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IL PRESEPE COME METAFORA CULTURALE*

Nel documento Creatività e culture giovanili a Napoli (pagine 92-95)

DEGLI ESPERT

IL PRESEPE COME METAFORA CULTURALE*

di Marino Niola

La tradizione non si può ereditare, e chi la vuole deve conquistarla con grande fatica T.S. Eliot

Ogni anno San Gregorio Armeno, cuore antico dell’ar- te presepiale napoletana, è attraversata da un fiume di folla che si riversa tra le botteghe dei figurinai. Così si chiamano gli artigiani che da tempo immemorabile fabbricano i cosiddetti pastori.

Fabbricanti di immagini per una strada che è essa stes- sa un’immagine, un luogo dell’anima napoletana come solo possono esserlo le strade che non hanno mai smes- so di essere battute dal tempo della fondazione, fino a incarnare lo spirito del luogo. Ferdinand Gregorovius, che seppe cogliere la profondità e la serietà che si cela- vano dietro l’ingenuità della cartapesta, affermò che i figurinai erano in realtà creatori di divinità per il popo- lo, come lo erano Omero ed Esiodo nell’antica Grecia. San Gregorio Armeno – e tutto ciò che si aggruma in- torno al perpetuo, fluviale scorrere di Spaccanapoli – custodisce in realtà, tra le invenzioni multicolori dei suoi artigiani, i “geni” della polis: da san Gennaro, che la tradizione vuole nato proprio qui, a santa Patrizia, il principio femminile di Napoli, il cui sangue è custodito proprio nella splendida chiesa che prende il nome dal santo eremita d’Armenia.

dunque, proprio perché nodo spaziale ed urbano, San Gregorio Armeno è un cardine che collega due decumani: via Tribunali e via San Biagio dei Librai. Passaggio tra due livelli spaziali e, insieme, tra due pia- ni temporali, tra due tempi della storia, due ritmi della città, questa arteria – proprio come i passages parigi- ni nella capitale del XIX secolo – rivela che la natura specifica di certi luoghi urbani è proprio nel connettere più rapidamente tempi e spazio, uomini e merci, lavoro e tempo libero, materiale e immaginario. E soprattut- to nell’accelerare la comunicazione e la circolazione, l’incontro tra umanità, trasformando così il tempo in spazio, poi in immagine e, quindi, in denaro.

Del resto la storia urbana mostra chiaramente che il successo, anche economico, del presepe – con la svolta della devozione tardo-seicentesca in senso intimistico, familiare – è uno dei riflessi del nuovo protagonismo sociale e culturale della borghesia. È nell’investimen- to affettivo ed economico sulla casa da parte dei ceti emergenti che si pongono le basi della completa affer- mazione del presepe domestico.

I grandi viaggiatori europei del Settecento colgono per- fettamente nella pratica una spesso sottostimata ratio calcolante e ottimizzante, che dà al gioco della devozio- ne le forme profonde di un tempo e di un ceto sempre più mobili. Sta di fatto che il dinamismo sociale, che è proprio della borghesia, è una delle ragioni culturali, sociali ed economiche della diffusione sempre più larga del presepe. Anche per un effetto di emulazione. Samuel Sharp, in visita a Napoli nel 1765, era colpito dal fatto che in città non solo i signori fanno il presepe:

“tutta la povera gente che non ha un presepe ne com- pra di questi mesi uno di picciol conto e a buon prezzo: se lo mette in casa, lo conserva con tutte le cure e lo fa durare per secoli”. Il successo di questa tradizione è dunque indissociabile dai mutamenti economico-so- ciali del Settecento, dalle trasformazioni delle forme e dell’organizzazione del lavoro, dall’emergere di nuovi profili professionali e di filiere produttive inedite. E dun- que sono decisivi fattori quali la divisione moderna del lavoro, la parcellizzazione delle funzioni e delle unità produttive. Omologazione, introduzione di misure stan- dard, intercambiabilità delle parti, il presepe entra trion- falmente nell’epoca della riproducibilità tecnica. Fausto Nicolini paragonava nel 1930 la catena di pro- duzione dei pastori all’attività di una fabbrica di gio- cattoli, una fabbrica diffusa, con delocalizzazione delle fasi di lavorazione fino all’assemblaggio finale ad ope- ra di un presepiante. Cosa che del resto avviene tuttora. Inoltre, la crescita della capacità produttiva e la diver- sificazione dell’offerta contribuiscono a determinare quel sovraffollamento della scena sacra tale da rendere inevitabile un rimpicciolimento progressivo delle figu- re fino a un quarto della grandezza naturale e poi via via sempre di più. In questa dinamica si riflette quella segmentazione minutissima degli spazi, delle misure e delle figure ad immagine di quel principio profon- do che governa i codici spaziali della Napoli fra Sei e Settecento e che resta come tratto di lunga durata, facendo della congestione una delle più diffuse con- venzioni rappresentative della città.

conservazione, sia in realtà strettamente legato ad uno straordinario mutamento sociale, ad una generale ri- configurazione delle identità individuali e collettive in funzione di una mobilità sociale crescente.

Insomma è una vocazione antica quella che oggi si esprime nelle forme di un lavoro a lungo derubrica- to frettolosamente come sommerso – peraltro il solo antidoto alla disoccupazione interamente autoprodotto – guardata come un residuo premoderno. Tale voca- zione produttiva andrebbe interrogata anche come an- tico modello di organizzazione di forze produttive, di flessibilità, di mobilità, di riconversione del lavoro per vedere se non sia il caso di estrarne l’indicazione per il futuro che spesso il laboratorio “popolare” napoletano continua a fornire silenziosamente.

Forse i nuovi scenari politico-sociali consentono final- mente di cogliere con occhi più liberi quanto dell’im- magine di Napoli appartiene ad un passato che è giusto lasciare al suo destino e quanto, invece, abbia da tempo cominciato ad abitare il futuro sgusciando tra gli inter- stizi dei grandi modelli del cosiddetto sviluppo. In fondo la fortuna del presepe è legata proprio ad una trasformazione in senso moderno della produzione ar- tigianale che ormai due secoli orsono fece di una parte del centro antico della città un “distretto produttivo”

ante litteram. Più cresceva la riproducibilità tecnica

delle figurine del presepe, più la macchina rituale nata- lizia si diffondeva diventando sempre più alla portata di tutti. Una devozione moderna e resa possibile dalla modernità, strettamente legata alle mutazioni culturali, religiose, familiari che tra Sette e Ottocento investono

la città. In questo senso la fabbricazione dei presepi è come la fabbricazione dei santi, la raffigurazione di un ethos e, al tempo stesso, la cellula centrale di un’eco- nomia sacralizzata, certamente non meno degna, sul piano economico come su quello culturale, di quel

merchandising del sacro che trasforma molti santuari

e luoghi di culto in grotteschi discount della devozione. San Gregorio Armeno, crocevia di strade e di attività, emblema di antica capacità di imprendere messa qua- si sempre al servizio della sopravvivenza è dunque il perfetto emblema di una città che è insieme antica e moderna perché nelle sue arterie scorrono inesausti fiumi di tempo. La grande sfida consiste nel volgere al futuro questa compresenza e riuscire a rielaborarne i materiali storici. Trasformando il passato in risorsa e la tradizione in innovazione.

CREATIVITÀ E CULTURE GIOVANILI

Nel documento Creatività e culture giovanili a Napoli (pagine 92-95)