltà in cui possono incorrere gli operatori e le strategie per poterle affrontare. Dice che, oltre a comunicare un’informazione corretta, l’operatore deve mitigare le paure del bambino e deve essere in assoluto convinto che la decisione presa sia quella più utile, altrimenti le sue argomentazioni saranno poco efficaci99.

Fare un affido significa attivare un’esperienza che inciderà profondamente le relazioni instaurate tra tutti i protagonisti del sistema allargato: minore, famiglia d’origine, famiglia affidataria e servizi.

Anche nell’ipotesi in cui il minore faccia rientro nella famiglia di origine, la relazione socio-affettiva maturata nel tempo (breve o lungo che sia) con la famiglia affidataria verrà salvaguardata, in quanto costituisce una risorsa importante che ha contribuito a formare la personalità del bambino.

“Come nel progettare l’affido devono essere individuati per tempo gli spazi di relazione tra il bambino e i suoi genitori d’origine, così nel progettarne la conclusione è importante prevedere in che modi saranno mantenuti i rapporti tra il bambino e la famiglia affidataria dopo la separazione”100.

La legge n. 173 del 2015 rafforza questo concetto, riconoscendo “che i tagli fanno soffrire, che le brusche interruzioni sono inaccettabili, che ostacolare le affezioni è sbagliato”101.

Alla luce di questa prospettiva inoltre la legge ammette che possa esservi un “prolungato periodo di affidamento”, nel corso del quale la difficoltà (evidentemente non temporanea) della famiglia d’origine si trasformi in vero e proprio stato di abbandono. In tal caso la famiglia affidataria potrà chiedere l’adozione del minore102.

98 Cam, Nuove sfide per l’affido. teorie e prassi, p. 84. 99

Ibidem, p. 85. 100

Ibidem, p. 70. 101

Dante Ghezzi - Centro TIAMA, Scuola Mara Selvini, 2017.

102 Dogliotti M., Modifiche alla disciplina dell’affidamento familiare, positive e condivisibili,

75 Il concetto è molto semplice: il Tribunale dei Minori, sia nel caso in cui il minore ritorni

nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad un’altra famiglia o sia dichiarato in stato di abbandono e adottato da altra famiglia, ha il dovere di tenere conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria. A tal fine, dovrà essere obbligatoriamente acquisito il parere dei servizi sociali che continuano le attività di verifiche e monitoraggio.

Una continuità che a mio parere dovrebbe essere naturale.

Quando la famiglia affidataria decide di intraprendere questa esperienza, deve essere consapevole che può e deve costituire un riferimento per il bambino, che è stato da loro accolto, protetto e accudito e che nutrirà a sua volta l’attesa di trovare in quella stessa famiglia protezione e conforto.

4. Verso un modello di collaborazione tra le reti di famiglie affidatarie e il