La rimessione in termini nel processo civile
3. Analisi del concetto di autoresponsabilità e del concetto di onere.
L’approccio della letteratura giuridica all’istituto della rimessione in termini non è lineare. Vi è stato chi lo ha ricostruito come un aspetto insito alla disciplina della decadenza, dimostrando come tale disciplina possa definirsi completa solo prospettando una serie di
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rimedi per assicurare alla parte l’effettiva possibilità di compiere l’atto processuale sottoposto a decadenza81
.
Altri autori82, per salvaguardare l’effettività dell’intervento della parte, richiamano le nozioni di causa non imputabile e di errore scusabile83.
Un altro orientamento fa leva sul principio di autoresponsabilità. Tale principio implica un giudizio attraverso il quale vengono imputate al soggetto le conseguenze di un fatto che lede un proprio interesse e non intacca, pertanto, la sfera degli interessi altrui.
Mentre il concetto di responsabilità si pone come concetto di relazione, presupponendo almeno due poli soggettivi portatori di interessi, l’auto-responsabilità si sostanzia in una “responsabilità
81 Cfr. BALBI, La decadenza nel processo, op. cit., p. 217. 82
Cfr. DE SANTIS, op. cit., p. 47. L’autore afferma che la necessaria presenza di ipotesi rimessorie può essere corroborata dall’individuazione del tipo di impianto processuale. Un processo caratterizzato da un sistema di preclusioni più o meno rigido, risulta scandito da tempi e modi di svolgimento delle singole fasi prestabiliti dal legislatore, che per ogni fase indica quali attività e quali termini le parti abbiano l’onere di compiere e di rispettare, pena la decadenza dei poteri processuali. L’applicazione rigida del principio di preclusione, dal punto di vista delle garanzie, crea problematiche relative all’effettività del diritto della parte di difendersi, qualora sia incorsa in una decadenza incolpevole. A fronte di questo rischio è necessario contemplare una tecnica rimessoria che consenta la tutela della parte dalla decadenza incolpevole, ovvero da un fatto imprevedibile non previsto. DE SANTIS prosegue analizzando gli ulteriori rischi di un sistema eccessivamente rigido, che occorre richiamare. Da un lato la rigidità esasperata comporta esigenze di semplificazione del procedimento, che può determinare una limitazione della ricerca della verità materiale; dall’altro la necessità di indicare i mezzi di prova con riferimento a tutti i fatti costitutivi appesantisce gli atti introduttivi a danno dell’economia processuale.
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Attraverso il richiamo alla formula della “causa non imputabile”, per DE SANTIS, La rimessione in termini…, op. cit., pp. 144 ss., “si è inteso porre un requisito obiettivo essenziale per la rimessione, caratterizzato dalla non riferibilità dell’impedimento alla parte”. Il concetto di errore scusabile è ricavabile dal processo amministrativo: la giurisprudenza amministrativa specificava che il beneficio della sospensione del termine decadenza era da subordinare alla “condizione che lo scambio della giurisdizione non appaia l’effetto della colpa grave, ma di un errore scusabile: inteso come errore di diritto incompatibile con la buona fede.” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 27 maggio 1892, n. 154, in Giust. Amm., 1892, I, pp. 245 ss.).
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, trattandosi della conseguenza di un comportamento che non incide sulla tutela di un interesse esterno al soggetto agente. L’autoresponsabilità viene a collocarsi nella sfera di libertà del soggetto nel porre in essere determinati poteri o facoltà per tutelare il proprio interesse85. L’ambito di libertà a cui si collega tale concetto dimostra come non si possa correlare la nozione di obbligo, che, al contrario, implica una responsabilità verso altri in caso di mancato rispetto. Si profila allora la necessaria correlazione con un altro istituto: l’onere86
.
“L’onere non implica l’idea di un vinculum iuris verso altri, ma, semmai, quella di una valutazione, in lato senso economica,
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Per un maggiore approfondimento, vedi PUGLIATTI, voce Autoresponsabilità, in Enc. Dir, Milano, 1959, IV, pp. 453 ss..
85 Per un approfondimento sul fondamento dell’autoresponsabilità, cfr.
PUGLIATTI, op. cit., pp. 464-465, ripreso da CAPONI, op. cit. pp. 55-57. Gli autori, con tutte le cautele che impone l’argomento, collegano il concetto di responsabilità verso se stessi all’art 1227 c.c., in cui si può rintracciare l’autoresponsabilità colposa. È infatti la disposizione più ampia nel codificare un onere di diligenza nell’attività del soggetto per la salvaguardia dei propri interessi e può essere inquadrata in parallelo alla norma cardine sulla responsabilità verso terzi ex art. 2043. Tuttavia, entrambe le disposizioni, rimangono circoscritte alla responsabilità colposa, cosicché nei casi in cui venisse integrata una responsabilità oggettiva, per la quale le conseguenze pregiudizievoli vengono imputate alla sfera giuridica del soggetto indipendentemente dalla sussistenza di un comportamento colposo, bisognerà ricercare disposizioni specifiche per giustificarla. Costituisce, pertanto, una tematica complessa poiché non è individuabile un criterio di imputazione che abbia valore di principio generale, considerando che le ipotesi di autoresponsabilità oggettiva ne sono escluse. CAPONI, op. cit., pp. 57 ss., sottolinea la fragilità di tale impostazione, oltre che per l’esclusione delle ipotesi di responsabilità oggettiva, anche perché l’art. 1227 rinvierebbe alla regola della diligenza, non solo in rapporto a interessi altrui, ma anche in relazione ai comportamenti volti alla realizzazione dei propri interessi. “Essa individuerebbe dunque anche la misura della colpa del soggetto verso se stesso”, mentre nel nostro ordinamento “la regola sulla diligenza dovrebbe avere una valenza generale solo in relazione alla cooperazione doverosa, o comunque all’attività, o all’astensione cui un soggetto è tenuto nei riguardi di altri, non in relazione all’attività del soggetto, per la realizzazione esclusiva del proprio interesse. Ciò si ricava dal richiamo alla colpa contenuto nell’art 2043 c.c., ma anche da tutta una serie di disposizioni che richiamano la regola della diligenza.”.
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Per maggiori chiarimenti sulla figura dell’onere, vedi PALERMO, voce Onere, in Noviss. Dig. It., v 1, XI, Torino, 1965; DURANTE, voce Onere, in Enc. giur.
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dell’opportunità di tenere un determinato comportamento per il conseguimento di un dato risultato.”87.
Quando l’ordinamento sussume determinati comportamenti nella figura dell’onere, intende dare protezione all’interesse del soggetto titolare di tale facoltà. I poteri processuali, infatti, come species del
genus onere, sono attribuiti alla parte per la tutela dei propri interessi;
tuttavia, tale libera iniziativa della parte deve realizzarsi nel rispetto delle regole tecniche del processo, in modo da contemperare la salvaguardia del proprio interesse con gli interessi altrui, che trovano fondamento nella vicenda processuale.
Come sottolinea Pugliatti, tale figura, pertanto, non rimane estranea a qualsiasi rapporto con l’interesse altrui, ma incide indirettamente sulla posizione di un altro soggetto. Il terzo, infatti, seppur versi nell’impossibilità di pretendere l’osservanza dell’onere, pretesa connaturata al soggetto agente, non rimane del tutto estraneo: quando il soggetto agente, al quale si riferisce l’onere, non agisce, si realizza una correlatività di effetti giuridici che indirettamente incidono sulla posizione di un soggetto estraneo. Sarà quindi la perdita di tale facoltà che, da un lato, fa venire meno la possibilità di utilizzare una tutela giuridica per la propria pretesa (possiamo quindi parlare in relazione alla perdita di autoresponsabilità) e, dall’altro, realizza un vantaggio altrui88.
Il concetto di autoresponsabilità può essere utilizzato in relazione alla materia degli impedimenti all’esercizio dei poteri processuali delle parti.
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Cfr. PUGLIATTI, op. cit., p. 455.
88Alcuni autori pongono l’attenzione sul fenomeno della responsabilità, inteso non
in relazione ad altri soggetti, ma in chiave solipsistica, considerando solo la sfera del soggetto agente. Cfr. BETTI, Diritto romano, I, Padova, 1935, p. 258, che riprende il brocardo latino: “quodquis ex culpa sua damnum sentit, non intellegitur
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Il nostro ordinamento si è uniformato a un modello di auto responsabilità colposa attraverso la previsione di ipotesi rimessorie. Si consente, infatti, alla parte di dimostrare che l’esercizio del potere processuale è stato impedito da un fatto che abbia escluso la sua capacità di intendere e di volere o del quale non è venuta a conoscenza, ovvero che escluda in generale un comportamento colposo. In questo modo viene ripudiata l’impostazione processuale orientata a un sistema di autoresponsabilità oggettiva, nel quale non si dà rilievo alla differenziazione dell’impedimento in colposo e non fondato sulla colpa, che non esalta il giusto processo, poiché non garantisce il rispetto del principio del contraddittorio e, in una prospettiva ancor più ampia, il diritto di difesa.
La recezione nell’ordinamento dell’autoresponsabilità per colpa è avvenuta tramite la previsione della rimessione in termini, “che ha per presupposto l’accertamento in concreto del verificarsi di un fatto non imputabile, che ha impedito l’esercizio tempestivo di uno o più poteri processuali determinati.”. Tale strumento viene attivato dal giudice su richiesta di parte e costituisce la soluzione che l’ordinamento predispone per superare ex post l’ostacolo dell’inutile decorso del termine.
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