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Aqhat, la caccia e l’agricoltura

Nel documento Aqhat: i molteplici aspetti del poema mitico (pagine 153-156)

Non vi sono dubbi sul fatto che nel poema di Aqhat sono presenti temi legati all’ambito venatorio, non fosse altro che per l’arco, simbolo e punto focale dell’intera vicenda. I rimandi alla caccia abbondano nell’intero mito. Il padre e la madre delle aquile rappresentano l’arcaicità di una cultura basata sulla caccia e la raccolta19. Da notare anche l’invito di Danil ad Aqhat perché

18Fontenrose 1981, p. 183.

19Di sapore arcaico è anche la capacità della dea Anat di volare. C’è anche chi ha ipotizzato

che Ṣamal, la madre delle aquile, sia la stessa Anat, ma non lo trovo possibile, conside- rando che a Ṣamal vengono definitivamente spezzate le ali proprio con l’ausilio di Baal. È

il ragazzo offra le primizie della caccia, forse proprio ad Anat, la Signora degli animali. Infine, come afferma Xella, nella ricerca disperata di Danil dei resti del figlio “si può forse cogliere la credenza tipica dei popoli cacciatori, per cui le ossa degli animali uccisi – ma ciò vale anche per gli esseri umani – devono essere conservate e sepolte, perché rinascono (le ossa si rivestono di nuova carne)”20. La stessa ansia di una sepoltura si ha in Atteone. Pausania racconta

che il suo fantasma si sarebbe aggirato attorno a Orchomenos devastando i terreni perché le sue ossa non erano state raccolte per un’adeguata sepoltura. Nonostante tutti questi elementi, però, Aqhat non può essere definito un mito di caccia autentico, un mito, cioè, che nasce e si sviluppa in seno a una società di cacciatori e raccoglitori. Con Xella, penso che Aqhat si possa in- vece accostare meglio a un’altra categoria di miti, a quel genere di racconti che, secondo Piccaluga, è “presente solo presso popolazioni che conoscono e praticano da tempo la coltivazione” e ha “la funzione di fondare nei suoi vari aspetti appunto questa forma economica”21. Si tratta di miti in cui l’attività

venatoria, apparentemente in primo piano, cede il posto alla coltivazione e ri- mane un relitto del passato, un’attività fallimentare. È chiara la derivazione da miti di caccia autentici, che però si risolvono generalmente in catasterizzazio- ni, come avviene per Orione, o in metamorfosi. Con l’avvento dell’agricoltura, questi miti non scompaiono ma si modificano col mutare della società, così come si modifica la visione della caccia, che non è più uno strumento primario per procurarsi cibo. Anche nei testi pervenutici, a parte rare eccezioni22, i sa-

crifici coinvolgono animali da allevamento, non prede di caccia. La caccia ha infatti assunto un’importanza diversa, divenendo un passatempo regale, uno

invece plausibile che la figura della madre delle aquile rimandi ad Anat e la rappresenti, senza dover per forza essere la dea stessa.

20Xella 1976, p. 78. 21Piccaluga 1974, p. 84. 22KTU 1.6 e KTU 1.114

sport: “a perdu ce role économique primaire au profit d’une fonction avant tout sociale”23. E così dovrebbe essere anche per Aqhat, che però possiede uno

strumento venatorio divino e si vanta di fronte alla dea, trascurando quella che dovrebbe essere la sua attività principale in seno alla società, cioè l’agri- coltura. È così che trova la morte al di fuori del mondo civilizzato, nel regno della Signora degli animali.

La stessa fallimentarità nella sfera venatoria è presente, come nota Picca- luga, nei miti che vogliono fondare la tecnica agricola e in cui per il cacciatore non c’è più spazio, anzi egli incarna la fine di un certo tipo di economia. Pic- caluga osserva come tra le storie di questo tipo presenti nella tradizione greca “la maggior parte sembra utilizzare i motivi di caccia per istituire invece un tipo di realtà in cui per questa attività non vi è – né vi deve essere – più po- sto, dovendo essa cedere il passo alle nuove componenti dell’esistenza attuale, in primis all’agricoltura”24. E in effetti solo dopo la morte di Aqhat e la sua

sepoltura, sarà possibile ristabilire l’ordine e riportare la fertilità nei campi. Tutto questo si sovrappone a tradizioni più arcaiche, proprie del mito di cac- cia, che potrebbe quindi rappresentare il nucleo originario del poema. La colpa di Aqhat potrebbe essere quella più tipica del cacciatore: l’eccessiva uccisione di selvaggina, che provoca l’ira della Signora degli animali, la quale, come ab- biamo visto, è cacciatrice ma anche protettrice della fauna25. Un mortale non

ha il diritto, nelle società primitive di cacciatori e raccoglitori, di uccidere più animali di quanti gli siano necessari a sopravvivere. “L’animale non appartiene di diritto all’uomo, […] bensì al Signore degli animali, o all’Essere supremo o ad altre potenze che dominano in quella realtà estranea e perciò ‘sacra’”26. Lo

23Husser 2008, p. 332. 24Piccaluga 1974, p. 85.

25“Anat is both a huntress – a destroyer of animals – and also a benefactress who provides

for and presides over the increase of the herd” (Day 1992, p. 188).

stesso principio regola l’offerta primiziale, per cui il primo pezzo del bottino di caccia viene restituito al legittimo proprietario, perché poi gli uomini possano consumare il resto.

E Aqhat potrebbe aver negato ad Anat proprio l’offerta primiziale. Nel testo troviamo infatti l’esortazione di Danil ad Aqhat perché il giovane offra le primizie della caccia, ma poi non se ne fa più menzione, il che può far pensare che Aqhat non abbia portato a termine il suo compito. Tuttavia il fatto che le lacune del testo potrebbero nasconderci proprio quest’episodio27 mi impedisce

di trarre conclusioni.

9.5 Il mondo venatorio in antitesi all’esistenza

Nel documento Aqhat: i molteplici aspetti del poema mitico (pagine 153-156)