Tornando, brevemente, sulla pronuncia dalla quale hanno preso spunto queste pagine.
Essa confermerebbe l’idea, ormai ampiamente dibattuta, di facile adattabilità, in sede interpretativa, della fattispecie di associazione di tipo mafioso in spregio ai canoni della legalità.
Ne è un esempio il richiamo a concetti quali assoggettamento e omertà “interna”.
133 La ricostruzione proposta sembrerebbe fedele alla configurazione degli illeciti associativi come reati di pericolo: se, infatti, la condizione di assoggettamento e omertà si pone come risultato temporaneo dello sfruttamento della forza di intimidazione, finché non venga sfruttata la capacità di incutere timore l'associazione rappresenta una mera fonte di pericolo per l'ordine pubblico. Il danno si verificherebbe, piuttosto, quando lo sfruttamento della forza ingenera concretamente e attualmente assoggettamento e omertà. In questo senso, Ingroia, op. cit., 74, De Francesco, Ratio di garanzia ed esigenza di “tutela” nella disciplina costituzionale dei limiti alla libertà di associazione, in Scritti in memoria di Domenico Barillaro, Milano, 1982, 237, Palazzo, Associazioni illecite ed illeciti dell’associazione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1976, 429.
134 Tribunale di Rimini, Abbiassov, sentenza 14 marzo 2006, cit., 519. La critica è rivolta alla pronuncia del Tribunale di Bari, cit.. La critica poggerebbe sul fatto che il contesto territoriale non figura tra i parametri di valutazione espressamente richiesti dalla lettera della norma e non sarebbe nemmeno necessario sotto il profilo logico-sistematico. “La forma libera che caratterizza la fisionomia del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, e dunque la mancanza di tipizzazione della relativa condotta, consentono al giudice di merito di cogliere, nel processo di metamorfosi della mafia nel tessuto sociale ed economico, i contenuti dell'appartenenza anche in nuove e più evolute forme comportamentali di adattamento o di mimetizzazione, rispetto alla classica iconografia del mafioso.” Vedi Cass. pen., 18 gennaio 2005, Sorce, in Foro Italiano, Repertorio, 2005, voce ordine pubblico, n. 26.
Lo si evince dall’inciso sopra richiamato135
, secondo il quale la fattispecie di associazione di tipo mafioso si caratterizza dal lato passivo, per una condizione diffusa e generalizzata di assoggettamento e omertà, con percezione “anche” all'esterno (rectius: non solo all’esterno), dell'ambiente in cui la consorteria opera136
. Ancora una volta sembra confermato l’orientamento che assegna all’assoggettamento non solo la valenza di costrizione di individui estranei all'associazione, i quali sono indotti ad assumere comportamenti conformi alle pretese e alle finalità dell'associazione mafiosa.
Con il termine assoggettamento si descrive anche la posizione di sottomissione, quasi di vassallaggio che caratterizza il singolo associato nei confronti dei membri più autorevoli e del gruppo mafioso nel suo complesso.
Interessante notare l’origine sub-culturale cui viene ricondotta tale ultima condizione, frutto del riconoscimento del potere mafioso come unico potere legittimo, e consolidata dal timore delle rappresaglie tipicamente conseguenti a episodi di tradimento e insubordinazione137
.
Stando a questa impostazione, la stessa matrice sembrerebbe rinvenibile anche all’esterno, nella misura in cui persone non associate alla consorteria mafiosa ne condividano la sub-cultura tipica, subendo comunque la forza di intimidazione nel quadro di una sorta di legittimazione del potere mafioso.
Nonostante si sia giunti a riconosce la natura di residuo storico in via di estinzione dell'”assoggettamento sub-culturale esterno” 138
, osservabile nelle zone tradizionali maggiormente inquinate da fenomeni classici di mafia, il richiamo a esso potrebbe, invece, conservare una valenza esplicativa in relazione a realtà organizzate straniere che rivolgono la propria attività di intimidazione nei confronti del gruppo di appartenenza insediatosi in Italia.
Analoghe considerazioni possono essere svolte in merito all'omertà, posto che non si rimanda alla definizione generalmente adottata di rifiuto di collaborare con gli organi dello Stato139, preferendo il richiamo al concetto di “solidarietà”140.
135 Si vedano le pagine 14 e 23.
136 Tribunale di Rimini, Abbiassov, sentenza 14 marzo 2006, cit., 514.
137 E’ evidente come in questo modo si introducano elementi meta-giuridici nella descrizione della fattispecie, screditando l'affermazione inizialmente posta della valenza generale ed astratta della definizione normativa adottata dal terzo comma. La critica è a Turone, op. cit., 1984, 86, ibidem, 2008, 157. Sul punto, comunque, non esiste uniformità di vedute. Fiandaca, Commento, cit., 260, ritiene che assoggettamento e omertà siano effetti psicologici che si producono esclusivamente all’esterno della realtà associativa di mafia, il cemento che lega gli appartenenti al gruppo è costituito dalla comune adesione ad una specifica subcultura. Contra: De Liguori, Brevi note, cit., 1523.
138 Turone, op. cit., 1984, 86.
139 Turone parla di rifiuto generalizzato, assoluto e incondizionato; nel senso che esso non sia dettato da motivi contingenti, non abbia carattere episodico e occasionale, non trovi
Si tratterebbe, allora, di distinguere tra omertà passiva indotta dall'intimidazione, anch’essa interna ed esterna e omertà sub-culturale, la quale ultima lungi dall'essere una condizione subita rappresenterebbe, piuttosto, una condivisione dei valori tradizionali del gruppo criminoso riaffermati proprio attraverso il comportamento omertoso consapevolmente assunto141
.
A titolo esemplificativo si riporta un passo tratto dalla sentenza del Tribunale di Firenze che ha portato alla condanna in primo grado, ex art. 416 bis, di un gruppo organizzato di origine cinese insediato nel capoluogo toscano e dedito, tra le altre attività, al traffico di clandestini propri connazionali.142
Ad avviso del collegio giudicante: “è apparso assai chiaramente come la stessa efficacia intimidatoria dell’associazione criminale fosse facilitata e amplificata dal particolare tessuto sociale nell’ambito del quale operava: la particolare chiusura culturale e sociale delle comunità cinesi insediatesi nelle varie città italiane ha indubbiamente giocato un ruolo determinante nell’affermarsi e nel consolidarsi di tali realtà delinquenziali, ostacolando a lungo un adeguato intervento delle Forze dell’ordine e facendo invece sì che il senso di appartenenza alla propria comunità etnica, e di parallela diffidenza verso il gruppo sociale del paese ospitante, spingesse questi immigrati a riconoscere come propria un’autorità impostasi con l’uso programmatico di violenze e minacce, ma comunque ritenuta espressione dei propri valori e della propria cultura e garante del proprio assetto sociale.”143
La Corte descrive, in questi termini, un microsistema in cui la vittima è al tempo stesso fruitore dei servizi resi dall’organizzazione.
Così il clandestino è sottoposto a restrizioni della propria libertà, ma, al tempo stesso, ha la possibilità di essere collocato nel mondo del lavoro e di regolarizzare la propria presenza in Italia.
Così gli esercenti attività produttive possono subire estorsioni, ma, contemporaneamente, è loro garantita manodopera a basso costo.
spiegazione esauriente sul piano processuale. Nella versione più recente della teoria si parla, tuttavia, di rifiuto “tendenzialmente” assoluto, e “sufficientemente” generalizzato, molto probabilmente alla luce della più recente giurisprudenza in tema di omertà. Si veda Cass. pen., Sez. VI, 10 giugno 1989, in Giustizia penale, 1990, II, 355, in Ced. Cass., Rv. 181948, Cass. pen., Sez. VI, 11 gennaio 2000, Ferone, in Ced. Cass., Rv. 216634.
140 Tribunale di Rimini, Abbiassov, sentenza 14 marzo 2006, cit., 515.
141 Turone, op. cit., 1984, 89. Non manca, secondo l'autore, l'omertà sub-culturale passiva indotta da un'accettazione supina del potere mafioso. Altra precisazione: l'omertà passiva altro non è se non un aspetto particolare dell'assoggettamento e della dipendenza personale che costituisce uno dei pilastri del potere mafioso.
142 Tribunale di Firenze, sentenza 24 maggio 1999, Hsiang Khe Zhi ed altri, 181-183, in Becucci-Massari, Mafie nostre, mafie loro. Criminalità organizzata italiana e straniera nel Centro-Nord, 2001, 129.
143 Tribunale di Firenze, sentenza 24 maggio 1999, Hsiang Khe Zhi ed altri, 181-183, in Becucci-Massari, cit., 130.
Così, infine, i membri della comunità possono subire le decisioni adottate dai vertici dell’organizzazione in veste di “pacieri” e nello stesso tempo confidare nel rispetto di regole e ruoli ben precisi.144
Riconoscere l’operatività della condizione di assoggettamento e omertà anche all’interno del sodalizio è la diretta conseguenza del fatto che non tutte le manifestazione di assoggettamento e omertà vengono concepite come conseguenza dell’intimidazione, potendo derivare anche da fattori socio-culturali.
Tale sdoppiamento, tuttavia, non è aderente alla formulazione normativa della fattispecie, la quale istituisce un rapporto di causa-effetto tra i due momenti del metodo mafioso: parlare di assoggettamento e omertà di matrice sub-culturale non dovrebbe avere rilievo ai fini dell'integrazione del reato.
Se si considera, inoltre, che la ratio legis risiede nell'interesse di tutelare l'ordine pubblico materiale e la condizione di tranquillità dei cittadini, non pare significativo il fatto che la forza di intimidazione venga indirizzata verso l'interno anziché verso l'esterno dell'associazione. 145
Il rischio che è quello di un’interpretazione lontana dal principio di offensività.
L’aspetto problematico, lo si ribadisce, deriva dalla formulazione legislativa della fattispecie, la quale presenta elementi di tipicità tali da esporre la disposizione al rischio di operazioni ermeneutiche strettamente legate all'influsso di pregiudiziali
144 Una situazione similare si rinviene dalla lettura della sentenza del Tribunale di Rimini, Abbiassov, sentenza 14 marzo 2006, in De Jure, al punto 12714.2. Le risultanze processuali hanno evidenziato come il ricorso ad atti di coartazione, finalizzato al mantenimento del monopolio sul commercio di gadgetse, avesse coinvolto, quali soggetti passivi, prevalentemente lavoratori interni al gruppo, ribellatisi all’imposizione della percentuale sulla vendita dell’oggettistica. Illuminanti sul punto le parole dei giudici: “non emergono sul piano probatorio (…) né con riferimento alla struttura operativa in patria né alla ramificazione attiva in Italia, elementi sufficienti a far ritenere univocamente conseguita dal sodalizio criminale di cui trattasi, noto come gruppo di Mosca, quella effettività di autonoma forza di intimidazione percepita anche all'esterno, pur se nell'ambiente circoscritto dei sordomuti, con correlata condizione di diffuso assoggettamento ed omertà costitutiva dell’associazione di tipo mafioso.” E’ evidente come la sentenza confonda la cerchia dei sodali in posizione di subordinazione rispetto ai vertici dell’organizzazione, con il contesto sociale esterno alla stessa, avvalendosi della categoria dell’assoggettamento interno.
145 La giurisprudenza maggioritaria si è espressa nel senso di ritenere non irrilevanti, ma anche non essenziali, i riflessi della forza di intimidazione che si manifestino in capo ai membri del sodalizio criminoso. In questo senso vedi: Cass. pen., 6 giugno 1991, Grassonelli, cit., Cass. pen., 19 marzo 1992, D’Alessandro, cit., Cass. pen., 20 novembre 1992, De Feo, cit., Cass. pen., 11 febbraio 1994, De Tommasi, cit., Cass. pen., 22 maggio 1987, Ferrentino, cit., Cass. pen., 19 giugno 1988, Abbinate, cit., in Ced. Cass., Rv. 178897, Cass. pen., 10 maggio 1994, Matrone, cit., in Ced. Cass., Rv. 198647, Cass. pen., Sez. V, 19 dicembre 1997, Magnelli, in Ced. Cass., Rv. 211071, Cass. pen., Sez. VI, 11 gennaio 2000, Ferone, in Ced. Cass., Rv. 216633. Contra: Cass. pen., 7 aprile 1992, Barbieri, in Giustizia penale, 1993, II, 152, App. Catanzaro, Sez. I, 2 febbraio 1985, Volpe e altri, in Cass. pen., 1985, 1698 ss..
nozioni di fondamento sociologico scarsamente compatibili col principio di tassatività della fattispecie incriminatrice.146