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L'affido familiare: il ruolo dell'assistente sociale e la continuità affettiva

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INDICE

INTRODUZIONE 4

Capitolo 1

La continuità degli affetti nell’affido familiare: verso l’approvazione

della legge 19 ottobre 2015 n. 173 7

1.

Il diritto del bambino alla famiglia: Legge n. 184/1983 e le modifiche

introdotte dalla Legge n. 149/2001 7

2.

La “continuità affettiva è legge”: limiti nella sua applicazione e

nuove proposte interpretative 13

Capitolo 2

L’affido familiare: un punto di partenza e non di arrivo 21

1.

Minori in situazioni familiari pregiudizievoli: quando l’affido è la

scelta migliore 21

1.1 L’istituto dell’affido familiare 23

1.2 Gli effetti giuridici e sociali 29

1.3 Diritti e doveri della famiglia d’origine e della famiglia affidataria 32

2. Il procedimento nell’iter istituzionale 34

3. La rete di attori e istituzioni che ruota intorno all’affido 37

(2)

2

Capitolo 3

Il ruolo dell’assistente sociale nel percorso di affido: esperienza nella

realtà di Viareggio 42

1.

Analisi di un caso 42

2. Le funzioni dell’assistente sociale nel progetto di affido 49

3.

Il rapporto con la Magistratura 55

4.

I servizi attivati dal Comune di Viareggio 58

4.1 Il Centro Affidi di Viareggio 60

Capitolo 4

Il dopo affido: tra mantenimento dei legami con gli affidatari e

riunificazione familiare 64

1.

Rientro in famiglia: utopia o realtà? 64

2.

Supporto alla genitorialità Legge n. 285/1997: interventi a sostegno

delle competenze genitoriali 66

2.1 La relazione con la famiglia d’origine: un rapporto da

salvaguardare 69

3.

La famiglia affidataria: tra continuità affettiva e doppia

appartenenza 71

4.

Verso un modello di collaborazione tra le reti di famiglie affidatarie e

il sistema di servizi 75

INTERVISTA 79

(3)

3

LEGISLAZIONE 87

BIBLIOGRAFIA 89

SITOGRAFIA

94

(4)

4

INTRODUZIONE

Il tema della tutela della continuità affettiva dei bambini e ragazzi che sono in affidamento fuori famiglia, si rende concreto in Italia con l’approvazione della Legge 19 ottobre 2015 n. 173 determinando una grande conquista culturale e normativa. È superata la pratica della “decantazione affettiva”1, per cui il minore nel passaggio

obbligato da una famiglia a un’altra, o nel ritorno alla famiglia di origine, debba staccarsi per un periodo dagli affetti per poi ripartire con una nuova famiglia, abbracciando l’idea bensì che nel superiore interesse del minore il Tribunale garantisca il mantenimento dei rapporti con chi li ha amorevolmente accolti e cresciuti.

Per riempire di significati questo passaggio il lavoro del servizio sociale appare di centrale importanza. È l’assistente sociale che ha il compito di preparare le famiglie affidatarie ad un percorso di accoglienza ampio, flessibile e in grado di adattarsi alle possibili evoluzioni della situazione del bambino. È loro responsabilità cercare la collaborazione della famiglia d’origine sia per quanto riguarda la condivisione del problema che del percorso da intraprendere.

Infine, essendo il minore al centro dell’intervento, l’assistente sociale ha il compito di coinvolgerlo, ascoltarlo e accompagnarlo in questo progetto.

Il lavoro di cura delle relazioni e delle emozioni dolorose non può essere svolto in solitudine dall’operatore. Deve prevedere sguardi di diverse professionalità, deve essere accompagnato da un confronto di equipe e supervisione costante, deve essere legittimato e sostenuto dall’organizzazione di riferimento. E’ e deve essere un lavoro di squadra e di co-responsabilità.

La tesi si articola in quattro parti, interconnesse tra loro, attraverso le quali si offre un approfondimento degli aspetti più importanti legati all’approvazione della legge 173/2015 sulla continuità affettiva e al ruolo dell’assistente sociale nella decisione di collocare il minore in affido familiare e di mantenere vivi i legami affettivi significativi.

1

(5)

5 La trattazione si apre, nel primo capitolo, con un’analisi sulla normativa che riconosce al minore il diritto “di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia” (art.1 L.184/83). A questo proposito ho ritenuto utile fare un excursus su com'è cambiata nel tempo la considerazione del minore all’interno della propria famiglia fino al suo riconoscimento come soggetto di diritto. Proseguo poi con la legge 149/2001, che oltre a riaffermare il diritto del minore di crescere prima di tutto nell’ambito della propria famiglia, prevede la possibilità, qualora quest’ultima non sia temporaneamente in grado di occuparsi del figlio, di collocarlo in affido familiare fino a quando i genitori non recupereranno le proprie competenze. Finisco infine con l’entrata in vigore della legge 173/2015 grazie alla quale sono riconosciuti gli affidamenti a lungo termine e di conseguenza, il legame che si stabilisce fra la famiglia affidataria e il minore è considerato importante e vitale per quest’ultimo.

Nel secondo capitolo è analizzato l’istituto dell’affidamento familiare dal punto di vista giuridico e sociale cercando di far comprendere l’utilità del provvedimento. Si passa poi ad una rassegna di quelle che sono le fasi necessarie per l’attuazione del provvedimento e delle figure professionali e non, che ruotano attorno all’affido.

Nel terzo capitolo è esaminato il ruolo dell’assistente sociale nel progetto di affido. Una figura che si pone come elemento di connessione tra la famiglia d’origine, il minore e la famiglia affidataria. E ancora tra le famiglie, i servizi e la Magistratura. Partendo dall’obiettivo primario che corrisponde alla tutela e al benessere del minore e parallelamente al supporto della famiglia d’origine, svolge svariate funzioni: dall’indagine psico-sociale, colloqui, visite domiciliari, verifiche e monitoraggio continuo, per la costruzione e ri-costruzione di un progetto ad hoc che intende accompagnare il minore.

Il quarto capitolo è dedicato al mantenimento dei legami sia con la famiglia d’origine che con la famiglia affidataria. La prima parte riguarda il sostegno alla genitorialità, visto come strumento da promuovere per garantire il benessere dei minori e delle loro famiglie, così com'è messo in evidenza nella legge 285/1997. La seconda parte è riferita invece al supporto della rete dei servizi alla famiglia affidataria, chiamata a svolgere un ruolo importante nella vita del minore che accolgono.

(6)

6 L’ultima parte è dedicata alla presentazione di un piccolo approfondimento realizzato grazie alla collaborazione degli assistenti sociali del comune di Viareggio. Tale indagine ha contribuito a delineare con maggiore precisione il ruolo dell’assistente sociale nel progetto di affido, in termini di organizzazione, ambiti di competenza e d’intervento, rapporti con la Magistratura, rete di attori e servizi con cui collabora. Ha fatto emergere le criticità riscontrate nell’attuare il provvedimento e gli effetti nei servizi sociali della legge 173/2015. Il colloquio è stato un utile strumento di riflessione e approfondimento del tema trattato.

(7)

7

I CAPITOLO

LA CONTINUITÀ DEGLI AFFETTI NELL’AFFIDO

FAMILIARE: VERSO L’APPROVAZIONE DELLA

LEGGE 19 OTTOBRE 2015 N. 173

1. Il diritto del bambino alla famiglia: Legge n. 184/83 e le modifiche introdotte dalla Legge n. 149/2001

“Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”2.

Recita così il primo articolo della Legge 184/83 recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, che “introduce per la prima volta in maniera organica e sistematica nel nostro ordinamento giuridico, l’istituto dell’affidamento familiare” e “che pone in primo piano l’interesse del bambino”. “Per quanto concerne la novità dell’istituto non è esatto che l’affidamento familiare sia stato per la prima volta previsto in un testo legislativo. Ciò che prima mancava era una disciplina organica e unitaria dell’istituto, e la legge 184 ha colmato proprio tale lacuna”3.

Presupposto necessario dell’art. 1 è che la “la famiglia d’origine, prima di tutto, esista e, in secondo luogo, sia fisicamente e psichicamente in grado di educare il minore, accompagnandolo gradualmente nella sua crescita”4. Sottolinea inoltre la necessità di occuparsi non solo del diritto del minore ad avere una famiglia, ma anche di sostenere il suo nucleo familiare.

La portata innovativa della legge s'inserisce in uno sfondo culturale, sociale e giuridico più ampio, nel quale la famiglia è considerata l’ambiente naturale per un sano sviluppo psico-fisico.

Non sempre però la famiglia ha rappresentato per i figli una base sicura in cui riconoscersi. Ai tempi del diritto romano infatti, l’infanzia non era riconosciuta come

2

L. 4 maggio 1983, n. 184, “Diritto del minore ad una famiglia”, art. 1. 3

Ichino F., Zevola M., Affido familiare e adozione: minori in difficoltà, famiglia di sostegno e

famiglia sostitutiva, Hoepli, Milano, 1993.

(8)

8 una specifica fase della vita, di conseguenza non esisteva un vero e proprio diritto a tutela del bambino. “I minori erano una proprietà del padre di famiglia, che decideva tutto di loro, i bambini malformati e infermi venivano uccisi e il trovatello non aveva alcun diritto di avere una famiglia”5.

Il sociologo Marzio Barbagli sostiene che “per lungo tempo i padri e le madri hanno avuto un atteggiamento di indifferenza verso i figli. Molti li abbandonavano appena nati, ma anche quando ciò non avveniva, avevano di loro ben poca cura”6.

Fu con la nascita della famiglia moderna, incentrata sulle relazioni e i sentimenti di affettività, che inizia ad affermarsi una nuova attenzione verso il minore, visto come soggetto destinatario delle loro cure, del loro affetto e della loro protezione.

“Ariès afferma che già nel Cinquecento e nel Seicento nasce un nuovo <<sentimento dell’infanzia>> che non consiste tanto nell’affetto, quanto nella consapevolezza dell’infanzia come specifica fase dello sviluppo, con particolari caratteristiche ed esigenze, che distinguono il bambino dall’adulto”7, consapevolezza che non esisteva

nelle epoche precedenti.

La famiglia rappresenta dunque il luogo privilegiato in cui il bambino sperimenta i sentimenti, determinanti per la sua crescita e in cui si realizza un adeguato processo di socializzazione. “Nell’ambito familiare si forma la personalità, le nuove generazioni sperimentano la realtà sociale così come viene mediata dalle figure adulte, le necessità della società penetrano nella famiglia e vengono pertanto interiorizzate dai componenti”8.

Meglio di qualsiasi altra struttura sociale, l’ambiente familiare, offre le basi per la costruzione dell’identità poiché il bambino è immerso in un dialogo continuo e in un costante confronto con l’altro.

Questo processo è facilitato dalla costruzione di un legame solido, che crea fiducia e sicurezza e di un legame intimo e interattivo tra il bambino e l’adulto. Quando questo legame viene a mancare, perché non c’è una famiglia o la famiglia non è in grado di salvaguardare il benessere del proprio figlio, il processo di costruzione della sua identità viene compromesso.

5

Ichino F., Zevola M., op. cit. 6

Zanatta A.L., Nuove madri e nuovi padri. Essere genitori oggi, Il Mulino, Bologna, 2011, p. 13. 7 Ibidem, p. 15.

8 Biancheri R., Famiglia di ieri, famiglie di oggi. Affetti e legami nella vita intima, Collana Sociologica diretta da Muzzetto L., Edizioni ETS, Pisa, 2012, p. 116.

(9)

9 Ed è proprio per rispettare quel primario diritto del minore, affinché la sua famiglia sia messa nelle condizioni di poterlo curare, educare ed istruire che è stata promulgata la legge 4 maggio 1983, n. 184.

Dagli anni Novanta si è innescata nel nostro Paese una forte attrazione verso la scoperta di un nuovo soggetto sociale, quali i bambini e i ragazzi.

Prima di soffermarmi sulla portata innovativa della legge, vale la pena ripercorre le varie fasi legislative significative che hanno caratterizzato questa conquista.

Per quanto riguarda l’Italia, il primo tentativo d'intervento da parte dello Stato in materia di tutela del minore si individua nel 1909: per la prima volta, s'introduceva nell’ordinamento la nozione di una magistratura specializzata nella tutela minorile che avrebbe avuto il compito di vigilare negli ambiti dell’assistenza, della tutela, dell’istruzione e della correzione del minore.

Nel 1926 è istituita l’Opera Nazionale Maternità impegnata nella protezione e nel sostegno di madri in stato di difficoltà e minori bisognosi di aiuto o in condizioni di rischio psico-sociale.

“Nel 1934 entra in vigore la legge istitutiva del Tribunale per i Minorenni con R.D. 1404, ove agli artt. 25 e 26, viene previsto l’affidamento dei minori irregolari nella condotta ai Servizi Sociali. Nel 1942 il nuovo Codice civile istituisce il giudice tutelare e introduce la tematica delle limitazioni della patria potestà (artt. 330-333-336 cc). Nel 1947, dopo la guerra, l’art. 30 della Costituzione non solo prevede la parificazione dei diritti dei figli nati dentro e fuori dal matrimonio nei confronti dei loro genitori, ma sancisce anche il principio per cui nei casi d'incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti educativi da altri”9.

La Costituzione così, riconosce la possibilità di individuare altre figure o enti diversi dalla famiglia d’origine per lo svolgimento dei compiti di cura e di educazione.

A livello internazionale, una tappa significativa è la Dichiarazione dei diritti del Fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1959: in questo provvedimento viene specificato il bisogno del bambino ad una particolare protezione, bisogno cui viene assicurata una risposta, identificando per la prima volta i diritti fondamentali del fanciullo, riconosciuto finalmente quale essere umano portatore di bisogni che devono trovare piena soddisfazione. La portata innovativa della

9 Ichino F., Zevola M., op. cit.

(10)

10 Dichiarazione, consiste nell’aver finalmente riconosciuto al bambino lo status di cittadino portatore di diritti soggettivi che devono essere rispettati e tutelati.

Il 5 giugno del 1967 entra in vigore in Italia la famosa legge n. 431 - Modifiche del titolo VIII del libro I del Codice civile “Dell’adozione” ed inserimento del nuovo capo III con il titolo “Dell’adozione speciale”. Viene introdotta nel nostro ordinamento una nuova forma di adozione detta “legittimante o speciale, che consente al bambino in stato di abbandono di tagliare il cordone ombelicale con la famiglia d’origine e di entrare nella famiglia adottiva a pieno titolo, come figlio legittimo, con diritti e doveri identici a quelli dei figli naturali”10.

“Nel 1991 entra in vigore in Italia, l’11 giugno, la legge n. 176 del 27 maggio 1991, che ratifica la Convenzione sui diritti del bambino (promulgata dall’ONU il 20 novembre 1989) alla quale hanno aderito ottanta stati”11, che esplicita in modo ancora più ampio

quelli che sono i diritti fondamentali del minore e individua anche gli strumenti per tutelarli e renderli concreti.

In questo clima di riforme e di promozione dei diritti a favore dei minori viene istituita la legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, successivamente modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149.

La legge sancisce: qualora la famiglia di origine non riesca a rispondere adeguatamente ai bisogni del figlio

perché si trova in una situazione di fragilità, legata spesso a condizioni di svantaggio economico, sociale, culturale, per incapacità genitoriale o perché sussistono comportamenti oggettivamente pregiudizievoli, che lo stesso venga affidato in maniera temporanea ad una famiglia diversa dalla propria, “possibilmente con figli minori, o ad una persona singola o ad una comunità di tipo familiare e solo nei casi in cui l’affidamento familiare non è consentito, è previsto il ricovero in un istituto di assistenza che esercita i poteri e gli obblighi dell’affidatario”12. La finalità è di

consentire la corretta e armonica maturazione del bambino. In questo frangente, la famiglia d’origine sarà supportata dai servizi sociali a superare il momento temporaneo di difficoltà, la famiglia affidataria si prenderà cura del bambino tenendo in considerazione le indicazioni della famiglia d’origine e agevolando i rapporti con essa, e il minore crescerà in un ambiente sereno.

10

Ichino F., Zevola M., op. cit. 11 Ichino F., Zevola M., op. cit. 12 L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 2.

(11)

11 La scelta di tutelare e proteggere il bambino non deve far dimenticare, però, la sua famiglia. “La famiglia, per quanto carente, limitata e portatrice di esperienze contraddittorie e disfunzionali, è pur sempre il punto di riferimento del bambino, la memoria a cui può tornare, il luogo dove può riconoscersi”13. L’affido infatti, è stato

pensato come un intervento a tutela del minore “temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo”14: avendo come scopo il reinserimento nella famiglia d’origine una

volta risolte le difficoltà familiari. È solo prevedendo specifici interventi volti al sostegno, al recupero delle competenze genitoriali della famiglia d’origine e alla modifica del suo modo di funzionare che l’affido diventa davvero una risorsa per il bambino e per i suoi legami familiari.

L’affidamento familiare inteso dalla legge 184 del 1983, viene proposto come intervento assistenziale per minori in difficoltà, che non fanno esperienza di ambienti sociali, affettivi e relazionali sicuri, minori che per varie ragioni non possono vivere con le loro famiglie d’origine, protetti dal loro affetto e inseriti in un contesto di relazioni tale da consentire una crescita armoniosa. Questo istituto si fonda su una visione positiva delle possibilità di cambiamento e delle risorse delle famiglie d’origine e dei bambini. E’ caratterizzato da continuità e progettualità, per permettere al minore di trovare in un’altra famiglia, tempestivamente e per tutto il tempo necessario, ciò che la sua al momento non è in grado di garantirgli.

Nel corso degli anni dalla sua applicazione, la legge 184/83 ha fatto emergere i suoi punti di forza ma anche alcuni nodi critici, tanto da richiederne una modifica, intervenuta con la legge 149/0115.

La legge 149/01 è intitolata “Diritto del minore ad una famiglia” e riprende i principi già sanciti a livello costituzionale dagli articoli 30 e 31 che stabiliscono rispettivamente “il diritto e dovere dei genitori a mantenere, educare, istruire i figli, e l’obbligo della Repubblica di agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi”. La modifica maggiormente interessante introdotta dalla L. 149/2001 riguarda il titolo della legge stessa, “Diritto del minore ad una famiglia”: si evince quindi l’intenzione di “riaffermare la titolarità in capo ai minori del diritto a relazioni affettive e di cura, prioritariamente nell’ambito della propria

13

Argirò A., Frassineti F., Un impegno “trasversale” può rivelarsi la mossa vincente nella sfida

dell’affido familiare, in “Famiglia e Minori”, n. 11, 2008, pag. 103.

14 L. 4 maggio 1983, n. 184, “Diritto del minore ad una famiglia”, art. 2 primo comma.

15 L. 28 marzo 2001, n. 149, Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante "Disciplina

(12)

12 famiglia d’origine e, laddove temporaneamente o definitivamente non possibile, all’interno di un nuovo nucleo familiare”16.

Un’altra modifica fa riferimento alle “difficoltà” che la famiglia d’origine dovrebbe presentare per essere definita “inidonea”. In questo caso è possibile fare riferimento all’art. 403 c.c., che dà delle indicazioni più specifiche: un ambiente familiare viene considerato non idoneo quando “il minore è moralmente o materialmente abbandonato o allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi, incapaci di provvedere all’educazione di lui”17. Inoltre l’art. 1 della nuova legge esplicita che “le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, a tal fine sono disposti interventi di sostegno e di aiuto”18. Si rende evidente il compito delle istituzioni competenti in materia, di garantire

ai minori le cure necessarie anche in assenza di figure genitoriali adeguate e di farlo nel migliore dei modi, offrendo un collocamento di tipo familiare e sostenendo il recupero delle funzioni genitoriali della famiglia d’origine.

Ulteriore modifica riguarda il ruolo del servizio sociale che “svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza e il rientro nella stessa del minore secondo le modalità più idonee”19, gli viene dunque affidato un

ruolo di controllo e di vigilanza sull’applicazione del provvedimento.

Altre novità importanti riguardano: il limite temporale dell’affido, il quarto comma dell’art. 4 dice che il periodo di durata dell’affidamento “deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d’origine. Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal Tribunale per i Minorenni, qualora la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore”20; il ruolo della

Procura della Repubblica che ha iniziativa processuale, a cui giungono tutte le segnalazioni delle varie forze di polizia giudiziaria e dei servizi (servizi sociali, consultori familiari, servizi di neuropsichiatria infantile, S.E.R.T.) i quali non hanno diretta legittimazione ad agire; i compiti delle famiglie affidatarie; i compiti delle associazioni; il sostegno alla famiglia affidataria.

16 Cascone C., Ardesi S., Gioncada M., Diritto di famiglia e minorile per operatori sociali e sanitari, CEDAM, 2014, pag. 289.

17 Art. 403 c.c. - Intervento della pubblica autorità a favore dei minori. 18 L. 28 marzo 2001, n. 149, art. 1.

19

L. 28 marzo 2001, n. 149, art. 5 secondo comma. 20

(13)

13 Possiamo a questo punto riassumere le acquisizioni, le consapevolezze e le conquiste raggiunte: l’affidamento è inserito in un contesto di tutela del minore e di supporto alla sua famiglia d’origine, dove l’accento viene posto sia sul concetto di crescita del bambino sia sulla capacità funzionale e affettiva degli adulti che se ne prendono cura, entro una dimensione sistemica e relazionale. L’affidamento si apre infine, ad una dimensione d'intervento la cui impronta di aiuto e sostegno non può essere separata da quella preventiva e promozionale.

Ciò ci fa comprendere che dentro un contesto così complesso gli operatori sociali devono basare il loro intervento sull’accoglienza del bambino, cercando di entrare in relazione con lui, con la sua storia e i suoi bisogni attuali, dandogli la possibilità di recuperare la positività del suo vissuto familiare. È inoltre fondamentale fare chiarezza sulle attività che ciascun attore in gioco deve svolgere e lavorare privilegiando l’intervento di rete: devono difatti essere definiti i compiti e ricercata la collaborazione dei servizi coinvolti.

2. La “continuità affettiva è legge”: limiti nella sua applicazione e nuove proposte interpretative

Nella realtà molti affidamenti si protraggono anche per lunghi periodi, attivando dinamiche e vissuti molto complessi, è dunque importante capire cosa vive il minore rispetto a questo provvedimento e quali emozioni siano presenti nella famiglia d’origine e nel contesto affidatario. In una situazione di affidamento prolungato il bambino cresce e crea legami di affetto e fiducia con la famiglia che si è presa cura di lui con grande dedizione.

La consapevolezza della rilevanza di salvaguardare i legami che si sono creati con la famiglia affidataria, ha portato il legislatore ad intervenire per garantire e tutelare la continuità degli affetti, un diritto inalienabile di ciascun bambino. La legge 19 ottobre n. 173/2015, recante “Modifica alla legge 4 maggio 1983 n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare”, afferma esplicitamente il diritto al mantenimento dei legami affettivi significativi.

(14)

14 La legge prescrive: “Qualora, a seguito di un periodo di affidamento, il minore faccia ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad altra famiglia o sia adottato da altra famiglia, è comunque tutelata, se rispondente all’interesse del minore, la continuità delle positive relazioni socioaffettive consolidatesi durante l’affidamento”21.

Da un lato prevede la possibilità per la famiglia affidataria di adottare il minore in affidamento, se dichiarato adottabile e qualora la coppia soddisfi tutti i requisiti per l'adozione legittimante previsti dall'articolo 6 della legge n. 184/198322. Ricordiamo che i presupposti per l’adozione del minore sono: lo stato di abbandono, ossia quando c’è un’obiettiva e non transitoria carenza di quel minimo di cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico necessario a consentirgli un normale sviluppo psico-fisico; dichiarazione di adottabilità da parte del Tribunale per i Minorenni.

Dall’altro, tutela la continuità delle positive relazioni socio-affettive che si sono consolidate durante l’affidamento, nei casi in cui venga disposto un nuovo e diverso collocamento del minore (adozione da parte di un’altra coppia o rientro in famiglia), solo dove il rapporto instauratosi abbia di fatto determinato una relazione profonda e significativa, proprio sul piano affettivo, tra minore e famiglia affidataria e ciò risponda al suo superiore interesse.

Quello che viene riconosciuto, in sostanza, è la tutela alla continuità delle relazioni affettive dei bambini e ragazzi in affidamento nei confronti della famiglia affidataria. Non si tratta però di una novità assoluta perché già in passato l’obiettivo che i Tribunali e i servizi sociali si prefiggevano, era quello di mantenere i legami affettivi.

Già nella precedente normativa esisteva, in effetti, la possibilità, talvolta utilizzata dai giudici minorili, di far prevalere il principio della continuità affettiva. Si riferisce in particolar modo alla legge 5 giugno 1967, n. 431 sull’adozione speciale, che prevedeva il cosiddetto “affidamento giuridico”, cioè l’accoglienza di un minore, che poteva anche essere dichiarato adottabile. La famiglia, oltre ad accoglierlo per un determinato periodo, offriva la disponibilità,

nel caso in cui veniva accertato lo stato di abbandono, di adottarlo. L’obiettivo era quello che il minore mantenesse un legame significativo con la famiglia affidataria,

21

L. 19 ottobre 2015, n. 173, art. 1, 5 ter. 22

L’art. 6 della L. 184/1983 stabilisce che “L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto. I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare. L’età degli adottanti deve superare almeno di diciotto anni e di non più di quarantacinque anni di età dell’adottando”.

(15)

15 dando loro la possibilità di adottarlo se fosse stata pronunciata la dichiarazione dello stato di adottabilità e di evitare che venisse trasferito in una nuova e diversa famiglia. Tuttavia “le pratiche a tutela della continuità degli affetti non erano né uniformi né maggioritarie”23. Tesi avvalorata dal documento di studio e di proposta “La continuità

degli affetti nell’affido familiare”(2017).

L’idea prevalente era che al termine dell’affidamento familiare il minore dovesse vivere un momento di pausa affettiva, molti parlano di “decantazione affettiva”: quando un minore in affido veniva dichiarato adottabile, doveva essere allontanato dagli affidatari e interrompere definitivamente i rapporti con loro, essere trasferito in un istituto o in una comunità familiare in modo che potesse staccarsi, per poi essere inserito nella famiglia adottiva scelta dal Tribunale. Pertanto non veniva presa in considerazione l’eventuale disponibilità degli affidatari ad adottarlo, né veniva disposto l’eventuale mantenimento dei rapporti del minore con gli stessi.

Sull’argomento, uno spunto di riflessione, ci viene dato dalla Dott.ssa Donatella Fiocchi. Nel suo articolo si chiede cosa spinge chi lavora con le famiglie ad utilizzare il termine predetto, nella determinazione di tagliare in maniera netta il legame o con la famiglia d’origine o con gli affidatari. Sostiene che la scelta errata di tale pratica deriva dall’incapacità di comprendere ciò che accade e di risolvere tale lacuna considerando i rapporti instaurati come “elementi chimici che possono essere separati, uniti o mescolati, ottenendo sempre risultati prevedibili e indolori”24.

“Fra le persone, e ancora di più fra gli adulti e i bambini non è così. Fra loro passa una corrente, l’affetto, che chimica non è, diventa un legame, un filo invisibile ma robusto che collega gli individui e li tiene uniti. Non solo non è così, ma questi tagli improvvisi, queste rotture senza ragione, oppure, senza che il bambino ne capisca profondamente il motivo, ove questo ci fosse, lasciano solamente un enorme dolore, grandi difficoltà a ritrovare un equilibrio e una sicurezza affettiva e, in più di un caso, addirittura patologie dello sviluppo non sempre riparabili”25.

Ulteriore motivo per cui prevaleva la convinzione che l’interesse del minore richiedesse una sospensione dei rapporti con la famiglia affidataria, era quello di evitare che l’affido divenisse impropriamente una sorta di scorciatoia per l’adozione.

23

Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, “La continuità degli affetti nell’affido familiare”, Documento di studio e proposta, Roma, 21 Dicembre 2007.

24 Bollettino Anfaa, 01/2006, Gennaio/Marzo 2006. 25 Ibidem.

(16)

16 L’intento di questa legge non è quello di creare una commistione tra l’ istituto dell'affidamento e l’istituto dell’adozione, ma di ridefinire tale rapporto, mettendo al centro i diritti dei bambini e dei ragazzi. Lo scopo è di garantire al minore il diritto di mantenere le relazioni positive che si sono istaurate con la famiglia affidataria, anche qualora l’affido abbia compiuto il suo intento pieno, cioè il recupero delle capacità genitoriali da parte della famiglia naturale e il reinserimento del bambino in quel nucleo.

L'istituto dell'affidamento familiare è stato creato per dare al minore un ambiente il più possibile sereno durante una situazione di difficoltà temporanea della famiglia d'origine. Per questa sua specifica finalità, l'istituto dell'affidamento è nettamente distinto sul piano legislativo da quello dell'adozione. Con l’affidamento infatti, la responsabilità genitoriale permane in capo alla famiglia d'origine o nell'autorità che ha provveduto al provvisorio allontanamento del minore e l'obiettivo cui si deve puntare è quello di farlo reintegrare nella sua famiglia. Con l'adozione, invece, la famiglia che accoglie il minore assume in tutto e per tutto, al termine del periodo di affidamento preadottivo, la responsabilità genitoriale in maniera definitiva e non reversibile.

Tuttavia, la realtà del disagio familiare è nella nostra società sempre più complessa. Con riguardo all’affidamento, la complicazione per i servizi sta nel “fare una diagnosi e una prognosi; ossia una previsione esatta delle difficoltà della famiglia d’origine a sanare le proprie deficienze, nonché del tempo che può occorrere al minore per rientrare nella sua famiglia, sufficientemente istruito ed educato”26.

Come detto precedentemente, in un numero elevato di casi, l'affidamento, perde nel corso del suo svolgimento il carattere di soluzione provvisoria e temporanea prolungandosi nel tempo ben oltre i due anni stabiliti dalla legge. Può anche succedere che la situazione critica che aveva motivato l’allontanamento dalla famiglia originaria si risolva negativamente e il minore venga dichiarato adottabile. Accade dunque che bambini già provati da una prima separazione, quella dalla famiglia d’origine, siano sottoposti a una seconda dolorosa separazione e trasferiti a una terza famiglia, perché la famiglia affidataria che se n'è presa cura spesso per diversi anni consolidando affetti e relazioni non può, in base alla legislazione vigente, chiedere la sua adozione.

26 Ichino F., Zevola M., pag. 7.

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17 La legge 173/2015 intende risolvere i problemi evidenziati, riconoscendo che alcuni meccanismi non sono stati in grado fino ad oggi di tutelare pienamente, quale soggetto primario, i minori coinvolti in una situazione di abbandono o di difficoltà.

Si decide di mettere al centro del provvedimento il rapporto affettivo continuato e stabile nel tempo che risulta essere il cuore e la dimensione fondamentale della norma, dove il minore deve essere sempre più al centro dell’attenzione.

Pur non modificando sostanzialmente il contenuto dei primi articoli della legge 184/1983, l’espressione “prolungato periodo di affidamento” prende finalmente in considerazione la rilevanza dell’affido a lungo termine per la creazione di un rapporto affettivo consolidato con la famiglia affidataria. Quest'aspetto ritengo sia molto rilevante in quanto è rappresentativo della realtà esistente.

Il dibattito ha voluto chiarire che il prolungarsi del periodo di affidamento non comporta automaticamente che esistano legami affettivi significativi e duraturi con la famiglia affidataria, tali circostanze dovranno tuttavia essere accertate caso per caso.

La nozione sembra però essere indeterminata. Ci si chiede se l’affidamento debba necessariamente superare i due anni per valutare l’instaurazione di un rapporto stabile e profondo con la famiglia affidataria, oppure se, anche una durata inferiore può avere la medesima efficacia. D’altra parte, la legge richiede che si valuti la necessità di tutelare la continuità affettiva anche quando il minore venga affidato ad un’altra famiglia dopo la conclusione dell’affidamento.

Un impulso determinante alla modifica della legge del 1983 è venuto dalla Corte di Strasburgo, con sentenza resa nel maggio 2010 nell’affare Moretti e Benedetti c. Italia, (causa n. 16318/07)27, che ha condannato l’Italia a risarcire una coppia di affidatari che, dopo essersi presi cura per 19 mesi di una minore, gli fu sottratta a seguito dell’affidamento preadottivo della stessa a un’altra coppia, selezionata a fini di adozione.

La Corte giunse alla pronuncia di condanna perché ritenne fosse stato violato il principio della continuità affettiva e delle relazioni familiari, e che non fosse stata adeguatamente valutata dai giudici italiani la domanda di adozione presentata dagli affidatari, alla luce del diritto al rispetto della vita familiare con la minore a loro affidata

27 Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 27 aprile 2010 - Ricorso n. 16318/07 - Moretti e Benedetti c. Italia.

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18 e del suo superiore interesse, sulla base dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo28:

“Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”;

intendendo con vita familiare la presenza di condotte ritenute tipiche di una famiglia, quindi nella relazione verticale tra adulto e minore, la coabitazione, la cura morale e materiale.

La Legge n. 173/2015 introduce quindi importanti cambiamenti: il dovere di ascolto da parte dei giudici del bambino che ha compiuto i dodici anni di età o anche di età inferiore se capace di discernimento; valorizza il ruolo degli affidatari nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato; il dovere di ascolto degli affidatari da parte dei giudici, prima di prendere decisioni sul futuro del minore accolto; il ruolo e la responsabilità dei servizi sociali degli enti locali in tutte le fasi dei progetti di affidamento, aggiornando l’autorità giudiziaria.

In definitiva, pur essendo stata valutata positivamente la legge n. 173/2015, non sono mancate le critiche. In particolare si è detto che la riforma crea disparità tra le coppie che potranno adottare i figli affidatari perché in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge (art.6 della legge n. 184/1983) e i single, ai quali l’adozione resta preclusa. È una critica pretestuosa, che nasconde in molti casi altri intenti, tra cui quello del tutto improprio di arrivare a una modifica della stessa legge sull’adozione.

Pretestuosa perché proprio lo spirito della legge è tutelare i minori che si trovano a vivere situazioni difficili e complesse e garantire loro la continuità affettiva: chi ha cresciuto un bambino in un momento difficile della sua vita, sia anche un single o una coppia già anziana, non sarà escluso dal suo futuro. In ogni caso, come si è visto, è stata formalizzata la possibilità di ricorrere all’adozione in casi particolari29, ammessa anche

nei confronti di persone singole, quando il rapporto affettivo consolidatosi durante l’affidamento riguardi un bambino orfano di padre e di madre.

28 Convenzione europea dei diritti dell’uomo, art. 8-“Diritto al rispetto della vita privata e familiare”. 29 Art. 44 della legge n. 184/83 così come sostituito dalla legge n. 149/2001.

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19 Altro dibattito riguarda la natura stessa dell’affido, poiché la possibilità data alla famiglia affidataria di adottare modifica e viola lo spirito solidaristico che contraddistingue l’affidamento familiare. Si tratta di una preoccupazione infondata perché le famiglie che si rendono disponibili ad accogliere il bambino o il ragazzo in difficoltà per un determinato periodo, sanno di essere famiglie in più e non famiglie sostitutive, dunque hanno motivazioni diverse dal legittimo desiderio di un figlio presente invece nel percorso adottivo.

Per altro verso, la norma non fa alcun cenno alla tutela dell'eventuale continuità degli affetti tra il bambino e la sua famiglia d’origine, ed è stata da molti espressa la preoccupazione che prolungando il periodo di affidamento si affievolisca l’interesse e la volontà di porre in essere interventi opportuni volti al recupero delle capacità genitoriali della famiglia naturale, con il rischio di creare un contenzioso tra famiglia d’origine e famiglia affidataria.

Questa considerazione però svuota di significato l’istituto dell’affidamento familiare, che è invece volto al recupero della famiglia di origine in vista di un possibile ritorno del bambino.

Nonostante siano trascorsi anni dall’approvazione della predetta legge, ad oggi le preoccupazioni sono tante e il rischio di fraintendimenti è forte.

È un tema su cui le Associazioni, le reti di famiglie stanno lavorando molto condividendo le attenzioni con le Istituzioni competenti in materia.

In tale contesto, appare decisiva e molto importante la funzione e la competenza dei Servizi Sociali nell’accompagnamento alla comprensione delle famiglie d’origine. È compito dei servizi fare in modo che continuino a pensare all’affido come risorsa e non come possibile inganno, che mantengano fiducia nelle istituzioni e nelle relazioni con la famiglia affidataria e colgano che il loro punto di vista è preso in considerazione. In riferimento alla famiglia affidataria i servizi devono prepararli ad un percorso di accoglienza complesso e ricco di sfaccettature in grado di adattarsi ai possibili cambiamenti e di mantenere chiara la distinzione tra affido e adozione, disincentivando aspettative improprie.

È evidente quanto sia importante costruire un progetto che preveda una chiara identificazione di obiettivi, interventi e tempi di realizzazione: solo una progettazione attenta e pensata, infatti, può dare sufficienti garanzie di rispondere all’interesse del minorenne.

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20 Concludo che nell’interesse superiore dei minori, sarebbe auspicabile: individuare le modalità e le strategie utili a favorire una giusta e consapevole applicazione di una legge importante e attesa, ricercare la coerenza di contesti e procedure. Inoltre sarebbe opportuno realizzare un lavoro sinergico e trasparente tra le istituzioni, gli operatori e i servizi coinvolti, tra le famiglie d’origine e affidatarie, con il fine ultimo di rendere concreto l’ascolto e la partecipazione del minore coinvolto nelle forme e nei modi più adatti, di garantirgli l’adeguata assistenza affettiva e psicologica, di assicurargli esperienze positive di continuità delle relazioni e degli affetti .

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II CAPITOLO

L’AFFIDO FAMILIARE: UN PUNTO DI PARTENZA E

NON DI ARRIVO

1. Minori in situazioni familiari pregiudizievoli: quando l’affido è la scelta migliore

Il primo diritto che andrebbe assicurato a ogni soggetto minore di età, secondo quanto espressamente indicato nei dispositivi legislativi, negli orientamenti scientifici e culturali, è quello di vivere in famiglia, protetto dall’affetto dei genitori e inserito in un contesto di relazioni calde e sicure che gli permettano, durante la crescita, di acquisire autonomia personale e consapevolezza di sé.

A volte però, la famiglia naturale può attraversare momenti di difficoltà così gravi, da causare ai figli pesante disagio, o addirittura metterli in condizioni di rischio.

Il disagio esperito è legato a situazioni di fallimento congiunto delle funzioni genitoriali e di protezione dell’ambiente di vita stesso. In questo contesto familiare vulnerabile, i genitori mostrano difficoltà nel rispondere ai bisogni dei loro figli e non riescono a stabilire con loro un attaccamento sicuro.

Ciò motiva a pensare non solo in termini di carenze, ma soprattutto di ulteriori possibilità: quali altre relazioni significative e quali modi possono compensare il bisogno di sicurezza del bambino e contribuire positivamente a creare nuovi legami di attaccamento?

In questa prospettiva, l’affidamento familiare rappresenta un sostegno prezioso per le risposte che fornisce ai bisogni di cura, affetto ed educazione dei bambini e dei ragazzi in previsione del loro rientro nella propria famiglia d’origine. “Si vuole evidenziare la grande importanza e il forte valore che si associa all’ambiente familiare”30, capace di

30

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22 accogliere e contenere, risultando condizione più idonea e protettiva per lo sviluppo del minore.

Per il minore affidato, molto spesso, il solo fatto di condividere con una famiglia sana i gesti e gli scambi della quotidianità costituisce un’esperienza arricchente e correttiva: egli può trovare spazi e luoghi più adeguati rispetto a quelli che gli erano stati riservati nella famiglia d’origine, può trovare stimoli e modelli per la crescita intellettuale e sociale, può recuperare fiducia in se e nelle persone che lo circondano, può maturare ipotesi e progetti per il suo futuro. Inserirlo in “una famiglia, significa indurlo in rapporti normali di vita, offrirgli modelli di relazione ordinaria, metterlo al centro di dinamiche affettive”31.

Si tratta di un’accoglienza che consente al minore l’opportunità di avere un supporto da parte di un’altra famiglia o di un singolo soggetto; alla famiglia naturale la possibilità di affrontare e cercare di risolvere, con l’aiuto dei servizi, i problemi che hanno portato verso questo tipo di provvedimento; di incentivare e sostenere la relazione tra i due. L’allontanamento non deve provocare infatti la rottura dei legami con i genitori naturali: è necessario costruire un filo conduttore tra il passato e il presente del minore, favorendo l’attivazione di risorse che possano creare le condizioni per un più sano sviluppo psico-sociale dello stesso. Rappresenta un passo dovuto per strutturare al meglio l’azione di sostegno, tesa primariamente alla facilitazione di un ritorno nella famiglia di origine.

Eppure l’affidamento è una pratica molto discussa: è sempre e comunque un evento doloroso per il minore, quindi è un atto che va ben ponderato tenendo conto delle sue esigenze, affinché rappresenti una condizione meno pregiudizievole rispetto alla permanenza in famiglia.

È opportuno riflettere sulle dinamiche, i legami, le relazioni, le emozioni che intercorrono tra i diversi attori coinvolti nei retroscena di questa complessa esperienza, portando alla luce l’importanza di dare voce ai pensieri e alle emozioni del minore coinvolto, alle paure e ai sensi di colpa della famiglia d’origine.

Per la molteplicità delle azioni comprese all’interno dell’affidamento e la complessità dell’intervento che agisce su un delicato sistema di relazioni che coinvolge molti operatori, famiglie e autorità giurisdizionali, sarà fondamentale il lavoro dei Servizi

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23 Sociali attraverso una collaborazione attiva, intenzionale, continua e programmata con le reti di famiglie.

Gli operatori sociali, responsabili del Progetto di affido, sostengono il minore nell’elaborazione dell’evento legato alla separazione dal suo ambiente di vita e attraverso interventi multidisciplinari, stimolano un cambiamento del significato che lo stesso attribuisce alla condizione sfavorevole che ha determinato la necessità dell’allontanamento.

Per contrastare inoltre il fallimento delle esperienze di affido gli operatori sono consapevoli che ciò che più conta è la gestione della relazione del bambino con i genitori naturali, che deve essere costruttiva, promozionale e valorizzante, perché la stabilità e il benessere del bambino, che cresce in una famiglia affidataria, dipende proprio dalla natura di tale rapporto.

Pertanto coniugare all’interno di uno stesso progetto, l’azione di accoglienza educativa per il bambino e l’intervento con l’ambiente familiare e sociale, due componenti apparentemente opposte ma strettamente intrecciate tra loro, rappresentano al tempo stesso la sfida, la natura e la ragione di complessità che sta alla base di ogni progetto di affido.

1.1 L’istituto dell’affido familiare

“Se cerchiamo nel passato un istituto giuridico che autorizzasse lo Stato a togliere i figli ai genitori giudicati incapace di mantenerli, di educarli, di assicurare loro le risorse materiali e immateriali necessarie allo sviluppo fisico e psicologico, per affidarli temporaneamente o sine die ad altri adulti o a istituzioni, senza togliere ai genitori biologici la patria potestà, allora è indubbio che l’affido è un istituto relativamente recente, risalente agli anni Ottanta del secolo scorso”32.

Diversamente se consideriamo l’affidamento in senso più ampio, cioè come strumento d’aiuto all’infanzia abbandonata e come allevamento di un bambino da parte di

32 Rossi M. C., Garbellotti M., Pellegrini M., (a cura di), Figli d’elezione. Adozione e affidamento

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24 istituzioni e adulti, non legati alla famiglia di origine, è stato praticato fin dall’antichità con forme e modalità diverse secondo i momenti storici e dell’organizzazione sociale e istituzionale del periodo.

“Per secoli, e fino ai tempi recenti, gli istituti assistenziali sono stati luoghi di accoglienza per gli orfani e i bambini privi di una famiglia”33.

“La prima preoccupazione dei responsabili degli ospedali riguardava la sopravvivenza dei bambini, in particolare dei lattanti, la fascia di età più debole e di conseguenza più soggetta a malattie e infezioni letali”34. Era indispensabile allora trovare delle donne che

rispondessero a tali esigenze. Col baliatico, regolamentato dal decreto luogotenenziale del 4 agosto 1918 n.1395, il minore veniva affidato alle cure di una balia. Il concetto ispiratore di tale regolamentazione giuridica era unicamente la protezione del minore dalle malattie fisiche, privi di considerazione restavano invece tutti gli altri legami. Difatti, non era prevista alcuna valutazione delle capacità affettive/educative della balia né vi erano prescrizioni sul numero massimo di minori che la stessa potesse accogliere (ANFAA).

Solo dai primissimi anni Settanta, l’affido familiare comincia a legarsi al tema della deistituzionalizzazione, con una serie di interventi sociali volti ad impedire o limitare fortemente la collocazione dei minori in strutture, così da permettere una continuità delle relazioni familiari. Questo permise anche di andare ad affermare che l’intervento istituzionale, non doveva porsi come sostituto della famiglia disagiata, ma come un sostegno alla genitorialità.

Grande mutamento giunse con la legge 184/1983, poi modificata con la legge 149/2001, conferendo al contesto familiare un ruolo preminente e prescrivendo il superamento degli Istituti e l’accoglimento del bambino in personalizzati contesti familiari.

L’istituto dell’affidamento familiare è l’esito dell’evoluzione e del consolidamento di antiche prassi di collocamento dei minori in altri contesti familiari. Lo sviluppo riguarda la finalità dell’intervento: l’attenzione si è spostata dai bisogni della famiglia ai bisogni dei bambini e ragazzi, e di conseguenza si è modificata l’attenzione ai diritti dei soggetti coinvolti. I bambini e i ragazzi vengono così riconosciuti a pieno titolo soggetti e oggetti delle politiche di welfare, quindi non solo destinatari ma portatori di diritti. “L’affidamento consiste nell’inserimento del minore in una famiglia diversa da quella di origine, ma per un periodo di tempo limitato. È un servizio amministrativo che l’ente

33 Ibidem, pag. 240. 34 Ibidem, pag. 244.

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25 locale offre alla famiglia ove essa intenda servirsene; se al contrario la famiglia rifiuta, dovrà intervenire l’autorità giudiziaria. E tutto ciò si ricollega strettamente all’enunciazione di principio a carattere generale (il diritto del minore a essere educato nella propria famiglia) già ricordata: l’istituto in esame costituisce forse il più efficace mezzo di attuazione di quel diritto”35.

Presupposto necessario per dar luogo all’affidamento familiare è che il minore sia temporaneamente privo di un ambiente idoneo. La temporanea inidoneità della famiglia può dipendere: da insufficienza di mezzi economici necessari per la crescita del minore; da mancanza di strutture sociali (sanitarie, di assistenza, di istruzione) adeguate a tale scopo; oppure ancora da carenze attinenti ai rapporti interpersonali, per cui il minore ha difficoltà a costruire la propria personalità. Ciascuna di queste carenze legittima un giudizio di inidoneità se compromette l’effettivo godimento dei diritti del minore. La valutazione di idoneità dell’ambiente familiare dev’essere infatti diretta a cogliere la possibile incidenza di eventuali situazioni pregiudizievoli sulla formazione del minore. Come stabilisce l’art. 2, comma 1, modificato dalla l. n. 149/2001, per valorizzare il diritto del fanciullo a crescere nella sua famiglia d’origine, l’affidamento può farsi luogo solo laddove gli interventi di sostegno e di aiuto disposti a favore della famiglia non abbiano dato buoni risultati.

L’affidamento non deve essere un’alternativa all’azione dello Stato diretta ad agevolare con gli adeguati interventi assistenziali la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi (art. 31 Cost.), ma deve ritenersi uno strumento di tutela e realizzazione degli interessi del minore da utilizzare in via strettamente subordinata “al fallimento o all’impossibilità di realizzare interventi sul nucleo familiare nel suo complesso”36.

Altro presupposto è la temporaneità. “A differenza dell’adozione, che ha carattere di definitività ed è conseguente ad una situazione irreversibile di abbandono, l’affidamento, nel disegno del legislatore, costituisce un rimedio destinato ad operare per un periodo limitato di tempo”37. Ne deriva che l’affido familiare abbia una funzione

riparativa, che da una parte mira ad offrire al minore un ambiente adeguato alle sue

35 Dogliotti M., Figone A., Famiglia e procedimento, Seconda edizione, Ipsoa, 2001, pag. 263. 36

Ardesi S., Filippini S., Il servizio sociale e le famiglie con minori. Prospettive giuridiche e

metodologiche, Carocci Faber, Roma, 2008, pag. 21.

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26 esigenze e ai suoi bisogni, dei nuovi modelli di identificazione, la possibilità di rielaborare le esperienze del passato ri-significandolo e la possibilità di sperimentare nuove modalità relazionali. Dall’altra permette alla famiglia naturale di ristabilire le condizioni per riaccogliere il proprio figlio.

Nella realtà la dimensione di tale temporaneità resta del tutto incerta.

La durata dell’affido determinata dalla legge è di 24 mesi prorogabili. Tuttavia non vengono stabiliti i limiti della proroga, così che può ipotizzarsi un affido prorogato per diverse volte secondo le necessità individuate dal servizio sociale e trasmesse all’autorità giudiziaria che decide sulla proroga qualora la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore. Questi affidi a lungo termine denominati sine die oltre a snaturare il senso stesso del provvedimento, finiscono “per determinare un clima di precarietà e instabilità, delle situazioni caratterizzate da un’estrema ambiguità che espongono da più parti il bambino a stati di tensione e sensi di rifiuto”38.

Per queste ragioni, sarebbe opportuno uno sforzo definitorio della temporaneità come stimolo per tutti i soggetti coinvolti, soprattutto per gli operatori e per la famiglia di origine, e funzionale al recupero delle capacità genitoriali e alla riparazione del danno subito.

“La misura di affido può realizzarsi su spinta volontaria della famiglia naturale, si parlerebbe dunque di un affidamento consensuale, o su decisione giudiziaria. Nel primo caso, la famiglia naturale constata e riconosce le difficoltà presenti all’interno del proprio contesto, ed è consapevole di aver bisogno di aiuto. Nel secondo caso, al contrario, non vi è un’immediata presa di coscienza da parte della famiglia naturale, la quale spesso percepisce gli operatori sociali come ostili”39.

Nelle Linee di Indirizzo per l’Affidamento Familiare, l’affidamento è stato declinato in una pluralità di forme in base all’intensità del bisogno e ai tempi dell’accoglienza, così da poter rispondere in maniera differenziata e flessibile alle diverse esigenze di bambini, ragazzi e famiglie che stanno attraversando un periodo di difficoltà.

Si distingue tra:

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M. Clelia Zurlo, Nunziante Cesarò, Adele, Il bambino, le due famiglie, i servizi sociali. Il

tetraedro dell’affido, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1997, pag. 120.

39 Cassibba R., Elia L., L’affidamento familiare. Dalla valutazione all’intervento, Carocci Faber, Roma, 2007, pag. 34.

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27  Affido intrafamiliare

 Affido eterofamiliare  Affidamento diurno

 Accoglienza genitore-bambino

 Affidamento familiare in situazioni di emergenza  Affidamento in situazioni particolari (0-24 mesi)

 Affidamento familiare di adolescenti, anche dopo i 18 anni

L’affidamento intrafamiliare consiste nell’affidare il minore a parenti entro il quarto grado, capaci di creare un rapporto significativo e positivo con lui. I parenti disposti all’affido intrafamiliare dovranno essere valutati dai servizi sociali e coinvolti in percorsi dedicati al sostegno. La possibilità di collocare il minore presso un membro della famiglia è da considerarsi preventivamente all’affidamento eterofamiliare.

L’affidamento eterofamiliare consiste nell’affido ad un’altra famiglia appositamente reperita, che non fa parte della sfera parentale. “I bambini appartenenti a famiglie multiproblematiche risultano fortemente esposti allo sviluppo di modelli operativi e modelli relazionali interni inadeguati. In questo senso attraverso il provvedimento dell’affidamento eterofamiliare si cerca di proporre ad essi l’esperienza di un nuovo clima relazionale e familiare, un cambiamento di contesto che, sebbene comporti un forte sforzo di adattamento da parte del bambino, può svolgere una funzione terapeutica e preventiva nella misura in cui mira a modificare gli schemi di relazione da lui interiorizzati, schemi che spesso si sono strutturati interagendo con figure di riferimento inadeguate, immature o inaffidabili”40.

L’affidamento diurno è un intervento che permette al minore di trascorrere parte della giornata in una struttura con personale qualificato oppure, all’interno di una famiglia in base al tipo di problematica ed ai bisogni del minore. In questo intervento emerge l’esigenza di un sostegno educativo in relazione alle attività scolastiche ed interventi di tipo socializzante. Tale strumento è volto ad evitare di ricorrere all’accoglienza residenziale.

L’affidamento può riguardare oltre al minore anche i suoi genitori. Il nucleo può essere accolto nell’abitazione della famiglia affidataria o essere ospitati in luoghi sicuri. Generalmente viene proposto ai genitori che necessitano di un supporto temporaneo in

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28 vista del raggiungimento della piena autonomia e per i quali vi sono ragionevoli previsioni di fuoriuscita dalla situazione di fragilità.

L’affido di emergenza prevede la disponibilità immediata da parte di una famiglia affidataria (se non ci sono parenti che li possono ospitare in sicurezza) ad accogliere bambini tra gli 0 e i 10 anni che affrontano situazioni gravi e improvvise e di conseguenza necessitano di allontanarsi dal proprio nucleo familiare e dal proprio contesto di vita, in attesa che la situazione migliori. L’accoglienza dura al massimo tre mesi.

Vi sono inoltre specifiche forme di affido di bambini e ragazzi che si trovano in situazioni particolari. Un esempio è rappresentato dagli affidi familiari di bambini molto piccoli (0-24 mesi). Si tratta generalmente di affidi di breve durata in vista di un ricongiungimento con i propri genitori quanto prima o di emergenza in vista di una proposta di adozione. Un altro esempio è l’affido di ragazzi adolescenti, anche dopo i 18 anni, che necessitano di completare il loro percorso verso l’autonomia in una situazione protetta. Questi affidi risultano più complicati in quanto il loro vissuto va ad intrecciarsi con le problematiche tipiche dell’età adolescenziale. Ci sono anche situazioni in cui l’affidamento continua fino ai 21 anni, in quel caso il minore può decidere di rimanere con la famiglia affidataria, tornare nella sua casa o andare a vivere da solo.

L’affidamento familiare si propone dunque di garantire ai minori una famiglia accogliente nella quale possano crescere in maniera adeguata. Agli affidatari è richiesto uno spazio nella propria vita e nella propria casa per accogliere il bambino, accettando ciò che appartiene alla sua storia e alla sua famiglia, senza tuttavia rinunciare al proprio stile educativo. “La famiglia affidataria propone sempre i suoi modelli di interazione al bambino, modelli spesso molto differenti da quelli cui egli era abituato prima dell’affido”41 e cerca di adattarli a tale accoglienza.

Quando si parla di affido, si risponde sempre all’esigenza di sostenere le famiglie di origine e ci s'impegna non solo in direzione del benessere del minore, ma anche verso la cura della famiglia. Il minore infatti potrà rientrare nella famiglia d’origine solo quando la stessa avrà risolto le proprie problematiche. Se il rientro non fosse possibile il bambino non viene abbandonato, insieme agli operatori del servizio sociale di

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29 riferimento e tutte le figure professionali attori della presa in carico, si cercano delle strade alternative.

Le Linee Guida ricordano altresì il bisogno costante di promuovere progetti di sensibilizzazione sui temi dell’accoglienza e percorsi di informazione sulle differenti forme di affido familiare possibili e sui bisogni del bambino e della sua famiglia.

1.2 Gli effetti giuridici e sociali

Da un punto di vista giuridico, a seguito del provvedimento di affido, il minore instaura due relazioni: quella con la famiglia d’origine e quella con la famiglia affidataria.

A differenza dell’adozione dove i rapporti del minore con la famiglia d’origine vengono definitivamente interrotti, l’affidamento non cambia la natura giuridica di tali rapporti. Il Tribunale per i Minorenni però, nella decisione di allontanare temporaneamente il minore dalla propria famiglia può dichiarare sospesa o limitato l’esercizio della potestà genitoriale. Ai sensi dell’art. 333 “Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento”.

Nei casi più gravi, può anche pronunciare la decadenza della potestà ai sensi dell’art. 330 “quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio”. Il giudice può comunque reintegrare nella potestà il genitore che ne è decaduto, quando, cessate le ragioni per le quali la decadenza è stata pronunciata, è escluso ogni pericolo di pregiudizio per il figlio.

Nelle ipotesi predette i genitori non potranno prendere parte alle decisioni inerenti al figlio, che invece spetteranno al soggetto cui il minore è stato affidato.

Se invece non viene assunto un provvedimento relativo alla potestà genitoriale, i genitori dovranno essere consultati in ordine alle decisioni più rilevanti. In particolare la famiglia d’origine dovrà rendersi disponibile a collaborare con la famiglia affidataria

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30 secondo quanto indicato nel progetto. Tale collaborazione è realizzata mediante la figura dell’assistente sociale che segue il caso, attraverso lo scambio di informazioni inerenti al minore e fornendo tutta la documentazione che lo riguarda: scolastica, medica, sociale. La famiglia d’origine dovrà inoltre essere consultata tutte le volte in cui vengono assunte decisioni di rilevante interesse per il figlio e che possano incidere sulla sua vita futura. Si pensi al percorso scolastico o ad un intervento sanitario.

Dall’altra parte la famiglia affidataria dovrà essere sentita nei procedimenti civili in materia di potestà, di affidamento e di adottabilità, consentendogli in questo modo di svolgere un ruolo attivo nell’ambito dei procedimenti che pongono il minore al centro dell’interesse e nei quali si adottano le scelte più adeguate ed opportune per il suo benessere e sviluppo.

Inoltre a seconda che si tratti di un affido breve o lungo, ci saranno delle modifiche per quanto riguarda lo stato di famiglia o la residenza. Nel primo caso il minore rimane residente presso la famiglia di origine ma assume il domicilio della famiglia affidataria e lo stato di famiglia non viene modificato. Nel caso in cui l’affido sia a lungo termine, in accordo con il Servizio sociale e con i genitori del bambino (sempre che non sia stata dichiarata decaduta la potestà) potrà essere richiesta l’iscrizione del minore nello stato di famiglia degli affidatari.

“L’affidamento cessa, dal punto di vista giuridico, con il compimento del 18° anno di età. In alcuni casi è prevista la possibilità di proseguire l’affidamento fino al ventunesimo anno di età del ragazzo sulla base di specifici progetti e previa autorizzazione da parte del Tribunale per i Minorenni”42.

L’affido è un’esperienza molto complessa per tutti i protagonisti coinvolti, in particolar modo per il minore: compito degli operatori è far conoscere al bambino, alla famiglia di origine e alla famiglia affidataria, la situazione nella quale verranno a trovarsi, evitando in assoluto strategie evitanti o di negazione. “Ne consegue che è particolarmente importante creare condizioni che aiutino il bambino ad affrontare le esperienze dolorose di perdita e ad evitare la strutturale tendenza a reazioni patologiche ad esse”43.

Diventano rilevanti dunque le elaborazioni dei vissuti di separazione e perdita, dei sentimenti di inadeguatezza, rivalità e gelosia, sia nella famiglia che subisce il distacco, sia in quella che accoglie a tempo determinato il bambino, sia in primo luogo, nel bambino stesso, oggetto della procedura di affidamento.

42 http://www.anfaa.it

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31 Il bambino che viene accolto è incapace di comprende la temporaneità della situazione e la vive come definitiva. Ne consegue una condizione di perdita e senso di colpa. “La perdita dei punti di riferimento familiari e ambientali mette infatti il minore in difficoltà”44.

“Molteplici fattori influenzano la difficile elaborazione dell’esperienza di separazione: l’età in cui essa avviene, la qualità delle esperienze che la precedono, le modalità che ne accompagnano lo svolgimento e la sua durata”45.

Questi elementi sono da considerare attentamente “per evitare che l’affidamento - che si configura sempre più come un provvedimento molto complesso ed in cui è necessario tener presenti una molteplicità di fattori - sia vissuto dal bambino come un’esperienza traumatica di separazione, rischiando di aggravare ulteriormente la sua iniziale situazione di bisogno”46.

L'arrivo del minore in famiglia rappresenta sicuramente la fase più delicata di tutto il procedimento, poiché dà origine a dei cambiamenti sia sul piano relazionale sia su quello organizzativo della famiglia, in relazione ai tempi e agli spazi.

La famiglia affidataria per accoglierlo nel miglior modo possibile, deve capire i suoi bisogni, i suoi sentimenti e dimostrare una forte flessibilità di adattamento. Non va dimenticato che il bambino che arriva in affido è un bambino che ha già una sua storia personale, familiare e ambientale. Un vissuto sicuramente caratterizzato per un periodo più o meno lungo da fasi difficili. Per cui, tali esperienze che appartengono al suo passato e che non sono una cosa a se stante rispetto a quello che lui è, condizionano le sue relazioni e i suoi comportamenti.

“Le problematiche suscitate dalla disfunzionalità del gruppo di appartenenza, che si ripropongono nel nucleo affidatario, possono allora essere affrontate e modificate nell’interazione con figure più adeguate e in contesti più funzionali. È possibile allora considerare la funzione terapeutica svolta dal gruppo familiare affidatario rispetto al gruppo di origine pensando alla situazione di affido come una sorta di elaboratore protetto di modelli relazionali”47.

44

Giusti P., Zoppi A., Accogliere un bambino e la sua storia. Esperienze, teorie e speranze…, Autopubblicato, 2018, pag. 36.

45

M. Clelia Zurlo, Nunziante Cesarò, Adele, pp. 105. 46 Ibidem, pp.119-120.

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