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IL CAMBIAMENTO CULTURALE NELLA SOCIETÀ DELLA COMUNICAZIONE

Nel documento Creatività e culture giovanili a Napoli (pagine 85-88)

DEGLI ESPERT

IL CAMBIAMENTO CULTURALE NELLA SOCIETÀ DELLA COMUNICAZIONE

di Derrick De Kerckhove

Pinocchio 2.0

Si parla oggi di generazione “always on”, “sempre connessa”, e di persone nate con un telefono cellulare in mano. Che significato ha tutto ciò?

La generazione “always on” è caratterizzata dall’es- sere costantemente raggiungibile grazie al proprio di- spositivo mobile. Vive in una condizione di fiducia e disponibilità, in una sorta di dialogo incessante con il mondo. È anche una generazione iperstimolata, com- posta da drogati di informazione e connessione che hanno bisogno di far circolare e ricircolare informazio- ni dalla mente biologica a quella delle reti. Costruisce la propria identità online attraverso i social media e vive dell’eccellente reputazione che riesce a procurarsi curando il proprio profilo e i propri contatti. È quasi letteralmente “inserita” nella mente aumentata. Possiamo spingerci fino a sostenere che la generazione “always on” giunge a vedere il mondo in modo molto diverso dalle generazioni immediatamente preceden- ti. Per questa generazione il mondo è sia globale sia geo-localizzato, allo stesso tempo. Ovunque si trovino, sono potenzialmente in contatto con il mondo intero. Come ha già osservato Doug Rushkoff, al giorno d’og- gi i bambini non si limitano a guardare la televisione, come facevano i loro genitori, interagiscono con essa.

Sono multitasking, e, come il ragazzo di Ritorno al fu-

turo, il film di Spielberg, possono gestire diverse “fi-

nestre” in una volta. La loro intelligenza si affida alla connessione con ipertesti colmi di riferimenti e tag, ipertesti che hanno gli stessi utenti al loro centro. I gio- vani sono “amici” già a tre o quattro gradi di separazio- ne (vale a dire, si considerano amici degli amici degli amici degli amici dei loro amici, magari senza averli mai incontrati di persona), mentre i loro nonni avevano bisogno almeno di stringere la mano a una persona più di una volta per considerare quella persona un “amico”. Detto questo, non si può veramente parlare di qualche gap generazionale tra genitori e figli. Dobbiamo pure riconoscere che le generazioni si mescolano e che im- migranti o nativi digitali sono sempre più vicini preci- samente perché sono ugualmente digitalizzati. Ma è anche la generazione “dalla bassa soglia di atten- zione”. Si sente e si legge molto oggigiorno in merito alle ripercussioni dei nuovi media e ai loro presunti effetti deleteri sulle menti dei nativi digitali. In altre parole, è preferibile che i contenuti – libri, media, noti- zie, film – siano brevi, veloci, facilmente fruibili come un sms o un tweet. Pero non è detto che questa sia una cosa negativa.

Nicholas Carr si chiede con ansia se “Google ci renda stupidi”, se Internet “alteri il nostro modo di pensare rendendoci meno capaci di digerire ampie e complesse quantità di informazioni, come libri o articoli di riviste”. Dal mio punto di vista, è meglio chiedersi se l’elaborata articolazione dei messaggi non contrasti con l’inevita- bile accelerazione della vita e della cultura introdotta

dall’elettricità, a partire dall’avvento del telegrafo. I rit- mi di vita e di apprendimento sono stati completamente alterati dalla rapida successione di enormi cambiamenti tecnologici, che includono il telefono, la radio, la televi- sione, i personal computer, Internet, i telefoni cellulari e le tecnologie mobili in generale.

Lìattenzione a breve termine non vuol dire necessa- riamente attenzione debole, può significare attenzio- ne veloce. Una cosa di cui i critici della cultura dello schermo non riescono a rendersi conto è che elaborare un’immagine richiede meno tempo rispetto al’elabora- zione di anche solo una dozzina, figuriamoci un centi- naio, di parole. L’attenzione a breve termine è quello che ci vuole per far fronte a richieste rapide, ma non preclude un’attività di pensiero più profonda. Quando hai davvero bisogno di approfondire e concentrarti, puoi farlo. Non è più una questione di immagazzinare informazioni. Perché preoccuparsene, dato che è tutto intorno a te? È più che mai una questione di contesto e di interesse. I ragazzini pensano di non amare lo studio perché il sistema educativo fallisce sistematicamente nel coinvolgerli. E questo li manda fuori di testa. Da parte sua, come non citare le geremiadi di Sherry Turkle a proposito del fatto che le tecnologie della comunicazione stanno isolando le persone, limitando le reali interazioni umane, in una “realtà virtuale che non è altro che una brutta imitazione del mondo vero”. Perché sento una strana sensazione di “déjà vu”? Perché ho già sentito tutto ciò a proposito della televi- sione e non si è rivelato vero, quindi ho la tendenza a dubitare. In realtà, la mia esperienza è che, almeno per

quanto riguarda i miei studenti, sì, è vero, loro non leg- gono molto, ma di certo sanno come visionare e esplo- rare Internet, trovare contenuti pertinenti e focalizzarsi sul materiale da loro selezionato. Stupido è chi non usa Google. Per quanto riguarda l’isolamento, possiamo rispondere a Turkle che Twitter, le email, i social me- dia, piuttosto che isolarci in camera nostra, davvero ci mettono continuamente in contatto gli uni con gli altri. La vera domanda è perché nessuno di tanti critici dell’impatto della rete sui giovani non vede che il loro compito è di adattarci a una profonda rivoluzione epi- stemologica e che in generale ci arrivano abbastanza bene ritrovando come Pinocchio la lora umanità oltre la macchina.

Su questo piano mitico della ricoperta di umanità per- sa, che succede in Campania? C’è un genio che abita ancora le strade di Napoli e la sua aura penetra quella dei passanti. Si chiama Pulcinella.

Pulcinella 2.0

Prima di tornare a Napoli avevo sempre pensato che Pulcinella fosse un mito specificamente napoletano. Il fatto che sarebbe nato ad Acerra mi ha molto sor- preso e ci ho ripensato spesso. Significa forse che il personaggio è di natura campana, non solo della città. Pulcinella è un carattere tragicomico, inaffidabile, sim- patico: benché si trovi spesso in colpa, sempre prova a uscire da questa colpa, con gentile furberia o piatte scuse, con progetti grandiosi e realizzazioni quanto

meno precarie. È certamente polimorfo, però all’inizio (e al fondo) la figura profonda di Pulcinella viene dal fatto di essere di origine contadina. Pulcinella rappre- senta in tanti modi la gente della campagna che ce l’ha con quella della città. Il suo ruolo di critico del potere, che è quello tradizionale del buffone nelle monarchie, sorge nel Seicento dalla frustrazione della Campania verso la classe dirigente di Napoli. Il nuovo personag- gio prende la posizione della gente comune, concen- trando l’ironia e l’energia creativa della popolazione campana, indirizzandola sulla critica del potere. Non è da poco che non solo Napoli ma tutta la Campania soffra della tirannia. Oggi più che mai.

La problematica fondamentale di Pulcinella continua nell’era digitale. Infatti la situazione è peggiore e resiste ancora alla trasparenza della cultura digitale: le attrez- zature sono incomplete, l’uso della rete è sporadico. La storia di Napoli e della Campania è quella di gran- di capacità, di un enorme potenziale, tutti sprecati. Per rispondere alla nuova tirannia 2.0, dov’è il Pulcinella 2.0? Abbiamo bisogno di consentire una nuova meta- morfosi a Pulcinella e fargli incontrare la rete. Si tratta di usare la rete per fare risorgere globalmente la figu- ra di Pulcinella come quella della nuova resistenza, la nostra primavera araba, sardonica al modo napoletano. Perché non usare i social media e Youtube per svilup- pare un transmedialità partecipativa di racconti e di cri- tica? Potrebbe essere un punto di partenza…

ECONOMIA DELLA CULTURA E AZIONE

Nel documento Creatività e culture giovanili a Napoli (pagine 85-88)