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Le funzioni dell’assistente sociale nel progetto di affido

Ritengo utile ai fine di questa trattazione, riportare brevemente le disposizioni legislative nazionali e regionali di riferimento con cui si confronta costantemente l’assistente sociale nell’ambito della Tutela Minorile.

Trova il fondamento del suo operato nella Legge 184/83 “ Il diritto del minore di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia” riformata dalla Legge 149/2001 che ha effettuato un capovolgimento di prospettiva ponendo in primo piano l’interesse del minore abbandonato e il suo diritto ad avere una famiglia, il cui attuale titolo è “ il diritto del minore ad una famiglia”. La legge sancisce che qualora la famiglia di origine non riesca a garantire il concreto diritto del minore ad essere cresciuto ed educato in maniera adeguata, lo stesso venga affidato in maniera temporanea o definitiva ad una famiglia. Solo nei casi di affidamento possono proporsi anche persone singole. Inoltre nel periodo in cui il minore sarà affidato, la sua famiglia di origine sarà supportata a superare il momento temporaneo di difficoltà.

 L. 328/2000 - “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di

interventi e servizi sociali”: questa legge è il tentativo di uniformare, su tutto il territorio nazionale, l’intervento dei servizi sociali, apportando una serie di novità e ridefinendo il profilo delle politiche d’intervento in questo campo;  Legge Regionale Toscana 41/2005 - “Sistema integrato di interventi e servizi per

la tutela dei diritti di cittadinanza sociale”: con questa legge la Regione Toscana disciplina il sistema integrato di interventi e servizi sociali volto a promuovere e

50 garantire pari opportunità e diritti di cittadinanza sociale al fine di prevenire, rimuovere o ridurre le condizioni di bisogno e di disagio.

 L. 104/1992 - Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”: per ciò che riguarda la parte sui minori, è garantito a tutti gli alunni in situazione di handicap la frequentazione delle classi comuni delle scuole. Gli strumenti utilizzati al fine di realizzare questa integrazione scolastica sono il P.D.F. nel quale vengono definite le potenzialità e le difficoltà dell’alunno e le tappe di sviluppo conseguite o da conseguire, il P.E.I., cioè il Piano Educativo Individualizzato, nel quale vengono definito gli interventi finalizzati alla piena integrazione scolastica, l’insegnante di sostegno, l’assistenza specialistica e il trasporto scolastico.

“L’esigenza di attivare un affidamento familiare, di solito, è avvertita, in prima istanza, dall’assistente sociale”61. Ogni affido familiare vede, nella sua predisposizione,

attivazione e gestione, il coinvolgimento dell’assistente sociale referente e del Centro Affidi, i primi garanti della continuità della storia e del progetto di vita del minore, i secondi dei percorsi d’affido.

Il Servizio Sociale coordina il progetto di affidamento.

Nel pensare al progetto occorre domandarci cosa si intenda per genitorialità fragile, o inadeguata; chiederci chi siano i “Cattivi genitori”62 e le conseguenze che tali individui

avranno sulla vita dei loro figli. Il piano di lavoro dovrà comprendere una diagnosi sulla famiglia del bambino. Conoscere la storia della famiglia consente certamente di progettare in maniera più efficace: non ha lo scopo di individuare la ragione che autorizza il genitore a trascurare i propri figli o lo giustifichi, bensì di porlo in contatto con la propria sofferenza in modo tale che egli possa entrare in assonanza con quella sofferenza che provoca ai suoi figli, così da interrompere la catena della ripetizione. “Per questo è così importante che la scheda familiare non si limiti a indagare i rapporti su due generazioni (bambino-genitori), ma che ne contenga tre, delle quali quella di mezzo è la generazione dei nostri utenti-genitori”63.

Non è sufficiente aver raggiunto una diagnosi, ma è necessario che sia insieme formulata una prognosi, intendendo con questa il livello di possibilità che ha quella famiglia di pervenire ad un cambiamento.

61

Giusti P., Zoppi A., pag. 33. 62 Cirillo S., Cattivi genitori. 63 Ibidem, pag. 133.

51 Lavorare per il cambiamento della famiglia d’origine è un’esigenza fondamentale nel processo complessivo di tutela del minore.

Come recita l’art. 6 del Codice Deontologico:

“La professione è al servizio delle famiglie… per contribuire al loro sviluppo. In tal senso ne valorizza l’autonomia, la soggettività, la capacità di assunzione di responsabilità e le sostiene nel processo di cambiamento, nell’uso delle risorse proprie … e nel prevenire ed affrontare situazioni di bisogno o di disagio, promuovendo ogni iniziativa atta a ridurre i rischi di emarginazione”.

Nessun intervento dovrebbe essere proposto o realizzato finché non si è effettivamente compresa la natura della crisi che la famiglia vive, degli elementi che la determinano, dei danni che tale condizione determina per il minore e della disponibilità dei genitori anche insieme ad altri familiari ad impegnarsi in un progetto di modifica della situazione familiare.

L’assistente sociale, titolare della protezione e della tutela del minore, è investito di poteri di aiuto/sostegno ma anche di controllo nei confronti dei minori coinvolti e dei loro genitori, con comprensibili e inevitabili problemi di gestione.

“L’assistente sociale opera con autonomia tecnico-professionale e di giudizio in tutte le fasi dell’intervento per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone, famiglie, gruppi e comunità in situazioni di bisogno”, così recita l’art. 1 della legge 84/199364(successivamente ripreso dal D.P.R. 328/200165).66Sul perché il Servizio Sociale comunale debba essere coinvolto nell’esecuzione di provvedimenti del giudice valgono le considerazioni relative al D.P.R. 616/197767 confermate poi dalla legge 328/2000”68; prevale l’idea che il servizio sociale in virtù della sua prossimità ai bisogni

e alle risorse delle famiglie con figli minori in difficoltà, debba svolgere una funzione preventiva e promozionale, al fine di evitare o ridurre situazioni di pregiudizio e di abbandono e di garantire al minore il rispetto del suo diritto ad avere una famiglia, preferibilmente sua.

64

L. 23 marzo 1993, n. 84, “Ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione

dell'albo professionale”.

65 D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328, “Modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per

l'ammissione all'esame di Stato e delle relative prove per l'esercizio di talune professioni, nonché della disciplina dei relativi ordinamenti”- Art. 21, comma 2, punto a.

66

Ardesi S., Filippini S., pag. 35. 67

D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, “Attuazione della delega di cui all'art. 1 della L. 22 luglio 1975 n.

382”.

52 Il lavoro con le famiglie d’origine si concretizza con interventi di tipo assistenziale, educativo e psicologico.

In particolare si orienta:

 nell’individuare i problemi che il nucleo familiare vive, i motivi che rendono difficili la relazione affettiva e il supporto materiale e morale necessario per consentire uno sviluppo armonico dei figli;

 nel definire la presa in carico e costruire un progetto d’intervento specifico in cui vengono definiti gli obiettivi possibili da raggiungere per i genitori, azioni, strumenti, tempi e modalità;

 nel sostenere la famiglia ad acquisire le competenze genitoriali adeguate per garantire il rientro del minore;

 nell’agevolare i rapporti con la famiglia affidataria;

 nel garantire gli incontri previsti durante l’affidamento;

 nel sostegno della famiglia nella fase di prolungamento del progetto/rientro definitivo del figlio.

Oltre al fondamentale ruolo con la famiglia d’origine il servizio sociale deve assolvere alla funzione di aiuto e sostegno del minore attraverso le seguenti azioni:

 supportando la relazione genitore-figlio;

 parlando direttamente con i bambini e proponendosi come adulti significativi a cui rivolgersi durante l’esperienza dell’affidamento;

 programmando e gestendo l’inserimento nella famiglia affidataria gradualmente;

 monitorando il benessere/malessere dei minori durante il progetto e valutare l’opportunità di proporre eventuali cambiamenti;

 sostenendo il minore nella fase di rientro nella famiglia d’origine. In riferimento alla famiglia affidataria, l’assistente sociale deve:

 fornire un’adeguata informazione sul minore, sulle sue risorse e difficoltà e, se opportuno nel rispetto della tutela della riservatezza, sui problemi che hanno portato al provvedimento:

 supportarli di fronte alle difficoltà che possono emergere durante l’affido;

 ridefinire il progetto qualora venissero meno i presupposti che lo hanno reso possibile.

Nella realizzazione delle diverse azioni professionali, l’assistente sociale si avvale di strumenti specifici del servizio sociale, quali:

53  colloqui

 visite domiciliari

 relazioni scritte

 riunioni d’équipe

 incontri con altre figure professionali

Gli assistenti sociali, sono chiamati a stabilire con periodicità colloqui di verifica e valutazione dell’andamento dell’intervento con tutti gli attori dell’affido: con la coppia genitoriale affidataria, con il minore, con i figli naturali della coppia affidataria e con la famiglia d’origine. Il colloquio è il principale dispositivo che l’assistente sociale utilizza nel suo lavoro quotidiano. Nella conduzione di tali colloqui è fondamentale l’ascolto attivo e partecipe, non c’è soltanto uno scambio di parole tra i soggetti che comunicano. Sono poi importanti la trasmissione di stima e fiducia sulle possibilità e sulle risorse proprie della persona, e la comunicazione non giudicante. Tutto ciò in prospettiva della costruzione di una relazione empatica, in cui l’assistente sociale deve appropriarsi della concezione di malessere dell’utente.

La famiglia affidataria va sostenuta nella maturazione della rappresentazione di sé, come famiglia capace di gestire l’affido e consapevole delle proprie fragilità nel far fronte ad un evento dagli esiti comunque imprevedibili.

Quando si parla del lavoro con i genitori d’origine, indispensabile per un progetto d’affido, ci si riferisce alle prese in carico empatiche, che prevedono colloqui di sostegno. Si deve lavorare nell’ottica della riduzione del danno, nella prospettiva di fissare obiettivi, sempre, seppur minimi, che hanno comunque una ricaduta positiva sul bambino.

Il minore è in una fase di crescita, di continuo riadattamento al nuovo sistema famigliare e, al tempo stesso, di ridefinizione del rapporto con la propria famiglia naturale. Diventa allora fondamentale stabilire una continua e buona comunicazione che consenta di monitorare le dinamiche relazionali ed intrapsichiche che si manifestano.

La visita domiciliare rappresenta un prezioso strumento operativo perché offre la possibilità di raccogliere informazioni indispensabili, nonché di accedere ai molteplici aspetti relativi al mondo familiare del minore generalmente non riscontrabili nei tradizionali setting dei servizi. Conoscere una famiglia nel suo ambiente di vita è molto importante per instaurare una proficua relazione d’aiuto e capire come poterla favorire

54 in un processo di miglioramento del benessere di tutti i componenti. In quest’ottica la visita domiciliare è un elemento fondamentale per chi lavora in quest'ambito.

Attraverso la relazione gli assistenti sociali aggiornano il Tribunale per i Minorenni sull’andamento del progetto. La comunicazione scritta è una costante nel lavoro dei servizi, soprattutto in campo minorile, in cui il rapporto tra assistenti sociali e Magistratura si concretizza quasi ed esclusivamente in forma scritta. La relazione deve quindi riportare in modo chiaro, esaustivo e coerente situazioni familiari, sociali, ambientali, storie di vita di minori e famiglie e nel caso proposte e progetti di intervento. Risultano essere importanti le informazioni che permettono di avere un quadro completo della situazione e delle difficoltà del nucleo familiare, inoltre deve essere esplicitato il coinvolgimento di eventuali servizi specialistici e allegata la loro relazione. Prima dell’invio al Tribunale, la relazione viene inoltrata al Responsabile dei Servizi Sociali, per essere controllata e corretta se fosse necessario, e infine inviata al T.M.

È fondamentale che si strutturino équipe di lavoro a più livelli, con la psicologa, la neuropsichiatra infantile, le educatrici delle comunità. Una modalità operativa che per la ricchezza di prospettive, permette una più efficace risposta ai bisogni del minore e della sua famiglia. Difatti, periodicamente, per aggiornare il T.M. circa l’andamento del caso, l’assistente sociale invita a colloquio con la Psicologa dell’ASL, gli utenti interessati. È nella gestione di una famiglia multiproblematica che l’assistente sociale e lo psicologo vengono chiamati a costruire, confrontando le diverse chiavi di lettura dei problemi, un percorso di collaborazione e di integrazione. Ritengo molto utile l’incontro di queste due professionalità, in quanto allo psicologo spetta l’analisi del profilo evolutivo del minore e l’osservazione della relazione genitore/bambino. L’Assistente sociale, da parte sua, fornisce gli elementi di conoscenza del contesto ambientale, familiare, relazionale e lavorativo del nucleo e del minore. L'obiettivo di tale collaborazione è la costruzione di una metodologia comune e condivisa, al fine di garantire interventi precoci e coordinati nelle situazioni a rischio, prima che queste causino danni irreversibili al minore.

In previsione degli aggiornamenti da effettuare per il Tribunale per i Minorenni e in generale per monitorare e verificare l’andamento degli interventi, messi in atto in favore del minore in carico all’assistente sociale, periodici, sono anche gli incontri con i Dirigenti scolastici e gli insegnanti. È bene monitorare l’accompagnamento all’esperienza scolastica del minore per evitare che si verifichino atteggiamenti di

55 insofferenza o di esclusione e agevolare lo sviluppo di un buon clima di accoglienza e di supporto.

L’avvio dell’affido richiede uno straordinario investimento di risorse da parte degli operatori sociali. Necessita di un’adeguata manutenzione, poiché le variabili in gioco sono spesso imprevedibili. È importante, allora, che gli assistenti sociali chiamati a definire i progetti di aiuto individuino e attivino le strategie più efficaci, nel superiore interesse del minore.