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Analisi dell’effetto quantitativo della contabilizzazione de

5.3. Valutazione dell’impatto quantitativo della prima applicazione

5.3.3. Le metodologie d’analisi e i risultati

5.3.3.1. Analisi dell’effetto quantitativo della contabilizzazione de

Dopo un lungo processo di disamina su quali potessero essere le ipotesi su cui fondare la l’analisi dell’impatto sul Patrimonio netto della nuova contabilizzazione, si è deciso di focalizzarsi su due ipotesi.

La prima prevede di assumere che tutti i derivati presenti nel 2015 non erano stati contabilizzati dalle aziende, facendo leva sul fatto che la normativa codicistica e i principi contabili nazionali non lo richiedevano. Se così è, al 31/12/2015, alle voci destinate a rilevare il fair value dei derivati, doveva corrispondere un valore pari a zero. Con l’avvento della nuova disciplina, nel 2016, le società avrebbero dovuto rideterminare il valore da imputare a queste voci, ricostruendo un bilancio,

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all’1/1/2016, che tenesse in considerazione le novità sul tema della contabilizzazione dei derivati. Questo ragionamento porta a concludere che, per le voci coinvolte dall’iscrizione dei derivati, tra il 2015 e il 2016, si registra una variazione, positiva o negativa, completamente imputabile all’impatto delle nuove regole, che sarà stata attribuita interamente al patrimonio netto.

La seconda ipotesi, invece, più realistica, prevede che i derivati attivi, non di copertura e i derivati attivi e passivi di copertura, non vengano contabilizzati e quindi, come per la prima ipotesi, la variazione tra il 2016 e il 2015, positiva o negativa, è da considerarsi totalmente imputabile alle novità contabili; mentre, si ipotizza, ed è questa la novità, che, per i derivati passivi, non di copertura, non ci sia variazione tra il 2015 e il 2016, perché, per assolvere al principio di prudenza, il valore del derivato doveva essere già stato iscritto dalla società nel 2015.

Per quel che riguarda la metodologia d’analisi, si è proceduto come di seguito illustrato. Innanzitutto si sono andati a ricercare all’interno del bilancio 2016, riferendosi all’anno 2015, i derivati attivi (come somma dei derivati iscritti nell’attivo immobilizzato e nell’attivo circolante) e passivi di tutte le società del campione. Oltre al valore dei derivati, si è recuperato anche il valore che il Patrimonio netto assumeva nel 2015, prendendo come dato quello del bilancio 2015, non inciso dalle nuove regole di contabilizzazione.

Calcolando il rapporto tra il valore dei derivati attivi e il Patrimonio netto per ciascuna società, è possibile quantificare quanto l’iscrizione dei derivati attivi abbia pesato sull’ammontare di Patrimonio netto. Specularmente, se si confrontano i derivati passivi con il Patrimonio netto, emergerà quanto questi hanno eroso il Patrimonio netto.

Ovviamente, tra l’impatto causato dai derivati attivi e quello causato dai derivati passivi, ci sarà una compensazione, pertanto si è reso necessario calcolare la variazione del Patrimonio netto successivamente alla nuova contabilizzazione come differenza tra i due.

Ciò che è emerso è che, a livello di singolo impatto attivo e passivo, il peso sul Patrimonio netto non è irrilevante, perché l’impatto dei derivati attivi comporta un aumento medio del Patrimonio netto del 20,82% e l’impatto dei derivati passivi genera una diminuzione media dello stesso del 22,01%; questi due valori, per compensazione, indicano che la contabilizzazione dei derivati ha comportato una diminuzione media del Patrimonio netto dell’1,19%. L’interpretazione che si può dare di questi risultati è che,

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pur contabilizzando i derivati, l’impatto sul Patrimonio netto non è stato così rilevante, diversamente da come ci si poteva aspettare data la portata della normativa; l’effetto sulle voci dell’attivo e del passivo, considerate separatamente, ha la sua rilevanza, ma l’effetto complessivo presenta una variazione del Patrimonio netto molto bassa.

Tabella 5.6 – Impatto sul Patrimonio netto: ipotesi 1.

Impatto derivati attivi

Impatto derivati passivi

Impatto finale sul Patrimonio netto Media 20,82% -22,01% -1,19%

La semplificazione che prevede di assumere che nel 2015 i derivati non erano stati contabilizzati, potrebbe essere ritenuta scorretta in un unico caso, ovvero quello in cui è presente, nel 2015, un derivato passivo, considerato dalla società come non di copertura; per tutti gli altri casi l’ipotesi 1, come analizzata sopra, è da considerarsi un’ipotesi valida.

Nel caso in cui alla data di transazione, all’1/1/2016, in bilancio, compaiano derivati passivi, contabilizzati come non di copertura, questi nel 2015, per rispettare il principio di prudenza, avrebbero dovuto essere contabilizzati, tramite un accantonamento. Detto ciò, il valore, iscritto tra i Fondi rischi e oneri, nel bilancio 2015, era già in linea con le nuove regole di contabilizzazione. Se questo è vero, iscrivendo il valore del derivato passivo già nel passivo dello Stato patrimoniale del 2015, l’effetto che avrebbe comportato un decremento del Patrimonio netto è stato anticipato e non vi sarà alcuna variazione tra il valore iscritto tra i Fondi rischi e oneri, riferibile al derivato passivo, non di copertura, nel 2015 e il valore riportato nella colonna comparativa al 1/1/2016. Questa fattispecie è l’unica a non essere stata mappata nella presente analisi e il motivo è riconducibile al fatto che essa si riferisce esclusivamente a derivati passivi, non di copertura e dall’analisi empirica di tipo qualitativo, si è potuto osservare che la maggior parte dei derivati sottoscritti dalle aziende è costituita da derivati di copertura, soprattutto di tipo cash flow hedge, e solamente una quota minore di società sottoscrive derivati non di copertura.

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5.3.3.2. Analisi dell’effetto quantitativo della contabilizzazione dei derivati sul Tasso di indebitamento: metodologie d’analisi e risultati

Conclusa l’analisi quantitativa dell’impatto che la nuova contabilizzazione dei derivati ha fatto registrare sull’ammontare di Patrimonio netto, si vuole ora illustrare come sarebbe cambiato l’indice che rileva il tasso di indebitamento dell’azienda, se nel 2015 i derivati fossero stati contabilizzati secondo le regole in vigore dal 1° gennaio 2016.

Va detto, innanzitutto, che il Tasso di indebitamento complessivo è espresso come il rapporto tra i Mezzi di terzi e l’ammontare del Patrimonio netto dell’azienda. In linea generale, l’indice viene espresso in valore assoluto, non in percentuale, e il suo valore tende ad aumentare a mano a mano che i debiti dell’impresa vanno ad incidere sul totale delle fonti di finanziamento.

Illustriamo di seguito la metodologia che è stata seguita per poter organizzare e studiare il caso.

Rapportando l’ammontare del passivo nel 2015, riscontrabile nel bilancio 2015, con il Patrimonio netto del 2015, reperibile dallo stesso bilancio, è stato possibile determinare il valore del Tasso di indebitamento nel 2015, di tutte le 200 aziende oggetto d’analisi. È bene tenere in considerazione che, quando si parla di “passivo”, quale importo da inserire al numeratore del rapporto che definisce il Tasso di indebitamento, ci si riferisce alla sommatoria delle voci B, C, D, E del passivo di Stato patrimoniale. A chi scrive preme specificare questa peculiarità, perché il legislatore offre una definizione erronea di “passivo”, identificando con tale accezione le macrovoci sopraelencate comprensive anche del Patrimonio netto, macrovoce A. Il passivo così definito risulterebbe uguale al totale delle fonti, a sua volta coincidente con il totale dell’attivo. In questo senso, il Tasso di indebitamento risulterebbe dal rapporto tra il Totale attivo e il Patrimonio netto, ed è un indice che potrebbe assumere un valore minimo di 1, qualora non ci fossero debiti, e da lì potrebbe crescere, con l’aumento del debito. Nel caso del rapporto Mezzi di terzi su Patrimonio netto, il valore del rapporto è pari a zero quando l’azienda non è indebitata e da lì sale con l’aumentare dell’indebitamento.

Per calcolare quale sarebbe stato il Tasso di indebitamento se le aziende avessero contabilizzato i derivati nel 2015 con le nuove disposizioni, si sono sommati ai Mezzi di terzi del 2015 gli strumenti derivati passivi rinvenibile nel bilancio 2016, anno 2015, e al Patrimonio netto del 2015 la variazione che esso ha subito con la prima applicazione

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dell’OIC 32. Calcolando il rapporto tra il nuovo ammontare dei Mezzi di terzi e il nuovo ammontare del Patrimonio netto si è potuto determinare il Tasso di indebitamento di ciascuna azienda con i derivati iscritti.

Per riuscire a valutare qual è stato l’impatto quantitativo della contabilizzazione dei derivati sull’indice che esprime il tasso di indebitamento, si è proceduto a calcolare quale era il suo valore medio nel 2015 e come è cambiato poi questo valore con la nuova iscrizione dei derivati. È emerso che il Tasso di indebitamento medio è passato da un valore pari a 3,67 ad un valore di 4,19, registrando così un incremento del 14%. L’incremento può essere considerato contenuto.

Tabella 5.7 – Impatto sul Tasso di indebitamento

Tasso di indebitamento 2015 Tasso di indebitamento 1/1/2016

Impatto finale sul Tasso di indebitamento

Media 3,67 4,19 14%

5.3.3.3. Analisi dell’effetto quantitativo della contabilizzazione dei derivati sul ROE: metodologie d’analisi e risultati

Il secondo indice per il quale si è deciso di analizzare l’effetto quantitativo della contabilizzazione dei derivati è il ROE.

Il ROE è un indice che segnala la redditività del Patrimonio netto ed è espresso dal rapporto Reddito Netto/Patrimonio netto. A differenza del Tasso di indebitamento, il ROE viene espresso in termini percentuali. Il Reddito netto viene fatto coincidere con l’Utile/Perdita di esercizio, riportato nel Conto economico.

A differenza degli indici patrimoniali, dove si ragiona con dati puntuali, con gli indici di redditività, quali il ROE, vengono accorpati valori puntuali, quali il Patrimonio netto posto a denominatore e flussi reddituali, come la grandezza posta a numeratore. Pertanto, si andrà ad illustrare il riflesso sul ROE della nuova contabilizzazione, ipotizzando che vi sia un impatto solamente sul denominatore e non sul numeratore, quindi non sull’Utile/Perdita d’esercizio, bensì solo sul Patrimonio netto, considerato l’impatto dell’applicazione retroattiva delle nuove regole contabili.

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Il Patrimonio netto può migliorare, ma anche peggiorare, a seconda che prevalga l’impatto dei derivati attivi o dei derivati passivi. È proprio perché la variazione del ROE può oscillare in entrambi i sensi che si è rivelato interessante andare ad analizzare questo indice, per vedere, infine, se prevale un miglioramento o un peggioramento dell’indice.

Per condurre l’analisi, inizialmente si è proceduto calcolando il ROE nel 2015, quando i derivati ancora non erano contabilizzati, rapportando l’Utile/perdita d’esercizio del 2015 con il Patrimonio netto del 2015. Mantenendo il valore dell’Utile/perdita inalterato e aggiustando l’ammontare del Patrimonio netto con la variazione che esso ha subito, in positivo o negativo, a seguito dell’applicazione dell’OIC 32, si è potuto calcolare per ciascuna delle 200 aziende il nuovo valore dell’indice di redditività.

Per ravvisare l’impatto che la nuova contabilizzazione ha avuto sul ROE, si è calcolato il valore medio del ROE nel 2015 e all’1/1/2016 ed è emerso che il valore medio dell’indice è passato da 9,11% a 5,68%, registrando dunque una diminuzione del 37,62%.

C’è quindi un impatto importante, perché il ROE si è deteriorato di oltre 1/3, diversamente da quanto era emerso per il Tasso di indebitamento, dove l’effetto della contabilizzazione aveva fatto registrare un incremento abbastanza contenuto, dell’ordine del 14%.

Tuttavia, se si cerca di riconciliare il risultato sul ROE con quanto è emerso dall’analisi dell’impatto sul Patrimonio netto, sembrerebbe emergere un’anomalia: in quest’ultimo caso, infatti, si era visto che l’impatto causato dall’iscrizione dei derivati attivi sul Patrimonio netto tendeva a compensare l’impatto causato dall’iscrizione dei derivati passivi, ma essendoci più derivati passivi, rispetto ai derivati attivi, il Patrimonio netto all’1/1/2016 aveva registrato, rispetto al 2015, una variazione in diminuzione. Diminuendo il Patrimonio netto, grandezza che si trova a denominatore del rapporto che definisce il ROE, e restando l’utile o la perdita invariati rispetto al 2015, tale indice avrebbe dovuto subire un incremento, ma in realtà questo non avviene, perché il ROE diminuisce. La spiegazione si riscontra nel fatto che, tra le 200 aziende analizzate, ve ne sono alcune che hanno registrato variazioni di valore del Patrimonio netto molto alte. Per poter ottenere un risultato depurato da tali valori anomali si è calcolata la mediana degli indici delle 200 aziende, sia per il 2015, sia all’1/1/2016. Da ciò si è potuto osservare che, nonostante i valori anomali, il ROE sia leggermente migliorato, con un

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aumento dello 0,27%. Questo risultato è in linea con quanto era emerso nell’analisi sul Patrimonio netto: se l’ammontare del Patrimonio netto diminuisce dell’1,19%, la lieve diminuzione fa aumentare, anche se di poco, il valore del ROE.

Tabella 5.8 – Impatto sul ROE

ROE 2015 ROE 1/1/2016 Impatto finale sul ROE

Media 9,11% 5,68% -37,62%

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CONCLUSIONE

Con il D.Lgs. 139/2015, dopo ben 25 anni dal D.Lgs. 127/1991 e dopo il significativo aggiornamento dei principi contabili OIC, avvenuto tra il 2014 e il 2015, ha preso avvio, a livello nazionale, una rivoluzione fondamentale per i bilanci d’esercizio e i bilanci consolidati, in particolare sul tema degli strumenti finanziari derivati. Con tale Decreto è stata introdotta l’iscrizione dei derivati in apposite voci di Stato patrimoniale e Conto economico e, soprattutto, è stata disciplinata la loro valutazione al fair value. Così facendo, si è riusciti a colmare il vuoto normativo presente, in Italia, su questa materia. Le nuove regole di contabilizzazione e valutazione dei derivati si sono allineate ai principi contabili internazionali, già consolidati sul tema, dapprima con lo IAS 39: “Strumenti finanziari: rilevazione e valutazione” e più recentemente con l’IFRS 9: “Strumenti finanziari”, diventato obbligatorio dal 1° gennaio 2018 e sostituitosi allo IAS 39, considerato un principio di difficile comprensione ed applicazione. I principi contabili nazionali e il codice civile, nel redigere l’OIC 32 e nell’aggiornare gli articoli interessati dalle novità, hanno voluto rifarsi proprio all’IFRS 9, ma, temendo che quest’ultimo portasse con sé ancora troppe difficoltà per le aziende italiane, hanno deciso di introdurre un ulteriore snellimento; la novità che è stata introdotta con il nuovo standard è quella delle coperture semplici.

La nuova disciplina, concretizzatasi nel nuovo punto 11-bis, co. 1, dell’art. 2426 del codice civile e nello standard setter nazionale, con il nuovo documento n. 32, pubblicato nel dicembre 2016, presenta evidenti complessità che nel corso dell’elaborato non sono mai state ignorate. Tali difficoltà sono dettate principalmente dalla problematicità di gestione del nuovo approccio ai derivati di copertura, i quali risultano difficilmente adattabili al contesto italiano, caratterizzato dalla presenza di piccole e medie imprese, spesso non dotate di una funzione autonoma di financial risk management1. Infatti, la corretta implementazione delle nuove regole, soprattutto per quanto riguarda l’applicazione delle regole di hedge accounting, presuppone l’esistenza di soluzioni organizzative, sistemi di controllo e strumenti di valutazione, che non sempre sono presenti in tutte le imprese, soprattutto in quelle non di grandi dimensioni.

1 Si veda CHIRICO A. (a cura di), I derivati in bilancio. Valutazione e rappresentazione, Maggioli Editore,

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In realtà, non sono solo critiche quelle che vengono rivolte a questa nuova normativa in tema di contabilizzazione e valutazione degli strumenti derivati. Tra i benefici è possibile affermare che il nuovo OIC 32 e il codice civile, ispirandosi all’IFRS 9, consentono una maggiore comparabilità tra i bilanci redatti in base al codice civile e quelli predisposti secondo i principi contabili internazionali. Inoltre, le nuove regole di contabilizzazione degli strumenti finanziari derivati offrono la possibilità di avere una rappresentazione in bilancio più completa e veritiera degli effetti economici, patrimoniali e finanziari generati dalle operazioni di finanza derivata, rispetto a quanto poteva offrire la vecchia normativa2.

Dall’analisi empirica sono emersi alcuni risultati che è opportuno riassumere e commentare.

Innanzitutto, si è visto che, in genere, le aziende che sottoscrivono i derivati si sono conformate all’obbligo di valutarli al fair value. Inoltre, si è potuto osservare che, tra le 200 aziende selezionate, prevalgono i casi di derivati con fair value negativo, mentre le società che iscrivono i derivati con fair value positivo sono una minoranza. Tra i derivati attivi, la quasi totalità degli strumenti viene classificata nell’attivo circolante, piuttosto che nell’attivo immobilizzato. Sebbene numerosi derivati vengano sottoscritti per trasformare un finanziamento a tasso variabile in un finanziamento a tasso fisso, dove la passività è, in genere, classificata oltre l’esercizio successivo, il coinvolgimento delle immobilizzazioni finanziarie è registrato solo per un 7%. Questo, a parere di chi scrive, può essere giustificato dal fatto che, molto probabilmente, queste società, per coprirsi dal rischio di oscillazione del tasso di interesse, sottoscrivono IRS, che poi contabilizzano come non di copertura, coinvolgendo nell’iscrizione solamente la voce dell’attivo circolante o, qualora il fair value fosse negativo, la voce “B.3. Strumenti derivati passivi”. È importante sottolineare che, ben il 57% delle aziende analizzate, quindi più della metà del campione, ha deciso di non applicare le modalità di contabilizzazione delle operazioni di copertura, qualificando, invece, il derivato come non di copertura. Le ragioni che vengono riportate in Nota integrativa per giustificare tale omissione, sono quella del mancato rispetto dei requisiti previsti dall’OIC 32 per la qualificazione del derivato come di copertura, oppure quella dell’eccessiva onerosità che l’azienda si trova

2 Si veda MARCON C., MANCIN M., FASAN M., Gli strumenti finanziari derivati, in BIANCHI S., CORDAZZO M.

(a cura di), Il nuovo bilancio dopo l’applicazione del D.Lgs. 139/2015. Implicazioni fiscali ed evidenze empiriche, Franco Angeli, 2018.

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a dover sopportare per poter applicare tali requisiti. Stando alla ricerca effettuata, sembrerebbe che le aziende tendano a fare un uso improprio della contabilizzazione dei derivati come non di copertura, ricorrendovi anche qualora abbiano tutte le carte in regole per applicare le regole di hedge accounting.

Per quanto riguarda le informazioni generiche da riportare in Nota integrativa, si può affermare che i redattori di bilancio si preoccupano fondamentalmente di chiarire se i derivati contabilizzati siano coperture di cash flow hedge, di fair value hedge, oppure se si tratti di operazioni per le quali non è stato applicato l’hedge accounting. Le informazioni aggiuntive, quali quelle sull’efficacia della copertura o sul ricorso alle coperture semplici, spesso vengono tralasciate. Per quanto concerne le informazioni obbligatorie da riportare in Nota integrativa, va detto che, generalmente, si registra un buon livello di informazione offerto dalle aziende, soprattutto per quel che riguarda le caratteristiche del derivato (tipologia, sottostante, scadenza, ecc.) e le informazioni sulle variazioni di fair value imputate alla riserva di Patrimonio netto. D’altro canto, va anche sottolineato che la maggior parte delle imprese si dimostra poco disposta a ricercare volontariamente un più alto livello di trasparenza informativa, limitandosi a fornire in Nota integrativa solamente quanto è richiesto dalla normativa3.

Infine, è stato interessante riuscire ad osservare la relazione tra la tipologia di rischio coperto e il livello di trasparenza informativa tenuto dalle aziende; si è riusciti a dimostrare che le società che presentano un più basso livello di disclosure, sono quelle che sottoscrivono strumenti finanziari derivati per coprirsi dal rischio di oscillazione dei tassi di interesse variabili. Questo è un risultato che, a parere di chi scrive, ci si poteva attendere, essendo gli Interest Rate Swap, di tipo Plain Vanilla, caratterizzati da un livello di complessità e problematicità relativamente semplice, e perciò negoziati da aziende poco strutturate sotto il profilo della gestione dei rischi finanziari e della loro comunicazione.

Spostandosi a riassumere e commentare i risultati dell’analisi quantitativa, va detto che i risultati, con grande sorpresa, non sono stati quelli che ci si aspettava.

3 In linea con MARCON C., MANCIN M., FASAN M., Gli strumenti finanziari derivati, in BIANCHI S.,

CORDAZZO M. (a cura di), Il nuovo bilancio dopo l’applicazione del D.Lgs. 139/2015. Implicazioni fiscali ed evidenze empiriche, Franco Angeli, 2018.

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Infatti, l’introduzione della valutazione al fair value degli strumenti derivati ha mantenuto la situazione nel complesso equilibrata. Se nel 2015 i derivati fossero stati contabilizzati secondo le nuove disposizioni, il Patrimonio Netto, nel suo complesso, avrebbe subito una diminuzione dell’1,19%, l’indice che rileva il tasso di indebitamento avrebbe subito un incremento medio del 14% e il ROE un leggero miglioramento, pari allo 0,27%. Gli ultimi due risultati sono in linea con l’impatto sul Patrimonio netto, infatti questo è posto a denominatore di entrambi gli indici, e registrando una diminuzione, ha consentito un innalzamento del valore di questi.

Data la complessità e il clamore che ha portato con sé l’emanazione dell’OIC 32, era comprensibile aspettarsi un impatto complessivo ben maggiore; alcune situazioni, se prese singolarmente, come ad esempio l’impatto dei derivati attivi e passivi sul Patrimonio netto, mostrano di poter influenzare pesantemente i dati, in positivo o in negativo, ma se si guarda ai risultati complessivi gli effetti sono piuttosto equilibrati. Quindi, per concludere, si può affermare che la pubblicazione dell’OIC 32, unitamente alla disciplina sui derivati riscontrabile nel codice civile, ha sicuramente risposto alla finalità di disciplinare i criteri per la rilevazione, classificazione e valutazione al fair

value degli strumenti finanziari derivati, oltre ad essere riuscita ad introdurre nei bilanci