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Anat dea della caccia

Nel documento Aqhat: i molteplici aspetti del poema mitico (pagine 140-145)

Lo studio dell’identità sessuale di Anat ha spesso messo in ombra una sua ulteriore fondamentale caratteristica: la dea è senza dubbio non solo una guer- riera, ma anche una cacciatrice. Non solo è sicuramente legata all’attività ve- natoria nell’ambito della vicenda di Aqhat, che viene da lei invitato a una partita di caccia, ma compare nei panni di cacciatrice anche in altri testi. Ad esempio, in KTU 1.114, che narra l’ubriachezza di El per introdurre un in- cantesimo contro i postumi dell’ebrezza, Anat lascia il banchetto del dio per recarsi a caccia.

È inoltre importante osservare l’iconografia ugaritica, che raffigura la co- siddetta “signora degli animali”, da ricondurre molto probabilmente alla dea Anat, come afferma Day27. Sul coperchio di una pisside da Minet el Beida, che

25Cfr. Xella 1984. 26Xella 1976, p. 69. 27Day 1992

presenta uno stile miceneo ma è probabilmente una copia locale, troviamo la figura di una dea in cima a una montagna, intenta a nutrire dalle sue mani due capre. In due pendenti d’oro da Minet el Beida la divinità sormonta invece un leone; in uno tiene in mano due antilopi e ha due serpenti ai fianchi, nell’altro tiene in mano due capre. L’iconografia è certamente quella tipica della πότνια θηρῶν, appunto signora e protettrice degli animali, che sono però anche le sue prede. Ella è quindi garante dell’ordine vigente nel mondo animale, in un con- testo selvaggio che separa la caccia da un’attività come l’agricoltura, praticata nell’ambiente civilizzato e cittadino.

Per quanto riguarda Anat, abbiamo in effetti visto come la dea sembri contribuire al travaglio della giovenca in KTU 1.10 (e non solo). “Si Baal assuré la fécondation des vaches, elle (Anat) assure, de son côté, leur protection lors de la mise bas, moment où elles sont particulièrment vulnérables et exposées aux prédateurs. La chasseresse Anat est également protectrice des animaux sauvages, deux fonctions qui font d’elle une véritable potnia thérôn”28.

Bisogna considerare questo aspetto, tanto trascurato quanto cruciale, nel- l’approcciarsi a un testo come quello di Aqhat. Anat, dea della caccia, chiede al cacciatore proprio un arco, non solo simbolo erotico, nonché di potere maschi- le, ma anche, al primo semplice livello dell’evidenza, uno strumento venatorio. Ciò che dobbiamo chiederci è se qui Anat, in veste di dea della caccia e signora degli animali, abbia una funzione particolare nell’uccisione di Aqhat e se que- sta possa essere motivata non (o non solo) dal rifiuto amoroso, ma anche dal comportamento del figlio di Danil in veste di giovane cacciatore. Da indagare è quindi se ci sia e quale sia la colpa (o le colpe) del giovane Aqhat, punito con la morte dalla dea con il benestare del padre El.

Le colpe di Aqhat

Non è semplice comprendere appieno le ragioni della morte dell’eroe da cui prende il nome il poema. Si tratta di una colpa dello stesso Aqhat, della bramosia insensata di una dea che è abituata a ottenere tutto ciò che desidera, oppure entrambe le cose? Purtroppo il testo non è dalla nostra parte, essendo l’entrata in scena di Anat un punto piuttosto controverso e lacunoso dell’opera. Tutto sembra avvenire piuttosto velocemente: Anat vede l’arco, lo desidera ardentemente e lascia cadere a terra il bicchiere di vino che stava bevendo. L’ambito è quello di un banchetto, con formule tipiche che indicano il consumo di cibo e bevande1. Dopo aver notato l’arco, la dea cerca subito di ottenerlo

offrendo ad Aqhat oro e argento in cambio dell’arma. La risposta del giovane è estremamente interessante, in quanto si tratta di una vera e propria descrizione dell’arco composito.

9.1 L’arco di Aqhat

Aqhat risponde ad Anat elencando i materiali necessari perché Koṯar co- struisca anche per lei un arco2 uguale al suo. Non manca una certa dose di

arroganza nel suggerire alla dea come procurarsi un arco analogo senza cedere quello donatogli dal dio artigiano. L’elenco dei materiali componenti l’arma è una descrizione minuziosa di un tipo di arco particolare, detto composito, che apparve in Mesopotamia durante la dinastia di Akkad e si diffuse in Egitto probabilmente durante il periodo Hyksos, insieme ai carri trainati da cavalli. Come afferma Albright, “these bows were made of several strips of horn and wood glued together and covered with bark resembling cherry or silver birch in color but not yet identified”3. Lo studioso ipotizza anche che il legno utilizzato

per la costruzione dell’arco composito fosse il legno di tasso, privilegiato per la costruzione di archi durante il Medioevo, anche se Aqhat menziona il cedro del Libano4, assai pregiato e oggetto di intense attività commerciali.

L’importanza di questa innovazione tecnologica è sottolineata dalla preci- sione della descrizione di Aqhat, che si spinge fino al dettaglio: “even the double mention of ‘sinews’ and ‘tendons’ is not a repetition but rather a minute spec- ification of the materials of which the ‘composite bow’ was constructed, since besides the tendons needed for the string, sinews were needed for the prepara- tion of the very complicated material of the bow itself”5. Non bisogna esclu-

dere che l’inserimento di una così minuta presentazione dell’arco composito sia dovuto a motivi eziologici. È così attribuita a Koṯar-wa-Khasis la crea- zione di quest’arma innovativa, simbolo dell’attività venatoria, il passatempo privilegiato della famiglia reale.

2Sulla terminologia per l’arco e le frecce: cfr. Dietrich 2009. 3Albright 1942, p. 229.

4Il termine ṯqb è analizzato da Scott, che lo collega all’egiziano śqb (Scott 2000). 5Sukenik 1947, p. 13.

Probabilmente nel mito originario, che affonda le proprie radici in tempi remoti rispetto alla redazione di Ilimilku, l’arma di Aqhat era un arco semplice. La simbologia dell’arco, che sia composito o meno, rimane comunque molto forte. Da notare è anche che Anat brama l’arco ancor prima di qualunque possibile offesa da parte di Aqhat, o meglio, ancor prima che Aqhat apra bocca. È necessario chiedersi quali motivazioni spingano la dea. È forse turbata dal fatto che un’arma tanto eccezionale sia nelle mani di un mortale? Oppure vuole semplicemente impossessarsi del simbolo di una mascolinità che le appartiene come cacciatrice e guerriera? O ancora, l’arco è un simbolo sessuale? In questo caso Anat potrebbe volere l’amore di Aqhat oppure potrebbe desiderare di privare l’eroe della sua mascolinità, di evirarlo più o meno simbolicamente, come accade a numerosi cacciatori della mitologia greca.

Tra gli studiosi, Hillers6 ha affermato con convinzione che l’arco è un sim-

bolo maschile e che col privare Aqhat dell’arco Anat si impadronirebbe della sua virilità. Tra le prove che apporta alla sua teoria, Hillers fa notare che la dea Ištar, della quale ho già analizzato i tratti in comune con la dea Anat, compare in alcune iscrizioni come colei che è capace di trasformare gli uomini in donne. La questione è controversa, anche se il testo non ci dà motivo di escludere un simbolismo sessuale. Dressler, tuttavia, crede che Hillers confonda la ma- scolinità, secondo lui simboleggiata dall’arco, con la virilità: “After rejecting a sexual meaning for the bow, one is entitled, nevertheless, to mantain that the bow is a symbol of masculinity, used in the Aqhat-Epic for the masculine activity of hunting”7.

Wright, invece, interpreta l’episodio dell’arco nei termini di un rituale fallito. Il banchetto in cui si accende il desiderio della dea Anat è posto in contrasto con i precedenti banchetti del poema, considerati rituali portati a termine

6Hillers 1973

con successo. È infatti proprio in queste occasioni che vengono presentati i personaggi positivi del poema. Quando entra in scena Anat, l’equilibrio si rompe. “A deity makes a request here, not a human. Anat casts down her cup, in contrast to Il’s taking his up to bless Danil. A reversal of relationships has also taken palce: a human now essentially rejects the superiority of a deity”8. In effetti finora è stato Danil a fare richieste alle divinità e a ottenere

i loro favori. Ora invece assistiamo alla richiesta da parte di una dea e al doppio rifiuto da parte di un mortale. Certamente, anche se si vuole vedere in Aqhat la vittima, egli non ha rispettato la gerarchia, non ha ubbidito a una dea come invece gli uomini sono tenuti a fare. Se Aqhat non ha altre colpe, ha sicuramente questa.

E anche se Anat stessa, dopo la morte di Aqhat, dirà di averlo ucciso per il suo arco e per le sue frecce, bisogna chiedersi se ci sia solo questo dietro alla punizione della dea, oppure se vi sia qualche ragione meno evidente o velata dalla struttura composita di un racconto sorto nel contesto dell’oralità.

Nel documento Aqhat: i molteplici aspetti del poema mitico (pagine 140-145)