2. Possibili risposte dell’ordinamento italiano: riformulazione del dato normativo in una prospettiva di maggiore rilevanza dell’elemento
3.2. Organizzazione illecita formatasi all’interno di un’organizzazione lecita Fenomeno concettualmente distinto da quello analizzato nelle pagine
precedenti, riconducibile al caso in cui l’organizzazione lecita sia funzionale alla sola perpetrazione di reati, si ha nel caso in cui l’associazione per delinquere si annidi all’interno di un’organizzazione indiscutibilmente lecita, utilizzandone la struttura per la commissione di reati, senza tuttavia piegarla a finalità criminali.
Due sono le vicende giudiziarie che hanno prospettato la necessità della soluzione di tale problematica.
Per prima, la Corte di Appello di Milano con una decisione che conclude definitivamente il caso Scientology con una sentenza dichiarativa dell’insussistenza del sodalizio criminale fra gli imputati, confermando, a seguito di diversi gradi di giudizio fatti di successivi rinvii a opera della Corte di Cassazione, la pronuncia di primo grado234
.
Il punto di partenza è rappresentato dalla presa d’atto che Scientology ha uno statuto compatibile con la qualificazione autoreferenziale, di confessione religiosa, che l’associazione si è attribuita e che le sentenze di giudici ordinari e tributari, su cui tale qualificazione era stata costruita dalla difesa, costituiscono “quel pubblico riconoscimento che la Corte Costituzionale annovera fra i criteri non di merito utilizzabili, nel rispetto di una equidistanza laicale fra le varie confessioni, per stabilire se un’associazione sia effettualmente confessionale”235
.
Ricalcando la posizione del procuratore generale, seppure seguendo le indicazioni offerte della Corte di Cassazione in sede di rinvio236
, la Corte di Appello
233 Cass. pen., Sez. III, sentenza 2 dicembre 1981, n. 2701, Moia, cit..
234 Corte App. Milano, Sezione I, 5 ottobre 2000, n. 4780, Bandera e altri, in Giur. It., 2001, 1408 ss..
235 Corte App. Milano, Sezione I, 5 ottobre 2000, n. 4780, Bandera e altri, cit., 1415.
236 Cass. pen., Sez. VI, sentenza 8 ottobre 1997, n. 9476, in Cass. pen., 1998, 2384 ss., con nota di Blaiotta, La Suprema Corte ancora su Scientology, organizzazione religiosa ed associazione criminale; Colaianni, La via giudiziaria della religiosità: la vicenda di “Scientology”, in Foro It., 1998, 395 ss..
di Milano affronta la questione se gli imputati avessero costituito un’associazione per delinquere all’interno e in contrasto con i fini di Scientology.
Si abbandona la tesi totalizzante della conversione criminale dell’intera struttura cui appartengono gli imputati – tesi che sembra invece caratterizzare le pronunce analizzate nel precedente paragrafo – rilevando altresì l’incongruenza logica di una richiesta di rinvio a giudizio limitata ad alcuni soltanto dei presunti associati, per concentrare l’attenzione sulla questione della prova dell’esistenza di un accordo criminale intervenuto fra alcuni operatori e alcuni dirigenti per procurare all’associazione mezzi finanziari attraverso condotte illecite.
La natura confessionale di Scientology gioca però un ruolo determinante: il carattere lecito dell’attività svolta, fatto conseguire alla “tutela costituzionale” concessa all’ente, fa sì che l’accertamento si appunti non sul profilo organizzativo, giacché lecito, bensì sull’eventuale specifico accordo tra gli imputati finalizzato a eludere i fini statutari della confessione237
. Da questo è fatta dipendere l’esistenza del vincolo associativo.
A differenza della giurisprudenza precedentemente analizzata, dunque, il fatto di aver agito all’interno di un’attività organizzata e nell’ambito della specifica funzione assegnata ai singoli avvalendosi dei mezzi dell’associazione, non diviene il fattore portante della ricostruzione che intravede in questi elementi quella “ripartizione di ruoli e competenze” fondante il delitto associativo238
.
Nell’indagare l’esistenza di tale accordo, la Corte sembra aggiungere valore dirimente al fatto che gli adepti non abbiano tratto dalle pratiche poste in essere un lucro personale, avendo piuttosto avvantaggiato la sola confessione.
Incalza la Corte affermando che “se è vero che i comportamenti umani finalizzati tendono a rapportarsi a scelte razionali e se è vero che Scientology è una confessione che persegue fini leciti, diventa ineludibile dare conto, sul piano logico e probatorio, della singolare situazione di alcuni adepti che, in ipotesi accusatoria, decidono di costituirsi in sodalizio criminale all’interno
237 Corte App. Milano, Sezione I, 5 ottobre 2000, n. 4780, Bandera e altri, cit., 1415. La vicenda ha a oggetto la commissione di reati contro il patrimonio, praticando la vendita di beni e servizi a malati psichici e tossicodipendenti, approfittando delle fragilità di questi soggetti che venivano convinti del sicuro conseguimento di risultati positivi. Gli autori, pur conoscendo le direttive del fondatore di Scientology, le avevano trasgredite con analoghe modalità operative; avevano commesso la stessa tipologia di reati agendo, talvolta anche in concorso, all’interno di un’attività organizzata nella specifica funzione di venditori loro assegnata e senza profitto personale. Tutti avevano, insieme o autonomamente, iniziato la vendita con assoluta identità di comportamenti e obiettivi. E, poiché i tre imputati avevano caratteristiche personologiche differenti e storie personali non omogenee, non potevano avere agito in modo casuale nell’applicare nello stesso modo distorto le direttive sulla vendita dei servizi, dando prova indiziaria del sodalizio fra i tre, numero bastevole a costituire un’associazione criminale.
della confessione (lecita) per commettere reati contro il patrimonio e violare i principi della confessione cui tuttora appartengono non per trarre un lucro personale, ma per avvantaggiare la confessione stessa”239
.
La liceità dei fini dell’associazione destinataria dei profitti si riverbera necessariamente, ad avviso della Corte, sul dolo di ciascun imputato, il quale “se convinto di partecipare alla realizzazione di scopi leciti, non poteva essere consapevole di partecipare a un’associazione criminale”240
.
Trattasi, dunque, di reiterate condotte criminose non rappresentanti l’ordinarietà quanto piuttosto di “deviazioni occasionali dalle regole di condotta generali”241
, tali da non fondare una responsabilità ex art. 416 c.p..
Di particolare interesse risulta anche una pronuncia della Suprema Corte che si interroga, escludendone la configurabilità, della sussistenza del vincolo associativo in capo a individui appartenenti al medesimo nucleo familiare e solo in virtù di tale appartenenza242
.
Con la caratteristica di confondere organizzazione e vincolo associativo, cui l’esistenza del vincolo parentale viene ricondotta.
Il caso è quello di un'organizzazione criminosa dedita alla commissione di furti tramite minori anche non imputabili, che agivano su istigazione dei componenti adulti del nucleo familiare di appartenenza sotto la minaccia di ritorsione nel caso di mancato raggiungimento dell'obiettivo criminale.
Ad avviso della Corte, la quale richiama l’unico precedente esistente in materia di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope243
, al fine di distinguere se i componenti della stessa famiglia abbiano agito in concorso tra loro ovvero se ad essi sia riferibile anche il delitto associativo occorre accertare se della preesistente organizzazione familiare essi si siano di volta in volta avvantaggiati per la commissione dei vari reati, ovvero se, nell'ambito della medesima struttura familiare, o affiancata ad essa, abbiano voluto e realizzato un'altra organizzazione dotata di distinta ed autonoma operatività delittuosa.
Anche in questo caso, però, non è dato sapere quali siano i tratti che permettano di colorare di illiceità la presunta distinta e autonoma organizzazione sviluppatasi a partire da un nucleo sicuramente lecito quale quello familiare.
4.1 L’associazione per delinquere “come organizzazione e scopo”: la