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Dall’ uomo animalesco all’animale umanizzato; dal Moravia moralista al Moravia irriverente: Storie della preistoria

Da I sogni del pigro a Racconti surrealisti e satirici.

4. Dall’ uomo animalesco all’animale umanizzato; dal Moravia moralista al Moravia irriverente: Storie della preistoria

Raramente Moravia ha reso gli animali, in quanto animali, protagonisti dei suoi racconti. Gli unici due casi sono forse il celebre Palocco (ora in Romildo), storia di un viscerale amore tra una umile infermiera peruviana ed il suo intelligentissimo cane, e Gli

odori e l’osso, da Una cosa è una cosa, dove Moravia, secondo una tecnica che ricorda

quella del tolstoiano Costlomer, storia di un cavallo, indaga la psicologia di un boxer, per il quale la realtà esiste solamente sotto la specie degli odori, e quando questi vengono meno la realtà si riduce ad un immenso osso da possedere. Il racconto appare però molto meno straniato di quello di Tolstoj, in quanto l’animale è dotato di una sensibilità, di una coscienza e di una consapevolezza più che umane.

Nonostante la presenza degli animali nella narrativa moraviana sia abbastanza limitata, si è spesso discusso del “bestiario moraviano”, alludendo al fatto che lo scrittore utilizza copiosamente immagini animalesche per designare i suoi personaggi. Gli esempi sarebbero molteplici, a partire dalla “serenità indolente e un po’ bovina” e dai “goffi atteggiamenti di animale inabile” dell’amante di Lorenzo in Fine di una relazione (1933), al “muso di agnello” del cameriere Ramiro di Il ritorno dalla villeggiatura, al suo “sguardo vitreo” come quello che “hanno i capretti macellati”100, e ancora al suo sembrare “rosso e indignato sotto i riccioli biondi, belante nella voce, […] un montone recalcitrante che punti i piedi e si rifiuti di andare avanti101, fino all’aspetto bovino del Motta di Serata di Don

Giovanni102.

Janice Kozma, nel suo già citato studio, ha formulato una sorta di catalogo della immagini bestiali di Moravia, concludendo che esse sono lo strumento fondamentale della sua “misoginia stilistica”. La studiosa constata infatti come le immagini di origine animale siano impiegate dallo scrittore soprattutto nella rappresentazione del femminile. Pur con le dovute riserve, anche questa tesi potrebbe essere confermata dal riferimento ai testi.

99

Cfr. A. MORAVIA, La disubbidienza, cit., inizio cap. XIII.

100 ID., Il ritorno dalla villeggiatura, in Racconti 1927-1951, cit., pp. 330. 101 Ivi, pp. 331.

La donna emana innanzitutto un “odore selvatico”: così nel precocissimo Morte

improvvisa, dove una giovane, “invece che profumare pareva emanare un suo strano odore

come di animale selvatico”103; e lo stesso è detto di Monica della Solitudine e dell’Albina de La messicana.

L’animalità si esprime poi nei comportamenti e nelle movenze femminili: in Luna di

miele, sole di fiele vediamo Giacomo guardare la moglie e notare “che gettava le gambe di

qua e di là, come un puledro non ancora avvezzo a camminare bene”104; in Piccola e

gelosa (da L’automa) invece: “Con foga, la donna si gettò a quattro zampe, noncurante di

lui che la guardava, penetrò camminando sulle mani e sulle ginocchia, come un animale, dentro la cavità”105. Tratti animali compaiono ancora nella caratterizzazione fisiognomica delle eroine dei racconti. Ha “un po’ della scimmia”106 la moglie di Lorenzo in Ritorno a

mare, ha il “muso di una capra”107 l’amante del protagonista de L’amante infelice. In questo stesso racconto vi è però un’apertura verso una visione più alta dell’animalità femminile (“Era come andare a caccia di una bestia agile, sospettosissima, inafferrabile, […], una lucertola, una farfalla, un uccello e sapere che il più piccolo rumore può far svanire la preda ambita”108).

Non si può dunque sottoscrivere appieno la tesi della misoginia che verrebbe espressa tramite simili caratterizzazioni, tesi smentita peraltro da quanto lo scrittore dichiara in alcune celebri interviste109. La sua più autentica visione della femminilità è infatti quella che mette in bocca a Mostallino ne La solitudine, secondo cui la donna sarebbe una “specie […] di felice animale, tutto istinto e sensi”110.

Come dicevamo, si è spesso parlato di “bestiario moraviano”, e si è ipotizzata una “campionatura, forzatamente sintetica, delle scelte metaforiche, quasi tutte riconducibili al mondo animale”111. D’altra parte, però, nessuno, per quanto ci risulta, ad eccezione di Janice Kozma, ha avuto la pazienza di catalogare tutti gli elementi che fanno parte di tale

103 ID., Morte improvvisa, in La bella vita, cit., p. 436.

104 ID., Luna di miele, sole di fiele, in Racconti 1927-1951, cit., pp. 621. 105 ID., Piccola e gelosa, in L’automa, Milano, Bompiani, 2004, p. 30. 106 ID., Ritorno al mare, in Racconti 1927-1951, cit., pp. 550.

107 ID., L’amante infelice, in Racconti 1927-1951, cit., pp. 444. 108 ID., L’amante infelice, in Racconti 1927-1951, cit., pp. 455. 109 In particolare si veda C. R

AVAIOLI, La mutazione femminile. Conversazione con Alberto Moravia sulla

donna, Milano, Bompiani, 1975 e L. LILLI, Voci dell’alfabeto. Interviste con Leonardo Sciascia, Alberto Moravia, Umberto Eco nei decenni Settanta e Ottanta, Roma, Minimum Fax, 1995.

110 ID., La solitudine, in Racconti 1927-1951, cit., pp. 355. 111 A. C

bestiario112. Non ci sembra che questo compito possa essere di nostra pertinenza in questa sede. Quello che noi potremmo tuttavia aggiungere è che in alcuni casi non è solo questione di “imagery”, bensì di vere e proprie costruzioni teratologiche. Si ricorderà, dalle pagine precedenti, la mostruosa donna-gatto di Il vitello marino. Inoltre, assai di frequente, Moravia ama comporre teste animali e corpi umani. A questo proposito non è possibile, soprattutto alla luce di quanto abbiamo tenacemente sostenuto, non pensare ancora una volta alla pittura e alla narrativa di Alberto Savinio113 e ricondurre le soluzioni descrittive per cui opta Moravia più che ad una generica misoginia stilistica ad un preciso immaginario, quello surrealista cioè, che egli coltiva anche fuori dall’ambito strettamente surrealista, e prima e dopo quella precisa fase artistica.

Facciamo alcuni esempi. La Principessa di V. in Morte improvvisa, da La bella vita, è descritta nel modo che segue:

“Il viso che era di vecchia, ma con poche rughe profonde ed espressive, aveva qualche cosa del pappagallo, sia a causa del gran naso aquilino, sia per il modo spezzato, frammentario, come a beccate, col quale parlava”114.

All’inizio de Le stordite, in L’automa, la Signora Cecilia viene presentata come “una donna molto simile ad un uccello esotico dal corpo minuscolo e dal capo enorme e stravagante115. Già nel romanzo La disubbidienza, l’infermiera che assiste Luca durante la malattia e che lo inizierà al sesso ha un “viso eretto, con vanità d’uccello, sopra un alto collo rotondo”116. Anche il protagonista di La noia, ne La bella vita, si reca ad un appuntamento con una ragazza che gli appare “alta, giunonica di forme, con una piccolissima testa di uccello”117. Si noti come in quest’ultima descrizione, diversamente che nelle altre, il rapporto tra corpo e testa sia analogico, come esso venga cioè realizzato tramite un vero e proprio montaggio di membra di esseri diversi. Questa figura di donna è tratteggiata ricorrendo agli stessi principi costruttivi di una immagine che Savinio elabora sia ne La nostra anima, dove Psiche è dotata di una testa di pellicano, che nel già citato

112

Del resto alcuni studi sui “bestiari” della letteratura del Novecento sono stati pubblicati, a partire da F. BLEI, Il bestiario della letteratura del 1924 (trad. it. Milano, Il Saggiatore, 1980) a E. BIAGINI, La critica

tematica, il tematismo e il “bestiario”, in Bestiari del Novecento (a cura di Enza Biagini e Anna Nozzoli,

Roma, Bulzoni, 2001).

113 Ed infatti A. C

AVAGLION (Introduzione ad A. MORAVIA, L’automa, cit., p. XVII) parla a proposito della zoologia moraviana di “metafisico darwinismo”, di “teratologia animale di un Savinio o di un De Chirico”.

114 ID., Morte improvvisa, in La bella vita, Lanciano, Carabba, 1935, ora in ID., Opere/1. Romanzi e racconti 1927.1940, Milano, Bompiani 2000, p. 454.

115

ID., Le stordite, in L’automa, Milano, Bompiani, 2004, p. 3. L’alterazione delle proporzioni fra le parti è peraltro un tipico espediente surreale e fantastico.

116 ID., La disubbidienza, in Opere/2, cit., p. 1167. 117 ID., La noia, in La bella vita, cit., p. 423.

Angelo, in riferimento al protagonista Cesare Cardinale (“La sua testa è un gallicranio,

ossia una testa di pollo spogliato delle sue penne”118). Come quella della donna moraviana, anche qui la testa non sembra, ma è un “gallicranio”.

Oltre a queste due modalità con cui Moravia si rapporta all’universo animale (modalità che potremmo riassumere in: A) Metafore e similitudini. B) Assemblaggio fisico sia nei racconti realisti che in quelli surrealisti). Ne esistono altre due che indicheremo nel modo che segue: C) presenze animali insolite in interni borghesi (nei racconti surrealisti Il leone e Il coccodrillo) e D) trasformazione degli animali in “attanti”.

Questa quarta tipologia l’abbiamo già rilevata in alcuni racconti dell’ Epidemia (o meglio, delle due Epidemie del ’44 e del ‘56), quali La rosa e Polpi in polemica. Essa troverà però un impiego più sistematico in Storie della preistoria.

Il rapporto dei racconti di Moravia con Bestie del Novecento di Palazzeschi è, come abbiamo detto, più che ipotizzabile. In ogni caso, l’impiego di animali parlanti ha una lunga tradizione nella letteratura occidentale, a partire da Esopo fino ad arrivare a Kafka. E se nella tradizione della favola esotica l’animale è semplicemente lo specchio dell’uomo, da Kafka in poi esso diventa portatore di visuali altre rispetto a quelle a cui siamo comunemente abituati.

Soprattutto, come osserva il già citato Ian Reid, ciò che viene meno nelle rivisitazioni novecentesche dell’apologo animale è la “lezione morale”, la funzione di exemplum edificante della storia narrata119. Ma, mentre afferma questo, dalla sua analisi Reid esclude, per ovvie ragioni, Moravia, il quale invece, rifacendo la favola esopica, ne mantiene in parte l’originaria funzione moraleggiante. E questo dipende soprattutto dalla sua più volte confermata sensibilità di scrittore “moralista”.

Non si capisce dunque come Antonio Faeti, introducendo l’ultima edizione di Storie

della preistoria, possa sostenere che Moravia

“doveva certamente ricordare le favole di Esopo, di Fedro, di La Fontaine, nelle quali sono presenti bestie divenute famosissime nei secoli e nei millenni. Ma non ne ha tenuto conto. Le sue non sono ‘favole di animali’, ma ‘fiabe di animali’, perché non hanno la pretesa di insegnare, di fornire clamorosi esempi così poi ce li ricordiamo. Sono fiabe perché ci catturano, ci immergono in questa loro atmosfera in cui sembra che il mondo sia ancora giovanissimo, tanto sono lievi e divertenti tutte le descrizioni”120.

118 A. S

AVINIO, Angelo, cit., p. 154.

119

“There are twentieth century writers like Malamud and Kafka who invite us to imagine animals with human traits in essentially the same spirit as La Fontaine [...] but without any overt moral lesson attached” (I. REID, The Short Story, cit., p. 38).

120 A. F

Non ci sentiamo in alcun modo di sottoscrivere una simile lettura.

Non c’è dubbio infatti che Moravia, con fare ironico, intenda depistare il suo lettore proponendo un finto codice fiabesco (con “Buon sonno e buona notte” termina ad esempio

Diluvio, fine del mondo eccetera…). E non c’è dubbio infatti che altrove – in certi passaggi

di Agostino ad esempio121, o in un racconto come L’avventura122 Moravia inclini al

fiabesco. Ma non qui; qui Moravia propone favole assai vicine all’allegoria pura. Certo un’allegoria non esplicita, ma pur sempre un’ allegoria123. In questo senso pertanto le

Storie della preistoria proseguono, e riassumono, alcune delle tendenze che abbiamo visto

coesistere ne L’epidemia: la satira, il moralismo fantastico e l’allegoria.

Recuperando per un attimo le categorie di Todorov, preciseremo che qui è ovvio però che l’allegoria finisca per avere la meglio sul “fantastico” e che al limite è concesso parlare di “meraviglioso”:

“Esistono racconti che contengono elementi soprannaturali senza che il lettore si interroghi mai sulla loro natura, ben sapendo che non deve prenderli alla lettera. Se parlano gli animali non ci coglie nessun dubbio: sappiamo che le parole del testo sono da prendersi in un senso diverso che è detto allegorico”124.

In particolare qui Moravia aderisce ai canoni di un soprannaturale che “non fa troppa violenza alla ragione”125, ossia del cosiddetto “meraviglioso iperbolico” (in cui l’innaturalezza è solo relativa alle proporzioni). Lo si vede negli incipit, in cui puntualmente si trovano le espressioni “Un miliardo di anni fa”, o “alcuni miliardi di anni fa”, o “qualche dozzina di miliardi di anni fa”, o “nei tempi dei tempi”, o infine “ai tempi dell’uno che non c’era nessuno”. Simili formule proiettano i racconti di Storie della

preistoria nella stessa dimensione di La vita è un sogno. Il gioco di parole “ai tempi

dell’uno che non c’era nessuno” appartiene alle prime righe di Guai se oggi Pah-dreh-ther-

noh si risveglia: “Ai tempi dell’uno che non c’era nessuno, voglio dire prima della storia

cioè nella preistoria, il mondo era tutto sbagliato”126. Da questa indicazione temporale dedurremmo un’ambientazione preistorica appunto; e potremmo supporre che alle spalle di quest’opera ci siano le Cosmicomiche di Italo Calvino. Moravia non ci aiuta molto in

121 Per cui Cfr. V. M

ASCARETTI, La speranza violenta, cit., cap. terzo.

122 da Racconti 1927-1951. Di questo testo discuteremo nel prossimo capitolo.

123 “Aggiungiamo che ai nostri giorni, racconti di questo genere sono poco apprezzati: l’allegoria esplicita è

considerata come una sottoletteratura (ed è difficile non vedere in questa condanna una presa di posizione ideologica)” (T. TODOROV, La letteratura fantastica, cit., p. 71).

124 Ivi, p. 35.

125 ID., La letteratura fantastica, cit., p. 58. 126 A. M

questo senso127; in ogni caso, se anche l’ipotesi del modello calviniano fosse valida, il trattamento dello scenario preistorico è qui completamente diverso. La preistoria di Moravia è una preistoria di invenzione, in cui l’uomo appare già civilizzato, laddove la preistoria di Calvino aveva connotati perlomeno pre-umani e finanche pre-terresti. Moravia abbandona quindi qualunque pretesa di tracciare una cosmogonia, seppure una cosmogonia immaginaria. Egli rinuncia cioè a tutte le pretese di scientificità, seppure fittizia, che aveva rivelato in alcuni testi dell’ Epidemia, scientificità fittizia con cui invece Calvino giustifica sistematicamente i suoi racconti.

Fin dal racconto che inaugura il volumetto, dal titolo Cocco Drillo, A. Vocetta e i pesci

ballerini, ci si rende poi conto di quanto Faeti si sia posto fuori strada. Cocco Drillo

escogita di attirare con un inganno i pesci del Nilo tra le sue fauci per poi pascersene; egli viene invece crudelmente beffato dal “molto ma molto intelligente” Sto Rione che gli piazza un sasso tra i denti così che chiudendo la bocca per consumare l’illecito pasto: “krak! I due denti si strinsero sul sasso di Sto Rione ma non riuscirono a stritolarlo. La bocca rimase aperta. E Cocco Drillo provò un dolore acuto, lancinante, terribile”128. Coccodrillo finirà i suoi giorni versando “lagrime amare. Appunto, lagrime di coccodrillo”129. Siamo di fronte ad un classico caso di hybris e nemesis. Come si può dunque non vedere una finalità esemplare nella vicenda del disonesto Cocco Drillo?

Ancora lo schema colpa-pena (senza possibilità di espiazione) è riproposto in innumerevoli altre storie che parlano di ambizione: in Quando Ba Lena era tanto piccola, ad esempio, dove una balena che vede esaudito il proprio desiderio di diventare grande si trova poi a piangere e mangiare, mangiare e piangere “per la grande nostalgia dei tempi felici in cui era piccola”130; o nella vicenda del canguro “inesperto oltre che ingenuo” di

Senza pantaloni senza comunicazione, che prende a desiderare appassionatamente i

pantaloni di due cercatori d’oro.

Proprio come nelle Avventure di Pinocchio131, di cui il testo sembra quasi un travestimento, Can Guro prende a seguire i consigli di due cattivi maestri, Pappa Gallo e Cerco Piteco. Questi gli suggeriscono di barattare i pantaloni calzati da quelle strane creature chiamate Uoh Mini con una certa quantità di volgarissimi sassi. Essi millantano

127 Dal momento che dichiara di aver apprezzato di Calvino soprattutto i racconti del periodo “realistico” (A.

MORAVIA - A. ELKANN, Vita di Moravia, cit., p. 199).

128

A. MORAVIA, Cocco Drillo, A. Vocetta e i pesci ballerini, in Storie della preistoria, cit., p. 17.

129 Ivi, p. 18.

130 ID., Quando Ba Lena era tanto piccola, in Storie della preistoria, cit., p. 26.

infatti una grande esperienza del genere umano nonché dei versi che gli uomini usano tra loro, versi chiamati “parola”. Pertanto, “il giorno fissato”, i tre si recano al villaggio dei cercatori d’oro. Can Guro rompe gli indugi e rovescia le pietre al cospetto di un Uoh Moh, mentre Pappa Gallo prende a lanciare improperi di ogni sorta e Cerco Piteco a profondersi in gesti osceni.

L’epilogo è prevedibile: “Avete visto l’Uoh Moh? Si china, afferra un randello e giù botte da orbi. Prima di tutto a Can Guro, che ebbe una delle zampette anteriori fratturata. Poi a Pappa Gallo, che rimase con un’ala mezzo fracassata. Infine a Cerco Piteco che si prese sulla schiena una randellata da levargli il fiato”132.

Le ultimissime righe della fiaba sono di un crudele didatticismo: “Così, niente pantaloni per Can Guro; niente camicia per Pappa Gallo; niente mutande per Cerco Piteco. Ma soprattutto niente comunicazioni tra gli Uoh Mini e gli Ani Mali”133.

Componente moraleggiante a parte, cosa si può dire di questo finale e delle pagine che seguono? Vediamo chiaramente in qual modo venga rappresentato l’uomo in queste storie: egli appare puntualmente come un essere crudele, talvolta anche sanguinario, comunque sempre infido. E’ così anche in Secondo corrente sul fiume Zaire, dove Go Rillino, su suggerimento del padre, lascia il luogo natale e si incammina “secondo corrente” lungo il fiume. Dopo molte vicissitudini, egli finisce in mare e viene “salvato” da una nave inglese; dopo aver ringraziato il comandante e aver chiesto delucidazioni sul suo destino, si sente rispondere: “Sarai consegnato nelle mani del direttore dello zoo di Londra e ospitato in una bella gabbia fornita di tutte le comodità. Diventerai, senza dubbio, una delle maggiori attrazioni dello zoo”134. E ancora, in Quando i pensieri gelavano nell’ aria, l’unica considerazione che i tre uomini che irrompono nell’habitat dei trichechi possono formulare è: “Adesso ammazziamo un centinaio di queste stupide bestie, a bastonate sul muso, e ci facciamo tante borsette e tante scarpe”135. In Senza pantaloni senza comunicazione del resto viene detto chiaramente che tra animali e uomini non può esistere alcuna forma di comunione e comunicazione, bensì un rapporto di inimicizia a senso unico. Come non ricordare, per contrasto, il celebre Palocco, storia dell’ amore tra una donna ed un cane, amore che supera anche la morte?

132

A. MORAVIA, Senza pantaloni senza comunicazione, in Storie della preistoria, cit., p. 85.

133 Ibid.

134 in Storie della preistoria, cit., p. 109. 135 Ivi, p. 37.