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Le Kōṯarāt, dee della procreazione

Nel documento Aqhat: i molteplici aspetti del poema mitico (pagine 118-121)

Dopo aver ricevuto la benedizione di El, Danil manifesta la sua gioia per la notizia del figlio in arrivo e finalmente si rilassa, liberato dall’ansia dovuta alla mancanza di un erede maschio. È a questo punto che torna nella sua casa, dopo aver compiuto il rito di incubazione nella cornice di quello che è molto probabilmente un luogo sacro, un tempio. A entrare nel palazzo di Danil sono anche le Kōṯarāt, divinità cui il pio protagonista offre nuovamente da mangiare e da bere, in una scena che echeggia quella iniziale. Tuttavia questa volta le divinità non appaiono in seguito al sacrificio di Danil, che anzi offre loro un banchetto proprio perché si sono presentate alla sua porta. Se prima, dunque, Danil ha rifocillato gli dèi al fine di ottenere la benedizione, ora lo scopo non è più una richiesta, ma quello di ringranziare le dee. Ma per cosa? Qual è la funzione delle Kōṯarāt? Si tratta solo di un gesto di ospitalità?

In Aqhat le Kōṯarāt sono accompagnate da epiteti fissi. Uno è quello di

bnt hll, che le vede associate alla luna crescente, in base all’araboلﻼِﻫ13. Sono

dette inoltre snnt, “rondini”, e la loro rappresentazione come piccoli uccelli si concilia con l’essere dee minori.

13Altri connettono il termine al canto, in base all’ebraico ל ֵלּ ַה, “lodare, cantare le lodi”.

Pardee prende invece in considerazione altre due ipotesi: hll potrebbe essere un termine astratto indicante splendore e purezza, oppure il nome della dea Hulel, conosciuta da Emar (cfr. Pardee 2003, p. 345).

La conferma che si tratti di divinità ci arriva da KTU 1.24, dove vengono appunto chiamate ilht14. La tavoletta in questione contiene l’unione della dea

lunare Nikkal e del dio luna Yariḫ, propiziata appunto dall’intervento delle Kōṯarāt. La tavoletta è piuttosto danneggiata e di conseguenza di difficile interpretazione. Da quello che riusciamo a capire, nella prima sezione si descrive una sorta di negoziato per il matrimonio, nel quale anche le Kōṯarāt recitano una parte; si ha poi un inno dedicato a queste divinità, cui si attribuiscono anche dei nomi propri; dei sette nomi, però, solo per tre si è riusciti a risalire a una possibile etimologia, che fa riferimento appunto alla sfera del matrimonio15.

Come fa notare Margalit16, il numero sette ricorre anche in fonti sumeriche,

dove Dumuzi è detto “signore dei susapinū”, che hanno il compito di condurre la sposa a casa del futuro marito e che sono appunto sette.

Il termine kṯrt va ricollegato all’accadico ša-su-ra-tum, che nel poema di Atraḫasis indica delle divinità deputate alla nascita. Anche se il significato della radice rimane controverso17, che si tratti di dee che accompagnano l’u-

14KTU 1.24 11,40

15Ṯlḫh va collegato all’ebraicoםי ִחוּלּ ִשׁ, che indica un tipo di dote; mlgh, in base all’accadico

mulūgu, è un dono fatto dal padre alla figlia nel giorno del matrimonio; dmqt potrebbe

connettersi sia all’accadico damqu, “giusto, nobile”, sia all’accadico dumāqū, che indica un insieme di gioielli e ornamenti donati dal marito alla moglie.

Cfr. Margalit 1972.

16Margalit 1972, pp. 58-59.

17Come fa notare van Selms, la radice K-Ṯ-R si trova in diversi termini ugaritici, sia nel

nome delle Kōṯarāt che in quello del dio Koṯar-wa-Ḫasis, ma anche in un nome maschile plurale, kṯrm, e nell’epiteto di una divinità minore, mkṯr. Si può desumere che la radice sia la stessa poiché in ugaritico il fenomeno dei sinonimi è piuttosto ristretto rispetto, ad esempio, a ebraico e aramaico.

L’ipotesi più comune è quella che connette il termine all’ebraico ר ֵש ׇֹכּ, “idoneo, adatto”. Van Selms obietta, tuttavia, che se così fosse dovremmo aspettarci che la ṯ ugaritica compaia in aramaico come t, mentre in palmireno troviamo il termine kšr.

nione di due sposi pare quindi assodato. Anche in Aqhat, infatti, svolgono la funzione di propiziare l’accopiamento di Danil e Danatay affinché possa- no concepire un figlio, come previsto da El. D’altra parte, anche se il testo è danneggiato, il riferimento al concepimento è esplicito in KTU 1.17 II 41-2, dove appunto queste divinità sono associate al “letto della procreazione”. Altro indizio fondamentale è il conteggio dei mesi da parte di Danil, che sembrano proprio essere quelli della gravidanza. Se alle istruzioni di El sull’unione con Danatay non segue infatti l’esecuzione delle stesse da parte di Danil, come di solito accade in questo tipo di poemi, in cui all’ordine segue la descrizione della sua realizzazione, la funzione di portare avanti la narrazione fino alla nascita di Aqhat è svolta proprio dall’apparire delle divinità preposte alla procreazione,

dica ferramenta, per cui la radice K-Ṯ-R farebbe appunto riferimento al metallo, il che non cozzerebbe con il carattere di artigiano del dio Koṯar-wa-Ḫasis.

Originale è la proposta di van Selms (van Selms 1979), il quale analizza le varie atte- stazioni della radice e basa la sua interpretazione sul termine תוֹר ָשׁוֹכּ che compare nei Salmi (Sal 68:7), in un contesto difficile da decifrare. Dio procura una famiglia a quelli che sono da soli e libera i prigionieriתוֹר ָשׁוֹכּ ַבּ. Nella Vulgata troviamo “in fortitudine”, mentre i LXX traducono ἐν ἀνδρείᾳ, ma van Selms crede che il significato del termine sia in realtà “catene”, ipotesi che si concilia con quella di Dietrich e Loretz e che trova conferma in alcune traduzioni della Bibbia. Koṯar-wa-Ḫasis sarebbe quindi una divinità che non nasce nel pantheon ugaritico, ma che in esso entra in cattività, come prigio- niero: da qui la sua mansione di artigiano degli dèi. In effetti Koṯar sembrerebbe essere originario dell’isola di Creta e non vengono menzionate per lui parentele con gli altri dèi del pantheon ugaritico, né possiede una consorte. Allo stesso modo anche le Kōṯarāt sarebbero divinità di origine straniera adottate da Ugarit.

Margalit, però, dà una spiegazione del tutto diversa del passo dei Salmi. Secondo lui il termine םי ִרי ִסֲא non sarebbe quello originario, ma sarebbe derivato per metatesi dal participio passivo qal, non attestato, di ֹשרא, il cui campo semantico è proprio quello del matrimonio. Allora il riferimento sarebbe proprio alle Kōṯarāt, protettrici del matrimo- nio, per cui Margalit propone la seguente traduzione: “The Lord finds a mate for the solitary; He escorts the betrothen along with the Košarot” (Margalit 1972, p. 61).

le Kōṯarāt. Probabilmente a questo episodio seguiva la descrizione della nasci- ta stessa, che però non è giunta fino a noi e che doveva ovviamente precedere l’episodio dell’arrivo di Koṯar-wa-Ḫasis, anch’egli personaggio divino con un ruolo importante nel mito, il cui nome, tra l’altro, sembra proprio presentare la stessa radice di quello delle Kōṯarāt18.

Nel documento Aqhat: i molteplici aspetti del poema mitico (pagine 118-121)