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Tipologie, temi e caratteri dei racconti di Moravia 1 Il “sistema” dei racconti: un’arte di repertorio?

2. Tendenze generali dei racconti moraviani: moralismo, ironia, “orgoglio”.

2.2. L’orgoglio di Moravia

«Ho dato altre volte l’esempio della Lettera rubata di E. A. Poe. Poe poteva scrivere quel racconto senza parlare della lettera? No. Così nella mia intenzione doveva avvenire col sesso, di cui era indispensabile parlare in certi racconti, oppure rinunciare a scriverli»157.

154

G. ALMANSI, Amica ironia, cit., p. 81.

155Ivi, p. 79. 156 Ivi, p. 80. 157 A. M

«In molti di quei racconti traspariva la volontà di affrontare il tema del sesso senza per questo cadere nell’erotismo. Insomma pensavo e penso tutt’ora che il sesso comincia ad essere interessante nel momento stesso in cui diventa insignificante. E insignificante in questo caso vuol dire strettamente funzionale, privo di quei significati morali che via via gli sono stati aggiunti dalla società. Tutto questo è tanto vero che proposi all’editore americano di chiamare

La cosa con il titolo Anatomic Tales ma lui preferì il meno esatto ma più commerciale titolo di Erotic Tales»158

Siamo nel 1990. Nell’anno della morte, attendendo ad un bilancio definitivo della propria opera, Moravia parla in questi termini della sua penultima raccolta di racconti, La

cosa (1983). Egli addita l’ eros come tema centrale e ragion d’essere del libro. Eppure,

dobbiamo ammetterlo, egli mente. E se è forse veniale per quanto riguarda la raccolta La

cosa, in una prospettiva più ampia la sua menzogna diviene mortale.

Nel paragrafo precedente abbiamo rilevato l’ atteggiamento completamente diverso del narratore dei racconti rispetto a quello dei romanzi; ora, riflettendo nuovamente sul rapporto tra narrativa breve e romanzo, dovremo osservare un trattamento del tutto differente del tema dell’eros. Diremo allora, per semplificare, che i racconti nascono dalle forze congiunte di un narratore ironico e di uno scrittore casto.

Anche in questo caso, ci sembra, le conseguenze dell’assunzione di un simile punto di vista (che permette un’osservazione “scorciata” della narrativa moraviana) non sono da sottovalutare.

L’interesse non solo per l’anatomia femminile ma anche, più esplicitamente, per il dato sessuale, per le relazioni etero ed omosessuali spesso ambigue, torbide, spericolate, ha contribuito a creare assai precocemente il mito di un Moravia “scrittore erotico”, narratore di fabulae amatoriae, voyeur, «mostro di impudicizia».

Il manifesto dell’eros moraviano è senza dubbio il romanzo La noia (1960), costruito sulla serrata concatenazione degli incontri amorosi tra il pittore Dino e la conturbante Cecilia; eppure il sesso si annida, oppure esplode, in moltissimi altri romanzi: ne La vita

interiore (1978), ad esempio - per il quale arrivò puntuale un ordine di sequestro- tragedia

della complicazione dei rapporti familiari, in cui il “classico” triangolo amoroso madre- figlia-amante della madre dilaga sino a fagocitare i potenziali amanti della figlia, e deflagra nella passione (letterariamente rivoluzionaria) della madre Viola per la propria figlia Desideria; ed ancora ne La disubbidienza, romanzo breve del 1948, che fotografa in una scena dettagliatissima l’iniziazione sessuale di un quindicenne ad opera di una matura infermiera.

Notava Edoardo Sanguineti che nella rappresentazione moraviana dell’eros «nessuna sublimazione simbolica» interviene «a temprare l’evidenza nuda dei fatti, la spietata nettezza della verità concreta»159. Con tale osservazione egli confermava a sua volta quella di Dominique Fernandez, secondo il quale in Moravia «l’estetica e la poetica del falso mistero» sono «gloriosamente eliminati dalla rappresentazione dell’amore»160

. Entrambi si riferivano però ai romanzi.

Moravia è stato inoltre uno dei pochi scrittori italiani, forse l’unico, ad aver elaborato una vera e propria “poetica del sesso”. Nella sua Autobiografia letteraria egli non manca infatti di precisare:

«Probabilmente ogni romanziere dispone di una chiave per aprire la porta del reale. Per Balzac, la chiave è il denaro; per Proust lo snobismo; per Conrad il mare; per Dostoevskij l’omicidio; e così via. Questa che io chiamo chiave apre la porta non soltanto di quella parte del reale da cui prende il nome, ma anche di ‘tutto’ il reale. […] Ebbene, senza che io l’abbia voluto, per trapassi graduali e metaforici, la mia chiave per aprire la porta del reale è diventata quella cosa misteriosa e comune che va sotto il nome di sesso.»161 .

Assieme al denaro il sesso è lo strumento privilegiato del suo realismo; esso è dunque un mezzo impiegato per fini artistici. Ma non è semplicemente questo. Il sesso è per Moravia essenzialmente uno strumento di conoscenza162.

Moravia elabora la sua poetica del sesso (o della sessualità) prevalentemente in sedi periferiche, quali ad esempio gli articoli di giornale e le interviste pubbliche. E’ ad esempio in un importantissimo articolo del 1979, Sesso e romanzi dopo Freud, che egli chiarisce in modo più incisivo la propria concezione del sesso come realtà e come tema letterario:

«Secondo me, nella narrativa, a partire da Freud, il comportamento sessuale si libera dal tabù e viene recuperato come realtà caratteristica. In altri termini il comportamento sessuale non è più qualcosa di esterno al personaggio e dunque di superfluo e perciò, eventualmente, di osceno […]. Mentre il sesso è stato sempre lo stesso, l’idea del sesso è invece cambiata più e più volte attraverso il tempo»163.

159 E. S

ANGUINETI, Alberto Moravia, Milano, Mursia, 1962, pp. 19-20.

160

D. FERNANDEZ, Il romanzo italiano e la crisi della coscienza moderna, Milano, Lerici Editori, 1960, p. 35.

161 A. M

ORAVIA, Breve autobiografia letteraria, in ID., Opere 1927-1947, a cura di G. Pampaloni, Milano, Bompiani, 1990, p. XXIII.

162 «[…] si può conoscere il reale per mezzo dell’erotismo» (A. M

ORAVIA, Occhio erotico occhio sadico, «La Repubblica», 21 gennaio 1991). Si veda ancora D. FERNANDEZ, Il romanzo italiano e la crisi della coscienza

moderna, cit., p. 57: «Il sesso, del resto, più di ogni altro elemento dell’universo moraviano, non è fine a se

stesso, oggetto di contemplazione e di delizie; il sesso, prima di tutto, è lo strumento del rapporto col mondo, è ciò che permette all’uomo di entrare in contatto con gli altri e con le cose, e di scoprire, al di là della solitudine morale e intellettuale, una possibile fraternità, una partecipazione comune, ad un bene ed a un bello che redimono».

Oltre che come uno strumento fondamentale del proprio realismo, il sesso è considerato dunque da Moravia come una “realtà culturale”; per questo egli si definisce «un precursore»164 dell’infrazione del millenario tabù che la svolta freudiana ha determinato nella narrativa del Novecento. «Il sesso ha […] una certa estensione perché il sesso è una dimensione culturale. E infatti il confine che separa i romanzieri dell’Ottocento da quelli del Novecento è quello stesso che separa il prima di Freud dal dopo Freud»165. Proprio perché ascrivibile ad una precisa dimensione culturale, il sesso equivale ad un linguaggio che ciascun personaggio letterario usa e che lo caratterizza “esattamente come il modo di vestire, il modo di mangiare, il modo di parlare”166.

Ma cosa c’era “al di qua” di Freud? Prima del “grande smascheratore” c’era l’“orgoglioso” silenzio rispettato in materia sessuale da scrittori come Emily Brontë e Dostoevskij. E’ questa la tesi che Moravia esponeva già trent’anni prima in un articolo, uscito su «Il Tempo» il 22 settembre 1946, che si intitolava appunto Amore e orgoglio. A proposito della Brontë e di Dostoevskij egli scriveva:

«Nulla li accomuna, pur nell’eccellenza e intensità esemplari della rappresentazione, all’infuori di un particolare: l’eguale trattamento del fatto amoroso. […] I rapporti tra i personaggi femminili e maschili che in Boccaccio o in Stendhal sboccano nell’atto sessuale, nei russi e negli inglesi si concretano nella sconfitta o vittoria di un’anima o di un carattere sull’altro. […] Un alone di trascendenza circonda […] il rapporto amoroso nei russi e negli inglesi […]. La sensualità è cosa di questa terra e alla terra ci lega. L’orgoglio invece non ama la terra. […] Esso nasce dal rovesciamento della vecchia umiltà cristiana».

Ora, l’idea che ci siamo fatti, prendendo in esame i diciannove volumi di racconti, è che il Moravia scrittore di racconti riveli proprio lo stesso “orgoglio” (inteso come reticenza a trattare il tema del sesso) che in questo articolo rimproverava al suo venerato maestro Dostoevskij e alla scrittrice inglese.

E’ questo un fatto davvero singolare; ma è dimostrabile in modo quasi statistico che nei racconti il sesso è o completamente assente o evocato senza essere descritto. Già da sola la raccolta postuma Romildo, la quale contiene campioni rappresentativi appartenenti a tutto l’arco della produzione moraviana, ne offrirebbe una prova validissima. Ma vediamo di prendere in esame alcuni esempi significativi tratti anche da altre raccolte.

Come è noto, nel primo romanzo, Gli indifferenti, il tema del sesso era presente nella duplice forma dell’iniziazione sessuale della giovane Carla e dell’incombente liason tra

164 ID., Dialoghi confidenziali con Dina D’Isa, Roma, Newton Compton Editori, 1991, pp. 141 – 142. 165 In E. F

ILIPPINI, Alberto Moravia: quando incontrai la vergine rivoluzionaria…, cit.

166 in P. M

Michele e Lisa. Di fatto l’iniziazione sessuale di Carla ad opera di Merumeci si compie, ma è censurata tramite l’ellissi posta tra i capitoli IX e X167. Per questa ragione il romanzo fu considerato “castissimo” e fu indenne da ogni censura. Del resto fu lo stesso scrittore ad anticipare l’intervento degli eventuali censori, tagliando le scene che sarebbero state giudicate sconvenienti. Ecco che questa stessa modalità autocensoria è ravvisabile non di rado nei racconti, anche in quelli di anni molto successivi al 1929.

Prendiamo ad esempio L’architetto, che è del 1937. La relazione sessuale tra Silvio Merighi e la bella Amelia si consuma, è evidente. Mentre però l’unica scena descritta con ricchezza di particolari è quella del primo bacio tra i due, tutto il resto viene riferito allusivamente:

«Cominciò, allora, per lui, un periodo confuso, veloce e intenso durante il quale cessò affatto di capire se era felice o infelice; e gli parve di essere costretto a correre dietro il suo desiderio come dietro un cavallo impazzito. […] L’Amelia aveva veramente un singolare potere di avvolgerlo e farlo affondare ogni giorno di più in una sua atmosfera che gli dispiaceva e gli pareva futile e indegna: una atmosfera di fredde e infaticabili lascivie, di sterili sottigliezze psicologiche, di stravaganze donnesche»168.

E’poi possibile dimostrare come una stessa “situazione” narrativa si modifichi in rapporto alla diversa concezione del sesso nel racconto e nel romanzo. Mettiamo a confronto L’imbroglio, sempre del 1937, con il romanzo La disubbidienza (1948). In entrambi il giovane protagonista incontra sulla propria strada una donna matura e salvifica, e finisce per cedere alla sua seduzione. Mentre però la vicenda de L’imbroglio si interrompe un attimo prima che l’amplesso si compia,

«Poi appoggiandosi sopra le mani ai lati del corpo di Gianmaria, senza disserrare le palpebre chiuse, bianca in viso, lasciando che la vestaglia le si aprisse sul petto nudo, ella si chinò su di lui e gli tese le braccia”169

ne La disubbidienza vi è spazio per la celebre scena dell’iniziazione sessuale del protagonista:

«E come la donna gli andava senza fretta con la mano lungo il corpo alla ricerca del suo sesso e, trovatolo, l’afferrava alla radice, quasi avesse voluto strapparlo e lo faceva penetrare nel proprio, egli ebbe il senso preciso che lei lo prendesse per mano e l’introducesse, riverente, in una misteriosa caverna dedicata a un rito»170

167 “egli sollevò le coltri e scivolò al suo fianco” (fine cap. IX) “Il primo ad addormentarsi fu Leo;

l’impreveduta seppure inesperta sfrenatezza di Carla l’aveva spossato”(inizio cap. X).

168 ID., L’architetto, in ID., Racconti 1927-1951, cit., pp. 207-208. 169 ID., L’imbroglio, in Opere/1, cit., p. 1268.

170 A. M

Confrontiamo poi il racconto L’ufficiale inglese con il coevo romanzo La romana (1946). Si tratta in entrambi i casi della vicenda di una prostituta. La reciproca influenza tra i due testi è chiaramente testimoniata dalla somiglianza tra due sequenze del pagamento della prestazione mercenaria171. Eppure, mentre nel romanzo le descrizioni delle scene di sesso risultano ampie e forse anche compiaciute, il racconto presenta una completa avarizia di particolari. Confrontiamo due passi analoghi.

«Così, dopo avermi fatto sedere sul bordo del letto e aver cercato inutilmente di ammansirmi con le carezze, egli mi rovesciò sul guanciale e si gettò sopra di me. Avevo tutto il corpo dalla cintola in giù pesante e inerte come il piombo e mai amplesso fu subito con maggiore ubbidienza e minore partecipazione. Ma cessai quasi subito di piangere e, poiché egli mi fu ricaduto sul petto ansimando, tolsi il braccio dal viso e spalancai gli occhi nel buio»172 (La

romana)

«Tuttavia si sporse su di lui che sbarrava gli occhi nella calda ombra della sua ascella e spense la lampada sul comodino. Più tardi stettero l’uno in braccio all’altra, sotto la coperta di ruvida stoffa trapunta che solleticava le loro membra nude»173 (L’ufficiale inglese).

Il racconto offre quindi un ulteriore, eloquentissimo, esempio di quell’ “orgoglio” che Moravia additava come anacronistico nell’articolo Amore e orgoglio (anch’esso peraltro coevo). La strategia messa in atto è, come ne Gli indifferenti, quella dell’ellissi; volendo utilizzare una metafora cinematografica diremo che il racconto è costruito secondo la tecnica del “montaggio”, mentre la scena del romanzo (che è comunque una tra le tante) è realizzata in “piano sequenza”. Non solo per questa ragione tuttavia potremmo dire che con

L’ufficiale inglese Moravia tocca il vertice assoluto dell’“orgoglio” e della reticenza. Qui

infatti, in modo davvero eccezionale, per sopperire alla mancata scena di sesso egli sceglie di servirsi di uno “schermo” tra i più elementari che si possano immaginare. Prima che l’incontro tra la prostituta e il giovane ufficiale si realizzi, i due si trovano ad osservare insieme l’accoppiamento di un gallo e di una gallina:

«Il gallo, che stava in disparte, tutto ad un tratto si avvicinò come per caso ad una gallina particolarmente gonfia e dignitosa, e le saltò addosso. La gallina si accosciò ma non cercò di

171 “Andò a pettinarsi davanti lo specchio dell’armadio e si scoprì degli occhi dilatati come da una furia,

avidi, adirati, sospettosi. Mentre si guardava quegli occhi ignobili, laggiù, in fondo allo specchio, sul comodino, vide i biglietti piegati in quattro” (A. MORAVIA, L’ufficiale inglese, in Racconti 1927-1951, cit., p. 578). “Lo specchio mi rimandava dal suo fondo rugginoso e graffiato una mia immagine dolente. […] Il sentimento che provai in quel momento mi stupì e poi, tutte le volte che ho ricevuto denaro dagli uomini, non l’ho mai più riprovato con tanta chiarezza e intensità. […] Certamente io sapevo che dovevo rifiutare quel denaro; ma nello stesso tempo sentivo che dovevo accettarlo” (ID., La romana, in Opere/2, cit., pp. 726 e 731).

172 Ivi, p. 725.

fuggire. Il gallo le afferrò la cresta con il becco, ferocemente, e si dibattè un momento sopra la gallina»174

E’ evidente che con questo inserto175, assolutamente moralistico, Moravia fa in modo che sia un animale ad assumere si di sé il peccato della prostituta (ci è difficile non pensare all’episodio evangelico degli indemoniati di Gadara176).

Il raffronto tra La romana e L’ufficiale inglese, testi coevi in cui la materia sessuale è affrontata in modo completamente diverso, ci mette al riparo dall’eventuale obiezione che la castità moraviana sia di natura “storica” (come si potrebbe forse sostenere a proposito de .L’imbroglio e de La disubbidienza, tra cui intercorrono circa dieci anni).

Oltre alla censura, che, dopo Gli indifferenti, attua in quasi tutti i racconti (L’imbroglio,

L’architetto e L’ufficiale inglese sono solo tre tra gli innumerevoli possibili esempi),

Moravia utilizza spessissimo uno stratagemma che assolve al medesimo scopo di eludere la “circostanza” sessuale: quando ormai tutto sembra fatto, quando il personaggio protagonista è ormai certo di essere sul punto di raccogliere i frutti della propria conquista, un equivoco, un “imbroglio”, un impedimento manda tutto all’aria. Così avviene ad esempio ne La casa è sacra (Racconti), dove la tresca tra lo sfaccendato Giacomo e due sorelle prostitute fallisce miseramente a causa di una lite tra le due, così che il giovane è costretto a tornarsene a casa senza soldi e a bocca asciutta. Talvolta è invece lo stesso protagonista a rinunciare in extremis all’incontro amoroso: così ad esempio ne La

solitudine (ancora dai Racconti), dove Mostallino respinge i tentativi di seduzione di

Monica per rispetto all’amico Perrone; così ancora in Fine di una relazione (appartenente alla stessa raccolta), dove Lorenzo, giovane benestante in crisi, percepisce addirittura come indecente la florida nudità dell’amante pronta a darsi a lui; e ancora ne La messicana, dove l’incontro combinato tra il protagonista e una compiacente donna messicana si concluderà, anziché con un rapporto sessuale, con la sublime esibizione canora di lei. In questi racconti, ben più tardi rispetto a Gli indifferenti, Moravia sembra voler condannare i suoi personaggi alla castità, laddove in quel primo romanzo si limitava a censurarne gli atti.

Che l’orgoglio moraviano non abbia un carattere “storico” ed un’origine culturale è confermato anche dalle raccolte più tarde (L’automa, Una cosa è una cosa, La cosa e La

villa del venerdì). Nelle prime due, in cui il tema dell’ “amore coniugale” è assolutamente

174 Ivi, p. 571. 175

La stessa immagine ritorna anche in un altro celebre racconto “Poi, come Luciano si fu distaccato, si scrollò e si ravviò i capelli, proprio come una gallina che ravvia le piume dopo l’assalto del gallo” (A. MORAVIA, La messicana, in Racconti 1927-1951, cit., p. 595).

centrale, si assiste infatti al massimo a qualche abbraccio. E se i riferimenti sessuali appaiono nelle seconde due complessivamente più numerosi, è vero però che vi sono non di rado riproposte anche le stesse modalità che abbiamo reperito in precedenza. Il vassoio

davanti alla porta (da La villa del venerdì) è, proprio come l’ Imbroglio, un racconto di

formazione. Anche qui il giovane protagonista incontra una seducente matrona che si offre ripetutamente a lui. L’epilogo della vicenda mostra però come lo schema del racconto del ’37 subisca qui addirittura una regressione. Se L’imbroglio finiva infatti con l’allusione all’imminente rapporto sessuale di Gianmaria con la donna, Il vassoio davanti alla porta scorre continuamente sul filo di un rapporto sessuale annunciato ma mai realizzato (il “pericolo” dell’incontro verrà definitivamente scongiurato dalla partenza del giovane). Del resto il topos della fuga è abbastanza frequente anche in altre delle raccolte più tarde: si veda, ad esempio, il già citato Viaggio di nozze da Un’altra vita, che comincia così:

«Dopo la cerimonia nuziale, poiché l’aeroplano partiva la sera, il mio sposo ed io siamo andati nel nostro appartamento appena acquistato, in via Flaminia, e ci siamo messi ad aspettare nella camera da letto, la sola ammobiliata. Il mio sposo, impaziente, avrebbe voluto far l’amore; ma io l’ho respinto con accanimento e con violenza; poi mi sono chiusa a chiave nel bagno e, quando lui ha bussato dicendomi che mi amava, gli ho risposto attraverso la porta, con voce isterica: ‘In India! In India! Faremo l’amore in India!’»177.

In questo racconto, la sposa, pur di evitare l’incontro erotico col marito, fugge addirittura in India.

A sua volta la situazione della “prima notte di nozze” sembra essere abbastanza congeniale al Moravia scrittore di racconti. E’ questa, come sappiamo, la situazione di

Luna di miele, sole di fiele (da Racconti). Qui però, diversamente che in Viaggio di nozze,

lo scioglimento delle tensioni di coppia veniva a coincidere con il primo rapporto sessuale tra i due giovani sposi, descritto effettivamente con un realismo che ricorda quello de La

disubbidienza. La ragione di questa eccezionale concessione alla sessualità è che la

vicenda stessa del racconto è tutta giocata sull’esitazione della moglie a concedersi al marito, esitazione superata poi nel finale. Il sesso viene insomma a coincidere con la trama, e dunque richiede di essere trattato. Lo stesso si potrebbe affermare a proposito de La villa

de venerdì, racconto eponimo dell’ultima raccolta, in cui, in modo simile, il protagonista

soffre del mancato possesso fisico della moglie. Il sesso costituisce ancora una volta un

177 A. M

valore di trama. E infatti è qui che troviamo l’unica scena che, in tutto il corpus dei racconti, rimanda veramente alla maniera dei romanzi178.

Dovendo concludere diremo che nei rari casi in cui compare nei racconti il sesso è