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Analisi preliminare della letteratura e sviluppo degli obiettivi

3.2.1 Il concetto di cultura organizzativa green

Come si può cogliere dalla letteratura, in particolare tra gli anni ‘70 e ‘80 dello scorso secolo (e.g. Deal & Kennedy, 1982; Pettigrew, 1979), il concetto di cultura organizzativa è diventato uno dei termini più influenti e controversi nella ricerca e nella pratica gestionale (Denison & Mishra, 1995; Linnenluecke, Russell, & Griffiths, 2009). Ad oggi permane comunque una certa varietà nel modo in cui i ricercatori concepiscono e studiano il concetto di cultura (Martin, 2002; Smircich, 1983).

La prima definizione di cultura in ambito strettamente organizzativo si deve fare risalire a Pettegrew (1979). Nei suoi studi pubblicati sulla rivista “Administrative Science Quarterly”, Pettegrew ha definito la cultura organizzativa come “un sistema di significati accettati e costruiti collettivamente, un sistema di termini, di forme, di categorie e di immagini che aiutano le persone a interpretare e comprendere le situazioni in cui si trovano” (Pettegrew, 1979, p.574).

Tra gli sviluppi teorici più recenti sul tema della cultura delle imprese, il teorico più influente è lo psicologo statunitense Edgar Schein (1985) che ha proposto la famosa definizione di cultura come:

“Lo schema di assunti fondamentali che un certo gruppo ha inventato, scoperto o

sviluppato, mentre imparava ad affrontare i problemi legati al suo adattamento esterno o alla sua integrazione interna, e che hanno funzionato in modo tale da essere considerati validi e quindi degni di essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a tali problemi” (p.35).

Agendo come una sorta di “mentalità collettiva” dell’azienda, la cultura organizzativa influenza quindi il comportamento degli stakeholders interni e le forme di interazione tra l’organizzazione e gli stakeholders esterni” (Ulrich & Brockbank, 2005).

Già a partire dagli anni ’90, il concetto di cultura ha trovato menzione nella letteratura sul tema della SA (e.g. Newton & Harte, 1997; Stead & Stead, 1992; Welford, 1995), ed è stato utilizzato per cogliere “il grado in cui le assunzioni, i valori, i simboli e gli artefatti di una

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organizzazione riflettono il desiderio o il bisogno di operare in una maniera sostenibile per l’ambiente” (Harris & Crane 2002, p. 218)

La letteratura sul greening culturale si è principalmente focalizzata sui benefici economici e ambientali che può comportare (per riferimenti vedi Harris & Crane, 2002; Fernández et al., 2003). Secondo questa prospettiva, la legittimazione delle questioni ambientali all’interno della cultura organizzativa rappresenta un elemento chiave per favorire il miglioramento della performance ambientale ed economica nelle organizzazioni (Azzone & Noci, 1998; Egri & Herman, 2000; Klassen & McLaughlin, 1993; Polonsky, Rosenberg, & Ottman, 1998; Russo & Fouts, 1997; Sharma, 2000).

Considerandolo un concetto utile per comprendere come le aziende adottano, implementano e realizzano pratiche di SA, alcuni autori hanno recentemente ribadito la necessità di fare maggiore chiarezza sul concetto di “cultura organizzativa green”, arrivando a una migliore precisazione degli elementi che la caratterizzano (Bertels et al., 2010; Daily, Huang, 2001; Linnenluecke et al., 2009).

La cultura organizzativa appare infatti un fattore cruciale per affrontare situazioni di cambiamento che coinvolgono l’intera organizzazione (Clarke, 1994; Senge, 1990;). Nella pratica, peraltro, le organizzazioni sempre più spesso dichiarano esplicitamente di avere cambiato i loro valori e credenze, in modo da essere “più green” o “più responsabile socialmente” (Crane, 1995).

Le aziende usano spesso il concetto di cultura della SA. Poco chiari, però, sono i significati che vengono attribuiti a tale termine.

Data la mancanza di una conoscenza stabilita, unitaria e condivisa, sarebbe pertanto utile: → definire le dimensioni implicate nello sviluppo di una cultura organizzativa

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3.2.2 I sistemi di gestione ambientale e la certificazione ISO14001

Abbiamo visto nella rassegna del capitolo 1 come tra gli strumenti per promuovere un approccio preventivo e proattivo al tema della SA, i sistemi di gestione ambientale (SGA) abbiano guadagnato ampio interesse nella letteratura (Boiral 2002; Kitazawa & Sarkis, 2000). In accordo con Haden, Oyler e Humphreys (2009), in generale, la gestione ambientale di una azienda può essere intesa come “un vasto processo organizzativo che riguarda l’applicazione dell’innovazione per realizzare la sostenibilità, la riduzione degli sprechi, la responsabilità sociale e il vantaggio competitivo, tramite l’apprendimento e lo sviluppo e tramite la completa integrazione degli obiettivi e delle strategie ambientali con gli obiettivi e le strategie perseguite dall’organizzazione” (p. 1052).

Per sistema di gestione ambientale nello specifico, si intende “la parte del sistema di gestione di una organizzazione volta a sviluppare ed attuare una politica ambientale e gestire i propri aspetti ambientali. Un sistema di gestione comprendere la struttura organizzativa, le attività di pianificazione, le responsabilità, le prassi, le procedure, i processi e le risorse” (Vecchiato, 2010, p. 2).

Tra gli strumenti per implementare e sviluppare un sistema di gestione ambientale, lo standard ISO 14001 appare uno dei modelli formali più riconosciuti e studiati (Bansal & Hunter 2003; Jabbour et al., 2010).

Lo standard ISO14001, risponde al bisogno di promuovere un approccio preventivo alle tematiche ecologiche, e integrare le preoccupazioni ambientali all’interno delle attività quotidiane svolte dall’azienda. In termini di riconoscimento esterno, la certificazione sulle tematiche green aiuterebbe a migliorare l’immagine di una organizzazione e, in particolare, a dimostrare il suo commitment ambientale ai clienti, alle autorità pubbliche, ai cittadini e a gruppi o organizzazioni ambientaliste (Bansal & Bogner 2002; Bellesi, Lehrer, & Tal, 2005; Jiang & Bansal 2003; Zutshi & Sohal, 2003).

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Il Sistema di gestione ambientale secondo la norma ISO 14001 si basa sul concetto di miglioramento continuo, con riferimento al ciclo di Deming “Plan-Do-Check-Act” (vedi Figura 3.1). In accordo con tale metodologia, una organizzazione che persegue tale standard dovrebbe innanzitutto formulare una politica ambientale che includa gli obiettivi ecologici; dovrebbe poi disegnare i meccanismi e le procedure attraverso i quali raggiungere/realizzare questi obiettivi; dovrebbe quindi usare sistemi di monitoraggio e di documentazione per valutare la performance rispetto gli obiettivi designati; e dovrebbe infine agire per migliorare la performance del sistema ambientale, riavviando un nuovo ciclo (Perez, Amichai-Hamburger, & Shterental, 2009).

Figura 3.1: Il modello del miglioramento continuo P-D-C-A 3

Sebbene le certificazioni vengano spesso utilizzate per dimostrare la preoccupazione ecologica delle aziende, gli outcome positivi in termini di miglioramento della performance rimangono ad oggi incerti e contradditori. Mentre alcuni autori hanno riportato un miglioramento della performance ambientale e della compliance legislativa (e.g., Kang, 2005; Potoski & Prakash, 2005), altri autori non hanno ottenuto gli stessi risultati (Andrews, 2003; Dahlström et al., 2003).

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Queste considerazioni hanno sollevato questioni e dubbi circa l’efficacia dello standard ISO14001 (Boiral, 2007), fino ad arrivare ad affermare che la certificazione ISO14001 “fornisce poco, se non nessun valore addizionale di efficienza al SGA dell’azienda, ad eccezione del riconoscimento esterno, della credibilità e della legittimazione procedurale” (Jiang & Bansal, 2003, p.1063).

Sembra dunque che standard operativi formali, come il caso della certificazione ISO14001, non siano sempre motivati dalla ricerca dell’efficienza ambientale, bensì da motivi di immagine e di legittimazione sociale (Boiral, 2007).

Un sistema di autoregolamentazione come l’ISO 14001, peraltro, può funzionare “correttamente” soltanto se le aziende “sposano” l’intento preventivo e proattivo dello standard, e perseguono quella che è stata chiamata una “sostantiva” implementazione della certificazione, in cui il focus è più sulla continua applicazione del nuovo processo di gestione piuttosto che sull’acquisizione di un mero riconoscimento formale dall’esterno (Christmann & Taylor, 2006). Di fatto, l’utilizzo della certificazione ISO14001 come una semplice “etichetta” per rimanere sul mercato perché “così fan tutti”, mette in evidenza un utilizzo strumentale delle stessa, poco orientato a realizzare un vero cambiamento delle pratiche ecologiche interne all’azienda.

In ogni caso, nella pratica organizzativa, la certificazione ISO14001 rimane uno dei modelli più riconosciuti e diffusi per implementare e sviluppare un sistema di gestione. Introdotto nel 1996, lo standard ISO14001 è arrivato alla terza revisione con l’introduzione dell’aggiornamento alla versione ISO14001:2015. L’ultima survey disponibile (aggiornata al 31 dicembre 2015) ha registrato la presenza di 319.324 certificati validi in tutto il mondo. L’Italia in particolare, si colloca terzo posto in termini di numero di certificati rilasciati (vedi Figura 3.2).

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Figura 3.2: ISO survey 20154

Alla luce della diffusione, delle opportunità e dei rischi della certificazione sarebbe pertanto utile:

→ favorire quello che è stato chiamato un “utilizzo sostantivo” della ISO14001,

facendo in modo che tale strumento diventi una vera “occasione” di cambiamento organizzativo in direzione “green”.

3.2.3 Sintesi degli obiettivi della ricerca

Gli obiettivi del progetto di ricerca possono dunque venire sintetizzati nel:

1) comprendere i fattori che caratterizzano lo sviluppo di “cultura organizzativa green”, per arrivare a una definizione chiara e condivisa del costrutto;

2) fornire indicazioni operative – “best pratices” - utili per usare lo strumento ISO 14001, come una effettiva occasione di cambiamento, evitando una adesione “adempitiva” e formale al tema della SA.