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Poteri del giudice: profili di discrezionalità e controllo È necessario a questo punto della trattazione, soffermarci sulla natura

Poteri istruttori del giudice nel rito del lavoro e preclusioni alle attività difensive delle parti.

3. Poteri del giudice: profili di discrezionalità e controllo È necessario a questo punto della trattazione, soffermarci sulla natura

dei poteri istruttori del giudice del lavoro.

È proprio in riferimento all’art 421 II comma c.p.c. che nasce la questione relativa alla portata dei poteri che il legislatore riconosce al giudice e in particolare si sottolinea la genericità di tale attribuzione

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L’indisponibilità, più o meno accentuata, delle situazioni coinvolte ha indotto il legislatore della riforma a sposare un modello con caratteristiche di inquisitorietà, ma senza soppiantare il principio dispositivo, che risulta essere solo attenuato. La dottrina maggioritaria è concorde nel ritenere che il principio dispositivo risulti solo temperato, in tal senso, sia prima che dopo la riforma del 1973: MONTESANO-VACCARELLA, op. cit., pp. 182 ss.; DE STEFANO, Sui limiti

dei poteri del giudice nel processo del lavoro, in Giur. it., 1979, I, 2, pp. 35 ss.;

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che fa sorgere complesse problematiche sulla natura discrezionale o meno di tali poteri.

L’indirizzo a lungo dominante in giurisprudenza ha ritenuto che gli stessi avessero carattere meramente discrezionale e che il provvedimento di ammissione di un mezzo di prova in via officiosa fosse insindacabile in sede di legittimità251. La discrezionalità, per questo orientamento risiede nella verifica che l’organo giudicante deve effettuare delle condizioni per la sua attivazione o meno e nella valutazione sugli interessi circa l’opportunità di esperire la prova. Viene, pertanto, riconosciuto al giudice uno spazio di manovra profondamente elastico, capace di adattarsi alla situazione soggettiva oggetto del processo.

Tuttavia, i poteri istruttori officiosi, seppur non condizionati né da un’esplicita richieste delle parti, né al verificarsi di preclusioni o decadenze, non possono mai essere esercitati in modo arbitrario. La discrezionalità, dunque, non può essere vissuta in modo assoluto e mai lasciata nella piena e incontrollata disponibilità del giudice e, dunque, il potere ufficioso potrà essere definito discrezionale solo se si adotta un concetto di discrezionalità giudiziale compatibile con la presenza di limiti. Pertanto, il giudice “deve esplicitare le ragioni per le quali reputa di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritiene, invece, di non farvi

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Cass., Sez. Un., 17 Giu. 2004 n. 11353, in Foro it., 2005, pp. 1135 ss., con nota di FABIANI, Le sezioni unite intervengono sui poteri istruttori d’ufficio del

giudice del lavoro. La Corte si trova ad affrontare il problema del riconoscimento,

in capo al dipendente di una società, della causa di servizio con corresponsione di equo indennizzo in ragione delle patologie da cui tale assumeva essere affetto. La Corte afferma la nullità del ricorso introduttivo del giudizio attraverso un’analisi in merito agli oneri di allegazioni e probatori gravanti sul lavoratore, propendendo per l’orientamento più rigoroso: il dipendente ha l’onere di provare con precisione i fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, non essendo sufficiente, ai fini dell’individuazione del nesso eziologico tra attività lavorativa ed evento patologico verificatosi, la mera indicazione delle mansioni spiegate.

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ricorso”. Il limite, così, può essere ricondotto, secondo questo orientamento, alla necessaria presenza della motivazione252.

“Orbene il rischio di un uso parziale di un potere discrezionale non lo si esorcizza negando il potere stesso, bensì individuando i criteri alla cui stregua il potere discrezionale deve essere esercitato e pretendendo che alla stregua di tali criteri il giudice espliciti i motivi per cui nella singola ipotesi concreta ha ritenuto di non farvi ricorso. Solo in tal modo da un lato si consente all’istituto dei poteri istruttori d’ufficio di assolvere le sue delicatissime funzioni, e dall’altro lato, consentendo il controllo in sede di impugnazione, si garantisce che il potere discrezionale sia adoperato per i suoi fini istituzionali.”253. Secondo tale orientamento, da preferire sotto il profilo della tutela delle garanzie, la preoccupazione secondo cui l’esercizio dei poteri istruttori ufficiosi sarebbe lesivo del diritto di difesa delle parti, non trova fondamento: proprio il richiamo al diritto di difesa impone di ritenere che l’attribuzione di un mezzo di prova al giudice, attribuisce anche automaticamente alle parti sia il diritto alla prova contraria, sia la possibilità di reagire attraverso i mezzi di impugnazione.

Tuttavia, il dibattito sulla natura dei poteri istruttori del giudice si presenta molto complesso per la presenza di molteplici orientamenti. Per una parte della dottrina l’esercizio dei poteri officiosi non è meramente discrezionale, ma si presenta quale potere-dovere. Tale qualificazione in termini di dovere è volta al tentativo di individuare un criterio a cui il giudice deve uniformarsi nello stabilire se

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Cfr. Cass. 9 Ago. 1995 n. 8743, in Foro it., Rep. 1995, voce Esibizione delle

prove, la quale ha sottolineato come il giudice è tenuto a motivare adeguatamente

le ragioni che l’hanno indotto a non esercitare i poteri istruttori di cui all’art 421 c.p.c., oppure ad escludere l’indispensabilità della prova ai fini della decisione.

253 Cfr. PROTO PISANI, voce Lavoro (controversie individuali in materia di), op. cit., p. 375.

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esercitare o meno gli stessi254. In questa direzione si ritiene che “è ovvio che non si può imporre al giudice il dovere incondizionato di ammettere ed assumere tutti i mezzi di prova risultanti dagli atti. Egli dovrà, quindi, valutare la loro rilevanza ed utilità. Ma questa valutazione non può significare rimettere al giudice un potere arbitrario e insindacabile: il giudice non può negare l’ammissione di un mezzo di prova risultante dagli atti, ed astrattamente idoneo a provare un certo fatto, e al tempo stesso dichiarare quel fatto non provato e fondare la sua decisione sull’onere della prova.”255.

Tale impostazione nega, dunque, la natura discrezionale di tale poteri per evitare di correre i rischi legati all’attribuzione al giudice di profonda libertà d’azione. Infatti, con il richiamo al dovere, l’attività officiosa viene “formalizzata” e incanalata entro criteri che al rigore della norma non sono contemplati.

Tale orientamento, inoltre, difetta sul piano del controllo dell’attività del giudice: il dover agire officioso, infatti, non può essere sottoposto a un controllo, proprio perché il giudice doveva agire in quel determinato modo e potrà essere rimproverato solo laddove non si sia uniformato a tale indirizzo. La discrezionalità, che tale orientamento cerca ostinatamente di abolire, emerge proprio dal mancato controllo. È possibile spiegare tale tesi soffermandosi sulla mancanza di linee guida per il giudice in ambito istruttorio. Nella formazione del prodotto probatorio il legislatore si limita ad attribuire al giudice un generico potere di iniziativa, con il solo limite del giuramento. Come si può allora discutere in termini di dovere quando il legislatore non lo prevede? Diventerebbe estremamente discrezionale l’uso di tale termine e porterebbe con se anche la conseguenza del mancato controllo sull’intervento officioso.

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Cfr. in giurisprudenza: Cass. 12 Mar. 2004 n. 5152; Cass. 29 Ago. 2003 n. 12666; Cass. 14 Giu. 2003, n. 9541; Cass. 20 Mag. 2000 n. 6592.

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Un’altra impostazione prova a ridimensionare i poteri del giudice intervenendo sul piano della funzione di tali poteri.

“In realtà l’art 421 c.p.c. va collocato nella sua giusta dimensione, attraverso un’adeguata lettura esegetica e sistematica. Si deve ritenere, infatti, che al di là della sua infelice formulazione, la disposizione abbia inteso attribuire al giudice del lavoro dei poteri istruttori meramente integratori dell’attività probatoria svolta dalle parti, consentendo, soltanto, di completare le prove già acquisite e di dissipare eventuali dubbi residui al termine dell’istruzione in sintonia con i principi che governano il processo del lavoro.”256

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Questo orientamento fa leva alle teorie che ritengono, per limitare l’intervento del giudice, insuperabile la maturata decadenza per le parti e, pertanto, sottolineano l’applicabilità delle norme che stabiliscono l’inammissibilità delle prove non tempestivamente indicate dalle parti, per ridurre la portata e la discrezionalità dell’intervento officioso.

Pertanto, appare più in sintonia con la previsione del II comma art 421 c.p.c. il riferimento al concetto di discrezionalità per definire l’impianto di poteri che l’ordinamento riconosce al giudice del lavoro.

Ma è proprio in questa prospettiva che risulta estremamente significativo il profilo del controllo sull’attività del giudice. Bisogna, dunque, chiarire se la sua valutazione sull’assunzione o meno di un mezzo di prova possa essere censurata. La risposta a tale quesito non è pacifica: da un lato, si fa strada presso una parte della

256 In riferimento a tale orientamento cfr. la decisione Pret. Avezzano, 7 Giu. 1989,

che si uniforma a Cass. 11 Ago. 1981 n. 4896; Cass. 7 Apr. 1981 n. 1978; Cass. 13 Mag. 1987 n. 4402, secondo cui il potere istruttorio del giudice in ordine all’ammissione dei mezzi di prova non può che assumere funzione surrogatoria dell’iniziativa delle parti.

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giurisprudenza, l’insindacabilità del comportamento del giudice257

; dall’altro diviene sempre più condivisa l’opinione che la valutazione del giudice è, sì, discrezionale, ma non per questo arbitraria.

Pur non essendo agevole è necessario, pertanto, una volta scelta la via della discrezionalità, individuare dei limiti per l’iniziativa officiosa258.

Un primo limite è rappresentato dall’impossibilità di concedere al giudice un’apertura alle prove atipiche e alle prove illecite. “La sussistenza del potere istruttorio di ufficio non significa superamento del principio di legalità della prova, e quindi ingresso in giudizio delle prove atipiche: e cioè non significa possibilità di utilizzare tipi di prova non previsti, oppure possibilità di utilizzare con funzione probatoria strumenti che tale funzione non hanno, o sono acquisiti per una via diversa da quella prevista dalla legge.”259.

Nonostante, la lettura dell’art 421 II comma sia piuttosto ampia, prevedendo la “possibilità di disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dai limiti stabiliti dal codice civile”, non si può contemplare la possibilità di disporre l’assunzione di mezzi di prova secondo modalità diverse da quelle previste dall’ordinamento.

Un altro limite, come già accennato, è legato al divieto di utilizzo della scienza privata, per cui il giudice non potrà mai porre ad

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Cfr. Cass. 9 Apr. 1990 n. 2941 che afferma che “il mancato esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice non è censurabile in sede di legittimità anche se del tutto immotivato ed anche se disattenda una sollecitazione della parte interessata; ancora Cass. 30 Mag. 1989 n. 2588 e Cass. 25 Mar. 1987 n. 2920, secondo le quali si deve parlare di insindacabilità “dovendosi ritenere che il giudice stesso abbia reputato, in maniera implicita, la sufficienza degli elementi probatori già acquisiti.”.

258 Questo orientamento è stato adottato dalla Cass. Sez. un. 17 Giu. 2004 n. 11353. 259

Cfr. LUISO, Il processo del lavoro, op. cit., p. 191; per un approfondimento cfr. anche MONTESANO-VACCARELLA, Manuale, cit., pp. 147ss.; MONTESANO,

Le prove tipiche nelle presunzioni e negli argomenti del giudice civile, in Riv. dir. proc., 1980 pp. 223 ss.; TARZIA, Manuale, cit., p. 111.

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oggetto dei poteri istruttori d’ufficio fatti o fonti di prova la cui conoscenza abbia assunto fuori dal processo, ad esclusione del fatto notorio.

Un limite relativo alle modalità di esercizio dei poteri istruttori officiosi è individuabile nell’esigenza di rispettare principi di grande rilevanza costituzionale. Il riferimento è al diritto di difesa e al principio del contraddittorio, in forza dei quali il giudice, qualora eserciti tali poteri, deve consentire alle parti la possibilità di poter esercitare il diritto di dedurre prova contraria, e quindi di poter instaurare una dialettica sul materiale probatorio introdotto d’ufficio. Dalla presenza di tali limiti discende l’ ineluttabile conseguenza che l’eventuale loro violazione debba essere controllata da un soggetto diverso da colui che esercita il potere, e in particolare in un’altra sede che si concretizza in sede di impugnazione. Il luogo più adatto a consentire tale controllo è la Suprema Corte in sede di giudizio di cassazione.

Tale impostazione accolta dalle Sezioni Unite della Cassazione260, spezza il parallelismo che la giurisprudenza anteriore aveva creato tra discrezionalità e insindacabilità in sede di legittimità. Viene, pertanto, a configurarsi l’opportunità-necessità di un efficace controllo, che è reso possibile dai limiti già delineati. Per le sezioni unite ci si trova di fronte ad ipotesi in cui l’esercizio o il mancato esercizio del potere officioso è suscettibile di un controllo in sede di legittimità, non solo sotto il profilo del controllo sulla motivazione di cui al n. 5 dell’art 360 c.p.c., ma anche sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di legge di cui al n. 3 dell’art 360261. Viene poi integrata, nel caso in cui venga in rilevo una norma processuale, che attiene al procedimento e non al giudizio, l’ipotesi

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Cfr. Cass. 17 Giu. 2004 n. 11353.

261 Cfr. TESORIERE, Diritto processuale del lavoro, Padova, 2004, p. 215;

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prevista al n. 4, per cui l’esercizio del potere conferito al giudice sarà sindacabile sotto il profilo della nullità della sentenza o del procedimento262.

Il parallelo che deriva da tale ricostruzione, pertanto, si realizza tra discrezionalità, che attraverso la previsione di limiti non si trasforma in arbitrio, e controllo in sede di legittimità. Tale binomio risulta fondamentale poi per salvaguardare la prospettiva di un giusto processo.