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CAPITOLO 2 – Materiali e metodi

2.4 ANALISI DI IMMAGINE

Per analisi di immagine si intende l’estrazione di informazioni significative da immagini, nel nostro caso foto ottenute al microscopio dei canali microfluidici per studiare specifici aspetti biologici (da cui bioimaging).

Si è eseguito il bioimaging per studiare l’effetto della degradazione dei virus sull’efficienza di espressione, e per regredire i parametri dell’equazione logistica da dati sperimentali. Per questo studio si sono utilizzati due strumenti diversi: MATLAB, con l’ausilio di subroutine specifiche per il riconoscimento di immagine, e il software Cell Profiler.

2.4.1 Analisi di immagine con MATLAB

Per studiare l’effetto delle condizioni operative dell’infezione si sono infettate le cellule co virus portatori di una proteina fluorescente verde (GFP). Si è poi dovuta calcolare per ogni esperimento l’efficienza di infezione EI (%), definita come:

VUW%Y =GQCIEF &D IHHQHI DG II

GQCIEF &D IHHQHI FHD 100% (2.4) Per numero di cellule infette si intende il numero di cellule che esprimono la GFP. Il programma in MATLAB è stato sviluppato in modo tale da ricevere in input immagini in formato .jpg e restituire il valore dell’efficienza di infezione. Affinché questo valore venga

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calcolato, il programma deve elaborare due tipi di immagini: la prima contenente i nuclei marcati con HOECHST e la seconda immagine in cui sono visualizzate le cellule che esprimono la proteina fluorescente (cellule GFP+). L’analisi della prima immagine è necessaria per individuare tutte le cellule mediante l’identificazione dei loro nuclei, che hanno una morfologia arrotondata più facile da identificare rispetto alla varietà di morfologie assunte dalle cellule.

Seguendo l’ordine del programma, la prima immagine che viene elaborata è quella che individua il numero di nuclei (e quindi di cellule). Dopo l’acquisizione della prima immagine vi è l’elaborazione che passa attraverso i seguenti punti:

-Utilizzando la subroutine di MATLAB rgbgray si ha la trasformazione dell’immagine di colore blu in scala di grigi;

-Con il comando adapthisteq viene aumentato il contrasto adattando l’intensità dell’immagine;

-Grazie al comando im2bw da un’immagine con scala di grigi si passa ad una binaria secondo una soglia indicata con un parametro n1: per valori al di sopra di questo gli elementi identificati negli step precedenti si colorano di bianco, invece per valori inferiori a n1 si colorano di nero;

-Con il comando bwmorph vengono eliminati i piccoli oggetti isolati che potrebbero essere contati dal programma come nuclei;

-I nuclei vengono identificati e numerati dal programma in base al riconoscimento di zone nell’immagine con intensità analoga e vengono rimpiccioliti utilizzando bwareopen e bwmorph in modo da renderli distanziati gli uni dagli altri;

-Per facilitare l’analisi della seconda immagine, con il comando bwlabeled vengono identificate delle regioni nella foto caratterizzate dalla stessa intensità di illuminazione; queste regioni vengono raggruppate per costituire i nuclei delle cellule.

Dopo la memorizzazione del numero di nuclei e della loro posizione nella prima immagine, si passa all’elaborazione di quella relativa alle cellule GFP+. Analogamente al caso precedente, la foto viene trasformata in scala di grigi. Sfruttando la conversione della foto in una matrice e la memorizzazione delle regioni in cui ci sono i nuclei, avvenuta nell’ultimo step dell’elaborazione della prima immagine, si effettua la media di quegli elementi della matrice che identificano la posizione dei nuclei. Queste medie calcolate forniscono i valori dell’intensità di fluorescenza associate a tutti i nuclei identificati nella fase precedente. Perciò se nelle regioni in cui vi sono i nuclei l’intensità di fluorescenza è alta vuol dire che quelle cellule sono GFP+, in caso contrario l’intensità di fluorescenza sarà paragonabile a quella del background. La soglia che determina questa distinzione, nel programma viene indicata come

n2, al di sopra della quale si ha una cellula GFP+ e al di sotto si ha una cellula che non è stata infettata (poiché non esprime la GFP).

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Grazie all’elaborazione delle due foto il programma restituisce il numero di cellule totali, il numero di cellule infette e l’EI (%).

2.4.2 Virus decay

Lo scopo di questa analisi consiste nel verificare che l’impiego di virus al di fuori delle condizioni di utilizzo (indicate dal protocollo sperimentale) ha effetti sull’efficienza di infezione. In caso positivo è necessario stabilire una correzione sull’efficienza di infezione, perché si riflette nel modello matematico sulla relazione tra MOI e EI (%).

Sono stati valutati 2 casi che si sono ritenuti influenti sull’efficienza di infezione:

-Il primo riguarda l’adsorbimento dei virus sulle pareti del PDMS, questa analisi è stata realizzata infettando cellule con una sospensione composta da medium e virus lasciata nei canali microfluidici per 2 ore;

-Il secondo è relativo alla degradazione dei virus per effetto della temperatura, in questo caso tale effetto è stato realizzato infettando le cellule con virus stoccati in una eppendorf per 2 ore a 37°C, invece di essere utilizzati subito dopo lo scongelamento graduale dovuto allo stoccaggio a -80°C.

Si è confrontato l’efficienza di infezione utilizzando tre chip, ciascuno dei quali avente nei microcanali un tipo diverso di sospensione virale: la prima contenente virus fresco (inteso come appena scongelato dallo stoccaggio a -80°C), la seconda che ha subito l’adsorbimento sul PDMS di una frazione di virus e la terza che è stata lasciata a 37°C per 2 ore. Dopo il tempo di infezione (90 minuti) sono state scattate le foto con il microscopio a fluorescenza di ciascun microcanale dei tre chip, in modo tale da poter calcolare la media e la deviazione standard dell’EI (%) per ognuna delle tre condizioni operative. Le foto così scattate sono state elaborate dal programma MATLAB descritto nel paragrafo precedente. Il programma ha quindi valutato l’EI relativa alle diverse condizioni di infezione realizzate nei 3 chip. La media e la deviazione standard dell’EI sono state calcolate sui microcanali di ciascun chip. Nel programma sono stati elaborati i risultati dell’analisi di immagine in modo tale da ottenere il numero di cellule co una certa intensità di fluorescenza per le tre condizioni di infezione. I risultati sono rappresentati in Figura 2.8, indicano il numero di cellule che hanno una certa intensità di fluorescenza, indicata in ascissa.

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Figura 2.8 I grafici rappresentano l’andamento del Numero di cellule*PDF (Ncell*PDF) con le

deviazioni standard calcolate sui microcanali di ciascun chip; A) Virus fresco, B) Adsorbimento dei virus, C) Degradazione termica dei virus.

L’efficienza di infezione dipende dalla soglia n2 impostata, infatti se questa è troppo bassa anche il rumore di fondo potrebbe essere valutato come una cellula GFP+ e se è troppo alta molte cellule che esprimono la GFP vengono perse perché emettono un’intensità di fluorescenza minore della soglia. Questa soglia è stata valutata da un confronto con un canale di controllo in cui le cellule non erano state infettate ed erano quindi GFP-. Una volta ottenute le Ncell*PDF di ciascuna delle tre condizioni operative sono state calcolate le Complementary Cumulative Distribution Function (Ncell*CCDF) definite come segue:

= threshold dx x PDF Ncell x CCDF Ncell* ( ) * ( ) (2.5)

Con x intensità di fluorescenza. Interpretando il significato dell’integrale, la CCDF(x) è una funzione che indica la somma di tutte quelle cellule che hanno un’intensità di fluorescenza maggiore della soglia. Confrontando le tre diverse CCDF si ottiene il seguente grafico:

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Figura 2.9 Complementary cumulative distribution function calcolate per i tre chip con le

rispettive condizioni di infezione.

Come ci si aspettava, si può osservare che l’efficienza di infezione con virus appena scongelati è sempre maggiore rispetto quella relativa l’impiego delle altre sospensioni virali, indipendentemente dalla soglia scelta. Il seguente istogramma riassume il confronto sull’utilizzo delle tre sospensioni virali diverse in termini di efficienza di infezione.

Figura 2.10 Efficienza di infezione delle tre diverse sospensioni virali usando una soglia pari a

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Dalla Figura 2.10 si nota che l’adsorbimento dei virus sul PDMS è tale da diminuire l’EI del 25%, mentre l’utilizzo di virus stoccati a 37°C per 2 ore ne comporta una diminuzione del 10%.