La forma del racconto Storia e teorie 1 Novella e racconto: due diverse tendenze critiche
3. Breve storia del racconto moderno
3.2 Caratteri del racconto moderno
Esporremo nel prossimo paragrafo alcune fondamentali teorie del racconto moderno. Nell’enunciare qui le principali caratteristiche di questo genere letterario non potremo tuttavia fare a meno di soffermarci per un attimo sugli studiosi a cui va il merito della primitiva individuazione di tali caratteristiche, rinviando invece ai prossimi paragrafi l’analisi delle formulazioni teoriche operate dagli scrittori di racconti.
Risalgono ai primi decenni del Novecento le teorie sul racconto di Lukács (Teoria del
romanzo) ed Ejchenbaum (Come è fatto il Cappotto e Teoria della prosa), a cui si
aggiunge poi la Teoria della prosa di Šklovskij (in particolare La costruzione del racconto
e del romanzo, dove l’iniziale apparente disinteresse per le questioni strutturali viene
superato da un’acuta analisi delle principali tipologie di “novella”). È opportuno tuttavia notare come Lukács ed Ejchenbaum si ispirino rispettivamente a Goethe (Colloqui con
Eckerman) e Poe (Recensioni ad Hawthorne).
È ovvio che, più di tutti gli altri, siano gli strutturalisti a spiegare i meccanismi del racconto, benché il loro interesse per il racconto sia nettamente inferiore a quello che rivelano nei confronti del romanzo o della fiaba. Oltre a Eichenbaum e Šklovskij, pensiamo senza dubbio a Todorov e alla sua teoria del racconto fantastico. D’altra parte, come abbiamo già precisato, gli unici studiosi che in Italia si adoperano sul terreno dell’analisi strutturale del racconto sono Elio Pagliarani, Walter Pedullà e Romano Luperini.
L’analisi del racconto si può senza dubbio svolgere su più piani: lingua, intreccio, personaggi.
Tralasciando l’aspetto stilistico, tra cui spiccherebbero senz’altro la colloquialità di Kipling105 o lo stile pittorico di Joyce, proviamo qui a concentrarci sugli ultimi due aspetti. Il carattere principale del racconto, quasi sempre sottolineato dai critici, è la parzialità. Una parzialità che, se si ragiona con il filtro sklovskiano, non può che apparire come una delle possibili espressioni delle virtù dell’artista, giacché:
«Per fare di un soggetto un fatto d’arte bisogna estrarlo dalla congerie dei fatti della vita. […] Bisogna strappare l’oggetto dalla serie delle associazioni abituali in cui è inserito e rivoltarlo come un ciocco di legno nel fuoco»106.
L’idea che il romanzo riguardi la totalità della vita, mentre la novella il “caso singolo” deriva da Lukács (oltre a Teoria del romanzo, Solženicyn: “Una giornata di Ivan
Denisovic”) ed arriva sino a Guglielminetti («il romanzo sviluppa la trama ‘in tutti i suoi particolari, analiticamente, per gradi evolutivi’; la novella, invece, la affronta ‘sinteticamente, nei suoi momenti culminanti e più determinanti’»107).
Purtroppo, se volessimo reperire nell’ambito della produzione critica italiana alcune delle discussioni che prenderanno vita in seno alla critica straniera, come ad esempio quella riguardante il fondamentale rapporto tra lunghezza e brevità dei testi, ci dovremmo addentrare sul terreno della novella, lasciando da parte il racconto:
«Allorquando però ci si avvicina alla prassi classificatoria dei copisti medievali […] ci si rende conto che simili criteri di catalogazione contenutistica o formale, così cari alla tassonomia moderna, perdono di importanza; in realtà qui predomina il criterio retorico-letterario della narrativa breve opposta a quella lunga. Troviamo riuniti insieme, in grandi collettori unici, componimenti brevi di ogni sorta: exempla e fabliaux, lais e vite di santi, fables e dits, etc.,
105 Colloquialità irritante, secondo qualcuno: «All the other great storytellers speak to us with a lonely human
voice, almost as though we were strangers and they were apologizing for their intrusion, but Kipling always speaks as though he himself were one of a gang» (F. O’CONNOR, The Lonely Voice, cit., p. 107).
106 V. S
KLOVSKIJ, Teoria della prosa, cit., p. 99.
107 M. G
[…]. Insomma in questi manoscritti, vere e proprie antologie del narratif bref, il profano confina col religioso, il serio col comico, il morale con l’osceno, la poesia con la prosa, etc., sulla base dell’unico comune denominatore che è la brevitas»108.
Comunque sia, strettamente connessi con il dato della parzialità sono i problemi della durata e dell’ampiezza della narrazione. Ed è vero che simili problemi fossero propri già della novella:
«Il Decameron, per contro, accoglie narrazioni che per durata temporale e intreccio degli avvenimenti hanno andamento più di romanzi che di novelle […]. si deve notare che il ricorso a queste novelle-romanzo implica una grande elasticità del cronotopo, data la possibilità di svariare da durate di ore o giorni a durate di decenni, dall’unità di luogo a itinerari che misurano quasi l’ampiezza del mondo conosciuto»109.
Paradossalmente nelle novelle Decameron si realizzano sia la durata che l’intreccio. Una caratteristica del racconto moderno sarebbe invece proprio l’assenza di durata. Il racconto sarebbe dunque una forma statica. Questo sostiene ad esempio, enunciando i caratteri del racconto, Mark Schorer (The Story: A Critical Anthology, New York, 1950), il quale distingue tra «art of moral revelation» (racconto) e «art of moral evolution» (romanzo). E analogamente Valerie Shaw sostiene che «because a short narrative cannot reproduce, can only imply, extended periods or lapses of time, very often what is shown is one phase of an action, perhaps an ordinary event cut out and framed to epitomize a life of continuing ordinariness»110.
In generale la critica anglosassone è fedele ad una “logica contrappositiva” per cui il romanzo sarebbe essenzialmente “plotted” (basato cioè su un plot) ed il racconto “plotless” (privo di plot). Le forma in assoluto più carenti dal punto di vista dell’intreccio sarebbero comunque lo sketch e l’aneddoto, il quale narra un singolo frammentario episodio.
Mentre l’ opinione dell’assenza di durata nel racconto appare senza dubbio discutibile, poiché contrazione o dilatazione del tempo dipendono unicamente dalla volontà dell’autore – e così come l’Ulisse di Joyce espande al massimo un singolo giorno, La morte di Ivan
Il’ič di Tolstoj condensa una trama assai complessa in poche pagine –, è possibile
concordare in qualche misura con la tesi di una decisiva messa in crisi da parte del racconto della tripartizione aristotelica di inizio, svolgimento, fine. Cechov ad esempio propone solo un “relitto” di siffatta tripartizione, ed è solito tagliare inizio e fine, lasciando lo svolgimento.
108 M. P
ICONE, Il racconto, cit., p. 7.
109 C. S
EGRE, Notizie dalla crisi, cit., p. 116-117.
110 V. S
Sulle tipologie dell’intreccio del racconto ha lavorato Šklovskij, il quale distingue tra «falsa chiusa»111, ossia quella in cui l’azione sfuma «comunemente in una descrizione della natura o del tempo», e «chiusa negativa»112, che consiste essenzialmente nel finale ex
abrupto. Flaubert e Maupassant sono particolarmente inclini a questa seconda tipologia. Il
critico russo evidenzia poi anche un altro artificio di trama, ossia quello del parallelo, con le relative varianti: mentre il “primitivo” Tolstoj sembra aver bisogno di paralleli palpabili (come poi ne avrà bisogno Moravia), interessante è la variazione tipica di Maupassant, che consiste nell’eliminazione del secondo termine del parallelo (da cui risultano essenzialmente racconti “senza chiusa”).
Da tener presenti anche l’espediente cecoviano dell’equivoco, o la «mania for practical joke» riscontrabile in Kipling, o alcune particolari fisionomie che il racconto può assumere, come quella, ad esempio, del soliloquio, particolarmente amato da Pirandello (si veda il testo campione dell’ultimo periodo, Di sera, un geranio (1934), in cui lo scrittore siciliano dà voce a un suicida che si è appena liberato dal corpo); ed ancora, aggiungiamo, la tipologia che Poe definisce dei «tales of effect» (messa a punto dagli scrittori anglosassoni sui primi numeri di «Blackwood»). Ancora si potrebbe menzionare il racconto a carattere metanarrativo, come quella di Gogol’, o quello diversamente metanarrativo di Palazzeschi, dove, secondo Guido Guglielmi, si «mobilita la retorica contro il reale, la ‘menzogna’ della letteratura contro la verità», e dove «non ha importanza l’oggetto della storia, ma quello che accade sull’asse della comunicazione»113.
Varcando un po’arbitrariamente i confini del semplice intreccio, ricorderemo poi la peculiare tipologia della dramatized short story realizzata da Henry James, ma anche, come abbiamo visto, da Luigi Capuana.
All’interno delle «medium-range narratives»114, i critici anglosassoni individuano varie altre tipologie, come l’«anecdotal short story» caratterizzata da un deciso recupero
dell’oralità, oppure (ed in questo caso sarebbe forse meglio parlare di un preciso genere letterario) le ghost stories (che, risalenti all’età vittoriana, tra l’altro costituiscono le prime testimonianze della short story), o i racconti fantastici, dove, secondo Todorov, l’unità dell’effetto è garantita dal convergere di tutta la narrazione verso “l’apparizione finale” dello spettro.
111
Teoria della prosa, cit., p. 89.
112 Ivi, p. 90. 113 G. G
UGLIELMI, Tra romanzo e racconto, cit., p. 13.
114 I. R
Il racconto confina poi con altri generi letterari: oltre allo sketch ed all’aneddoto, la parabola e l’allegoria.
La nostra catalogazione delle tipologie di racconto può certamente apparire come il frutto un’eccessiva semplificazione; e forse lo è. Tuttavia ci sentiamo autorizzati a procedere in modo generale dalla convinzione che l’arte del racconto moderno sia essenzialmente fondata su un codice condiviso, quando non addirittura su formule di repertorio (che è in effetti ciò che avviene in Moravia):
«Most storytellers see the short story first as a convention that appeals to them: the convention of Chekhov, the convention of Maupassant – in America nowadays, the convention of Joyce – and it is only as their work develops that they create a convention of their own»115
Se Sketch ed aneddoto annullano l’intreccio, la favola (istruttiva, epigrammatica, concreta) non dà spazio all’approfondimento del personaggio, mentre la parabola, realistica nella forma e moralistica nel proposito, e l’apologo (parabola stilizzata e aperta), propongono soggetti umani e non animali. Un pregiudizio diffuso almeno quanto quello della durata temporale, e di matrice forse sklovskiana116, riguarda però anche i personaggi del racconto, considerati piatti, privi di spessore psicologico, e per questa ragione scarsamente amati dagli stessi scrittori che ad un certo punto fuggirebbero inevitabilmente dalla short story per approdare al romanzo.
Vi è infine anche il problema della struttura non del racconto singolo bensì del volume. Un problema, questo, che è stato affrontato con particolare solerzia da Šklovskij, il quale precisa:
«Di solito, tra le singole parti di una raccolta di novelle si è cercato di istituire un qualche nesso, spesso assolutamente formale. A tal fine singole novelle sono state inquadrate in una cornice narrativa, come parti di un tutto. […] Esistono diversi tipi di novelle a cornice o, più esattamente, diversi metodi per incastrare una novella nell’altra. Il procedimento comune consiste nel raccontare novelle o fiabe per ritardare il compimento di un’azione»117.
Questo avviene sia nelle antiche raccolte orientali importate dagli arabi o dagli ebrei (le
Mille e una notte ne sono solo il massimo esempio), sia nelle antiche raccolte europee.
Verrebbe senza dubbio spontaneo menzionare a questo proposito il Decameron, prima ancora che i Canterbury Tales ed il Conde Lucanor, se non fosse che ancora Šklovskij porta proprio l’opera di Boccaccio come esempio di un particolare «tipo europeo di
115
F. O’CONNOR, The Lonely Voice, cit., p. 173.
116 «Il Decamerone non ha ‘caratteri’; è tutto concentrato sull’azione e i personaggi non sono che carte da
gioco, pretesti per lo sviluppo della trama» (Teoria della prosa, cit., p. 107).
composizione a cornice», dove i singoli episodi non [sono] collegati dagli stessi personaggi: il “racconto fine a se stesso”. Ed è questo un ulteriore motivo per ritenere le novelle boccacciane il diretto antecedente del racconto moderno, assai di rado inserito in un ciclo.
Come abbiamo già accennato, infatti, la raccolta a cornice («Framed miscellany» in inglese, e Rahmenerzählung in tedesco) diviene più rara in epoca moderna, benché non scompaia mai del tutto. E di nuovo si deve rilevare un dato paradossale: mentre gli antichi racconti a cornice erano per definizione eterogenei, e per questa ragione necessitavano di un connettivo esterno, i moderni cicli di racconti sono costituiti da testi accomunati da elementi “interni”, più o meno visibili.