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ANCHE IN CAMPANIA, NON C’È FUTURO SENZA RICERCA

Nel documento Creatività e culture giovanili a Napoli (pagine 90-92)

DEGLI ESPERT

ANCHE IN CAMPANIA, NON C’È FUTURO SENZA RICERCA

di Luigi Amodio

Alla fine della seconda guerra mondiale il matematico americano Vannevar Bush, consulente scientifico di Roosevelt, scrisse un famoso rapporto in cui si ana- lizzava l’esperienza del progetto Manhattan e in cui si proponeva che l’esperienza maturata con questa im- presa venisse utilizzata per impostare la politica scien- tifica del Paese in tempo di pace.

Il punto di partenza del rapporto era la constatazione che un migliaio di scienziati, fino al giorno prima impegnati ognuno nelle proprie ricerche in vari laboratori e uni- versità, erano stati capaci – organizzati opportunamente – di raggiungere un risultato conoscitivo, tecnologico e applicativo tale da stravolgere il corso della storia e i connotati della civiltà umana. Ciò dimostrava che i labo- ratori universitari, in cui si svolgeva la ricerca fondamen- tale, sono una palestra in cui si sviluppano conoscenze, abilità e metodi cui accedere per conseguire importanti obiettivi strategici di interesse generale; dunque, valeva la pena che lo Stato investisse ingenti risorse pubbliche a sostegno della ricerca libera, “curiosity driven”, anche se ciò a prima vista poteva sembrare un lusso.

Le linee di politica scientifica indicate da Bush furo- no fatte proprie dal Presidente e dal governo Usa con la messa in campo, fra l’altro, di importanti strumen- ti come la National Science Foundation per sostenere la ricerca spontanea, i grandi programmi e laboratori

di ricerca pura, le campagne di educazione scientifi- ca, ecc. Ciò rese possibile lanciare e portare a termine imprese tecnico-scientifiche di tale sofisticazione e im- pegno che, al confronto, il Progetto Manhattan appare come un’impresa da ragazzi.

Insomma, fu subito chiaro che il generoso sostegno pubblico alla ricerca di base non solo produce nuova conoscenza ma mette anche a disposizione del sistema produttivo una varietà di nuove tecnologie capaci, da un lato, di migliorare la qualità della vita, dall’altro, di accrescere la competitività del sistema-paese nel con- testo internazionale.

In particolare, nel caso della ricerca libera, i risultati si conseguono spesso attraverso la cosiddetta “serendipi- tà”, cioè scoprire qualcosa mentre se ne cerca un’altra. Ma perché ciò avvenga è necessario che il sistema pro- duttivo sia attrezzato per filtrare e finalizzare le poten- ziali applicazioni della ricerca di base e ciò richiede che anche gli operatori della produzione siano presenti e attivi sul terreno della ricerca con competenze e labo- ratori adeguati. Ecco perché nei paesi più avanzati lo Stato finanzia la ricerca libera e stimola con opportuni incentivi anche il settore privato a investire adeguata- mente in ricerca applicata.

L’Italia, invece, ha fatto la scelta dello “sviluppo senza ricerca”. Una scelta che affonda le sue radici nello stato in cui il Paese si trovava quando, nel secondo dopo- guerra, reagì con una generale e fortissima volontà di riscatto alla sua situazione disastrosa, facendo conto su: 1. l’abbondanza di manodopera a basso costo per il settore industriale e migrazione interna;

2. il mercato in forte espansione, grazie alla diffusione di nuovi beni di consumo;

3. gli incentivi alla ricostruzione e agli investimenti, anche grazie al Piano Marshall;

4. il ricorso alla creatività e al design industriale e così via.

Insomma, il “boom economico” si è verificato senza che la parola “ricerca” venisse nemmeno pronunciata. Ma mentre il Paese procedeva nel suo sviluppo senza ricerca, la comunità scientifica non rinunciò a offrire e pretendere di avere un ruolo nel processo di ricostru- zione. Ad esempio, nel caso della fisica, su iniziativa di personaggi come Amaldi e Bernardini fu elaborato un progetto di promozione della ricerca in fisica nu- cleare che originò a Frascati il relativo Laboratorio Nazionale, la costituzione dell’Infn, il Cern di Ginevra. Iniziative generosamente finanziate, palestre per i gio- vani ricercatori, stimolo anche per le altre discipline scientifiche a portarsi su livelli di eccellenza.

Ora se è vero che nel nostro Paese le risorse alloca- te alla ricerca di base sono state e sono scarse, questa critica vale però solo in termini quantitativi; in termini qualitativi, la nostra ricerca ha svolto egregiamente il suo ruolo in quanto dovrebbero essere le imprese (e non tanto università e laboratori) ad attrezzarsi per tradurre in iniziative produttive le opportunità offerte dalla ricerca.

Inoltre, il sistema più efficace di trasferimento tecnolo- gico è lo scambio e la mobilità dei ricercatori che, pur- troppo, in Italia diviene “fuga dei cervelli”, in quanto il nostro Paese non crea nuovi ricercatori e non riassorbe

quelli che si trasferiscono all’estero per poter lavorare, portando all’estero anche le risorse (pubbliche) inve- stite per formarli, in lunghi anni di studio e alta for- mazione.

Tutto ciò porta a due necessità: la prima è costruire nuovi sistemi di relazione fra la ricerca e la società in- tesa in senso lato; la seconda è che, uscendo dalla reto- rica, si finisca con la schizofrenia tutta italiana che, da un lato, si esalta per le eccellenze scientifiche (magari portandole pure in Senato a vita) e, dall’altro, continua a tagliare, ridurre, amputare un sistema già di per sé allo stremo.

Questo discorso – di cui purtroppo nessuna delle maggiori culture politiche oggi in campo sembra pie- namente consapevole, a parte le enunciazioni rituali – vale ancor di più per la nostra Campania (che pe- raltro nell’ultimo decennio ha provato a investire an- che con risultati apprezzabili sui settori della ricerca e dell’innovazione) il cui futuro non può certo essere fondato solo sul turismo, come alcuni vorrebbero. Solo una nuova industrializzazione che punti sui settori più avanzati potrà forse ridare alla nostra regione una pro- spettiva di futuro.

IL PRESEPE COME METAFORA

Nel documento Creatività e culture giovanili a Napoli (pagine 90-92)