Da I sogni del pigro a Racconti surrealisti e satirici.
3.1 L’Epidemia Racconti surrealisti e satiric
Se, come abbiamo detto, I sogni del pigro hanno ben poco di fantastico o di surrealista; se L’epidemia del 1944 mostra una certa varietà nell’alternarsi di allegoria, fantastico e, in minor parte, di surrealismo; gli ultimi dodici racconti aggiunti all’edizione definitiva, intitolata L’epidemia. Racconti surrealisti e satirici (che poi nelle edizioni successive verrà stampata col solo titolo Racconti surrealisti e satirici), esprimono lo spirito più caratteristico del surrealismo italiano, quello che, come abbiamo anticipato, è incarnato essenzialmente dall’opera di Alberto Savinio. Questi racconti, scritti negli anni ’46-‘48, e pubblicati principalmente su “Il Tempo e “La Nazione”, come sappiamo furono raccolti in volume nel ’56. Nel panorama storico delle raccolte di racconti del nostro autore
L’epidemia del ‘56 si incastona dunque tra le due serie dei racconti romani. Essa
comprende senza dubbio i racconti più riusciti di tutto il filone fantastico-surrealista. In ogni caso, a questo punto è forse opportuna la constatazione di un fenomeno singolare: Moravia affida a “900” un racconto realistico come Cortigiana stanca, mentre pubblica sui quotidiani nazionali i suoi pezzi surrealisti.
Essi si ricollegano, come abbiamo detto, a racconti della raccolte precedenti (Il
coccodrillo, Il tacchino di Natale), ma anche ad alcuni racconti dispersi (oltre al già citato Il leone, Nausea prima di pranzo, Città dei mobili).
Analizziamo, per cominciare, rispettivamente il primo e l’ultimo pezzo della raccolta: Il
pensiero della signora Fasano e Il monumento. Stando alla loro logica costruttiva, diremo
che questi racconti non presentano il carattere surrealista che ci si aspetterebbe (ossia non vi sono elementi assurdi, onirici, irrazionali che irrompono bruscamente eppure
77 Ivi, p. 471. 78 Ivi, p. 474. 79 Ibid.
disinvoltamente in un contesto di apparente normalità). In ciascuno di questi due testi è però possibile reperire simboli propriamente surrealisti, ed in particolare simboli cari ad Alberto Savinio.
La figura dell’angelo, presenza insolita ed inquietante in un interno borghese, accomuna
Il pensiero della signora Fasano ad Angelo di Savinio. Anche se non è documentabile una
discendenza del primo dal secondo, è un fatto che il racconto di Savinio sia di alcuni anni precedente (viene pubblicato nella raccolta Casa “La vita” del 1943). Detto questo, notiamo che il contesto entro cui l’emissario dell’oltre viene artificiosamente collocato è assolutamente identico: un appartamento borghese.
Savinio gioca sull’ambiguità del nome (Angelo di nome e di fatto)80, sebbene poi la caratterizzazione fisica non lasci dubbi:
“‘Ma è gobbo’ soggiunse Cesare, indicando le spalle del dormiente, che facevano groppo dietro la testa. ‘Sono le ali riunite sotto la giacca spiegò Bastiani”81.
“Notò un rumore, ritmico e interno. Pensò a un canto di bronchi, ma indi a poco si convinse della diversità del suono”82
Moravia preferisce invece mantenere sino alla fine l’ambiguità, e allude in questo modo alla natura sovrannaturale della cameriera: “La contessa, un po’ spazientita, spiegò allora che ella non intendeva angelo nel senso che si dice ‘buona come un angelo’; la Rosa era un vero angelo, di quelli con le ali e l’aureola”83. Dal canto suo la ragazza non nega mai di essere un angelo, e il narratore stesso si riferisce a lei con questo appellativo. Di fatto Moravia non correda il suo angelo di alcuna qualità specifica, ma fa comunque allusione alla ben nota fisionomia angelica:
“La signora Fasano pensò allora di spiare la cameriera. Vagamente si diceva che se in solitudine l’angelo avesse spiegato le ali, tirandole fuori dalle spalle come si tirano fuori le gambe dai tavolini da gioco, questo sarebbe bastato per licenziarla: non si può stare in una casa perbene con due ali, sia pure dissimulate”84.
Ciò che è una semplice supposizione nel racconto di Moravia appare come un dato effettivo nel racconto di Savinio. Qui Bastiani spiega infatti a Cardinale: “Le penne gliele
80 “Donata accennò con la mano: ‘Mio nipote Angelo: il dottor Bastiani, Cesare Cardinale’. Cesare si
meravigliò di quella mano così fredda e leggera nella sua. Domandò: ‘E di cognome?’ ‘Angelo è il cognome rispose Donata” A. SAVINIO, Angelo, in Casa “La vita”, Milano, Adelphi, 1988, p. 157.
81 Ivi, p. 164. 82
Ivi, pp. 157-158.
83 A. M
ORAVIA, Il pensiero della signora Fasano, in L’epidemia. Racconti surrealisti e satirici, Milano, Bompiani, 1956, ora in ID., Opere/3, cit., p. 1064.
abbiamo tagliate, ma la parte viva dell’ala, capirai, non era possibile tagliarla”85. E mentre il Cardinale mostra una reazione stupita al perturbante, nel racconto di Moravia il surreale appare perfettamente innestato nel quotidiano, come si può inferire da certi dialoghi (“ma la contessa Folaga-Picchio mi dice che siete un angelo… […] e allora capirete voi stessa… non posso darvi quanto do alle altre… dovrete contentarvi di mille lire di meno”86). A parte questo, le due creature sono presentate in modo assai simile, quali presenze docili, mute ed inquietanti.
Come l’angelo, le creature mitologiche e gli esseri per metà umani e per metà animali sono al centro della narrativa e dell’iconografia pittorica di Savinio. Decisamente aderente ai canoni della pittura metafisica, ed in particolare di quella saviniana, è ad esempio Il
vitello marino. Il personaggio protagonista, che anche in questo caso si suppone sia
Moravia stesso, perlustrando l’isola di Capri (stavolta dunque un luogo reale e decisamente caro allo scrittore) si imbatte in presenze surreali. La visionarietà di Moravia si intensifica dunque man mano che la raccolta si accresce. La costruzione del racconto è in verità assai complessa. Messosi alla ricerca di un fantomatico vitello marino di cui ha avuto notizia da un vecchio pescatore del luogo, il personaggio incontrerà invece una “donna gatto” che amoreggia dietro uno scoglio con un uomo. Egli informa infine il vecchio pescatore della visione, ma si sente rispondere:
“No, avrà avuto un’allucinazione… d’estate, col sole, può avvenire… tanto tanto, lei mi avesse parlato di una sirena… io non l’ho mai vista eppure è fuori dubbio che la sirena esiste… ma una donna con la coda…”87.
Un finale come questo lascia dunque il lettore nel sospetto che, come in altri casi, si tratti di una parabola moraleggiante o di un’allegoria; se così fosse, l’assurdo nascerebbe non tanto dalle strane creature nominate, quanto piuttosto dall’ottusità del vecchio, che rappresenta l’opinione comune. Ma si tratta di un sospetto assai remoto.
Il racconto che chiude l’edizione moraviana del 1956, Il monumento, reinterpreta invece, in modo come al solito originale, un altro oggetto simbolo e del fantastico e dell’arte surrealista: la statua. Non ci sono statue che si animano in Moravia; semmai, come ne I due tesori, l’immagine della statua può alludere al mistero; oppure, come in questo caso, può costituire una presenza tacita ed enigmatica. Il riferimento a Savinio, e al suo Ascolto il tuo cuore, città, ci sembra nuovamente necessario, tanto più che il romanzo
85 A. S
AVINIO, Casa “La vita”, cit., p. 164.
86 A. M
ORAVIA, Il pensiero della signora Fasano, cit., p. 1064.
fu pubblicato per i tipi della Bompiani nel ’44. Qui le statue di Milano, che saranno le uniche superstiti ai bombardamenti alleati, lanciano messaggi allo scrittore durante il suo pellegrinaggio per la città. Il contesto del Monumento moraviano, se si riflette, non è poi tanto distante, visto che è quello della Germania postbellica. La statua che Moravia- personaggio è invitato ad ammirare da un anonimo cicerone è quella di un “funzionario di terza categoria al Ministero della produzione civile, dipartimento dei vestiti, sezione delle rifiniture, sottosezione dei bottoni”88, divenuto eroe per essersi immolato alla causa dello stato. Muller, spiega orgoglioso il cicerone, si è suicidato dopo aver sbagliato la spedizione di una partita di “materiale” per costruire i bottoni, bottoni fatti con “ossa dei nemici dello stato”. Una ragione che l’interlocutore-Moravia (e con lui il lettore) non può che considerare assurda, ma che si spiega perfettamente nell’ottica “ideologica” del nostalgico cicerone.
Il dialogo, fortemente straniato, come già in Stupido come Nauromu, e come in La linea
primaverile, Primo rapporto sulla Terra dell’ “inviato speciale” della Luna e Una strana malattia, presenti in questa stessa raccolta, ha il fine di smascherare l’assurdità
dell’olocausto. Come già avevamo intuito, il surrealismo moraviano non è mai semplicemente estetico, bensì funzionale a finalità politiche, satiriche, moralistiche. In Il
monumento, Moravia, fattosi personaggio, incarna la coscienza morale che si oppone alla
crudeltà umana e al sonno della ragione. Citavamo poco fa La linea primaverile e Primo
rapporto sulla Terra dell’ “inviato speciale” della Luna. L’affinità con Il monumento non
consiste solo nell’utilizzo della tecnica narrativa dello straniamento, che in precedenza abbiamo visto essere una tecnica “ironica”. Essa consiste anche nella forte carica satirico- moralistica che ne deriva. Nella Linea primaverile, dove sono presenti, benché esteriorizzati, tutti gli elementi degli studi sulla coppia borghese riscontrabili in L’automa, l’assurdo nasce dal desiderio di una giovane moglie borghese di acquistare una mise all’ultima moda:
“Un bracciale con il numero progressivo, di una incantevole semplicità pur nella sua sobria eleganza, costituisce tutto l’ornamento di questo delizioso modello. […] La stoffa è di quel cotone a grana grossa, chiamato cotone carcerato. Per integrare questo modello […], il parrucchiere Zeta propone una acconciatura quanto mai seducente e originale ottenuta con l’applicazione totale della macchinetta sulla cute del cranio. […] Il calzolaio Emme lancia […] scarponcini di tipo militare, di vacchetta grezza con punta rinforzata, bullette tricuspidi, lacci di cuoio”89.
88 A. M
ORAVIA, Il monumento, in L’epidemia. Racconti surrealisti e satirici, cit., p. 1114.
La straniata ottusità di questo punto di vista, come quello del cicerone ne Il monumento, si scontra con una lucida coscienza morale, che in questo caso è quella del marito90. Lo scopo evidente è quello di dimostrare la sordità dell’umanità individualista dinanzi agli orrori dei lager.
Nel già più volte citato Primo rapporto sulla Terra dell’ “inviato speciale” della Luna ha luogo invece la satira, fortemente straniata, della società capitalistica.
In ogni caso, è in questi racconti che l’ironia si trasforma in qualcosa d’altro e la vena satirica del Moravia moralista emerge con maggiore evidenza, scagliandosi contro i vizi umani. Se volessimo recuperare alcuni assunti elaborati nell’ambito della critica anglosassone e da noi acquisiti nel secondo capitolo di questo studio, dovremmo definire racconti come questi “satiric short stories”91. Naturalmente il riconoscimento di una simile scelta di genere implicherebbe la fiducia da parte dell’autore nei confronti di un pubblico consapevole e capace di condividere un certo codice92.
Gli unici due inserti fantastici in un’opera ricchissima di suggestioni surrealiste sono rappresentati dal già citato Il diavolo in campagna e da L’estraneo. In quest’ultimo la cornice della vicenda è borghese: notte di Natale, una madre addobba l’albero coi figlioletti in un accogliente e caldo salotto. Ella vuol indurre i figli a credere all’arrivo di Babbo Natale, quand’ecco che l’essere evocato compare davvero alla porta e fa bruscamente irruzione in casa. Salutato dapprima benevolmente dalla donna, convinta che si tratti dello scherzo di un amico, a poco a poco l’ “estraneo” si fa minaccioso: inizia a proferire insulti di ogni genere e a criticare la condotta della povera madre (“‘Non è un albero con le radici… ma che porcheria è questa?... stupida, stupida, stupida’. Babbo Natale, passando accanto alla signora, le diede uno spintone con un fianco che quasi la fece cadere”93).
L’effetto fantastico è prodotto però soprattutto dal finale, che, diversamente che in Una
notte all’Elba, lascia il lettore in dubbio tra realtà e sogno:
90 Il quale “fece osservare alla moglie che quel vestito poteva forse anche essere incantevole come ella
affermava, ma per indossarlo mancava la prima condizione, la condicio sine qua non; l’esistenza dei campi di concentramento” (Ivi, p. 1093). “Ma non temere… tra un anno, o due, o tre al massimo, quel vestito potrai metterlo… vedrai” (Ivi, p. 1094).
91 “The satiric short story may be defined as a brief Menippean satire (an indirect prose type with characters,
plot, conflict, etc.), that sustains throughout a reductive attack upon its object; that conveys to its intended reader an import different from its apparent, surface meaning; and that is permeated by satiric techniques”
(G. FITZ GERALD, The Satiric Short Story: A Definition, in Short Story Theories, cit., p. 186).
92 “the satirist ought to consider carefully his audience. Let us call a major portion of this audience the
‘intended reader’” (Ibid.).
93 A. M
“La signora si trascinò in salotto e svenne in una poltrona. Quando rinvenne era notte alta. I bambini erano andati a dormire. Il salotto era quasi al buio. Le ultime candele agonizzavano sull’albero tra gli scintillii smorzati delle palle d’argento”94.
Surrealista ibrido, di marca landolfiana95, è invece I papàri, il cui incipit in nulla si differenzia da quello di un qualunque racconto realista:
“Certo Macelloni, commerciante clandestino, o, come si dice oggi, borsaro nero, avendo accumulato a furia di imbrogli un discreto patrimonio in contanti e sentendosi poco sicuro di conservarlo a causa del continuo invilimento della moneta, decise di convertirlo in qualche bene di valore più stabile”96.
A poco a poco si scopre che l’investimento riguarda delle misteriose creature semi- animali, il cui nome, per quanto verosimile, sarà cercato invano dal lettore sul dizionario della lingua italiana. I papàri in breve rendono la vita impossibile al Macelloni: gli fanno a pezzi la casa, gli mettono incinta la figlia e in sostanza lo mandano in rovina. La parabola, perché anche di questo tratta, si concluderà dunque col disastro economico ed esistenziale del protagonista, il quale - forse è questo il messaggio che Moravia intende lanciare - va incontro alla giusta punizione che spetta agli ingordi e ai fraudolenti.
Un’ ultima menzione va fatta a proposito di Polpi in polemica, sorta di parabola ateista sulla vita umana. Come già La rosa, esso appartiene idealmente all’area di Storie della
preistoria, giacché vi è messo in scena il paradossale rapporto tra l’animale intelligente
(“hai la fortuna di essere capitato con un polpo istruito”97; “forse te ne sarai già accorto… io appartengo alla scuola scettica”98) e l’uomo ottuso e crudele.
Bisogna però precisare, a conclusione di questo nostro discorso, che le pagine più autenticamente surrealiste di Moravia si trovano invero in una sede completamente insospettabile, ossia all’inizio del capitolo tredicesimo del romanzo La disubbidienza (1948), laddove viene descritto il delirio di Luca Mansi. E’ qui che Moravia libera tutta la sua bravura di pittore dell’onirico, dando vita a strane ed inquietanti creature, veri e propri
94 Ivi, p. 1084.
95 Pensiamo precisamente a Settimana di sole, in Il dialogo dei massimi sistemi Parenti, Firenze, 1937. Di
fatto R. MANICA (Il giovane Moravia, «Nuovi Argomenti», n. 5, quinta serie, Gennaio-Marzo 1999, p. 298) sottolinea il legame di Moravia con Landolfi e Delfini; egli si riferisce però a tutt’altra fase artistica e a tutt’altri racconti dello scrittore romano. In particolare paragona Delitto al circolo del tennis con Maria
Giuseppa, in entrambi i quali “la sessualità viene scandita in maniera triste e quasi, si direbbe, al ritmo di una
marcia funebre: un punto grumoso e inindagabile per oscurità”: e ancora accosta Apparizione a Il ricordo
della Basca. 96 A. M
ORAVIA, I papàri, in L’epidemia. Racconti surrealisti e satirici, in ID., Opere/3, cit, p. 1076.
97 ID., Polpi in polemica, in L’epidemia. Racconti surrealisti e satirici, cit., p. 1085. 98 Ivi, p. 1088.
mostri che si materializzano dalle pareti e dai mobili ed assalgono il malato che giace nel letto in preda alla febbre99.
4. Dall’ uomo animalesco all’animale umanizzato; dal Moravia moralista al Moravia