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In questa ricognizione storica sulla semiologia e l’analisi del film, come abbiamo visto, si è tenuto conto soprattutto delle pubblicazioni francesi e italiane perché la Francia e l’Italia sono stati i paesi principali in cui queste discipline sono nate, si sono sviluppate e affermate; continuando quindi lungo questo excursus occorre precisare i termini di una svolta duplice che interessa entrambi i paesi e segue quattro direzioni diverse. Cominciamo dal contesto francese. Il primo decennio degli anni 2000 è caratterizzato in Francia dal consolidamento del filone semiopragmatico, con la pubblicazione della summa degli studi di Roger Odin iniziati negli Anni Settanta (appena menzionato) e dall’approfondimento delle analisi di Raymond Bellour iniziate negli Anni Sessanta e indirizzate a un                                                                                                                

a produrre non solo il significato ma anche degli effetti di posizionamento specifici dello spettatore. Il volume esce nel 2000 con il titolo De la fiction, Bruxelles, Editions De Boeck Université; Della finzione, Milano, Vita e Pensiero, 2004; ci torneremo nel prossimo paragrafo.

100   AUMONT Jacques, À quoi pensent les films, Paris, Seguier, 1996; A cosa pensano i film, Pisa, ETS,

2007.  

101  Op. cit., p.7.

102  Aumont porta come esempi le analisi condotte da Stephen Heath, Thierry Kuntzel e Raymond Bellour,

autori che partono da un problema teorico generale e cercano nel film una risposta a questo: «Costruire il senso di un film appoggiandosi su una teoria del soggetto, su una teoria di storia delle forme o sull’inconscio di un soggetto cineasta comporta la stessa operazione costruttiva: in tutti i casi l’analista-interprete ha cercato il senso del film fuori dal film, in una grande macchina immaginaria che, bene o male, sarebbe potuta esistere senza il film.», op. cit., p.80.  

103  Op. cit., p.83.   104  Op. cit., p.158.  

approccio sempre più “corporeo” e soggettivo, rivolto anche ai territori delle arti elettroniche; sulla scia di questo approccio più soggettivo si muove anche Philippe Dubois che ha proposto un nuovo indirizzo di studi rivolto alla questione del figurale (di cui parla anche Aumont in A cosa pensano i

film).

Dopo vent’anni di ricerche e di analisi Roger Odin mette insieme il progetto di una teoria semiopragmatica del cinema105, una spiegazione dei modi in cui lo spettatore produce il senso del film a partire dalle indicazioni che gli vengono fornite sia dal contesto istituzionale che dai testi; pur rimanendo centrale l’attenzione per il film di finzione, il volume propone momenti di teoria e momenti di analisi testuale applicata a diversi tipi di audiovisivi: documentari, cartoni animati, videoclip, home movies, ecc. Nella semiopragmatica di Odin si trovano concetti desunti dalla teoria dell’enunciazione mescolati con le tendenze di studio più recenti che prendono in considerazione i fattori emotivi e sensibili: se in un primo momento Odin aveva seguito un approccio semiolinguistico, che era caratterizzato da una prospettiva tutta interna al testo, nel suo nuovo indirizzo di ricerca si propone invece di indagare la produzione del senso all’interno del confronto fra testo e contesto, arrivando alla conclusione che il senso si produce al di fuori del testo.106 Non si tratta di un’indagine empirica sullo spettatore perché Odin lavora su un modello astratto in un’epoca in cui invece l’indagine sul campo viene privilegiata in molte discipline (la sociologia, i Cultural Studies, il cognitivismo):

«La semiopragmatica è un modello di (non-)comunicazione che presuppone che non avvenga mai trasmissione di un testo da un emittente a un ricevente ma un doppio processo di produzione testuale: l’uno nello spazio della produzione e l’altro nello spazio della lettura. Il suo obiettivo è di fornire un quadro teorico che permetta di interrogarsi sulla maniera in cui si costruiscono i testi e sugli effetti di questa costruzione. Si parte dall’ipotesi che sia possibile descrivere ogni lavoro di produzione testuale attraverso la combinazione di un numero limitato di modi di produzione di senso e di affetti che conducono ciascuno a un tipo di esperienza specifica e l’insieme dei quali forma la nostra

competenza comunicativa. […] Gli attanti della comunicazione sono per me delle

costruzioni teoriche, non degli esseri in carne ed ossa, e la mia descrizione dei modi non pretende di spiegare ciò che succede “nella nostra testa”, ma di poter porre un certo numero di problemi. Il modello semio-pragmatico è un modello euristico.»107

                                                                                                               

105  ODIN Roger, op. cit..  

106   Come spiegano Francesco Casetti e Ruggero Eugeni nella Prefazione, Odin li chiama “modi di

produzione del senso”, un set di operazioni che lo spettatore interiorizza dalla propria società, inserisce nella propria competenza comunicativa e li richiama nel momento in cui si trova di fronte a un testo da capire. Il testo, specifica l’autore, agisce “in negativo” bloccando le procedure che non gli convengono.

Nel volume di Bellour,108 a partire dal titolo, si trova un accenno a un concetto nuovo che verrà largamente impiegato negli anni seguenti: quel “Fra” (in francese “Entre”) è sintomo di un cambiamento di prospettiva. In realtà Bellour continua le proprie riflessioni iniziate negli Anni Sessanta e, criticando la tendenza inaugurata dalle analisi testuali che sono state così prolifiche da creare quasi un “genere teorico”, insiste nel dichiarare la natura “sfuggente” del corpo del film, l’impossibilità di citarlo, di abbracciarlo perfino, e aggiunge: «Per giunta è polisemico, in modo eccessivo, e la sua materia, impastata di iconicità e di tendenza all’analogia, si oppone al linguaggio».109 Bellour continua dicendo che nessuna analisi ha prodotto un equivalente di S/Z di Roland Barthes e che addirittura forse non dovrebbero più esserci analisi del film ma solo “gesti”;110 in ogni caso, anche se l’analisi testuale sembra essersi svuotata degli assunti da cui era partita a causa del videoregistratore, della televisione e del dvd, il filmologo francese individua nel seminario il luogo in cui l’analisi ha ancora un senso e nelle nuove forme di incontro tra parola e immagine (come i lavori di Kuntzel e Godard che usano il video per fare analisi del film e della storia del cinema) la possibilità di quel “gesto” di cui sopra, nel passaggio dalla critica alla messinscena e dalla teoria alla creazione.111

Nel 2003 Philippe Dubois indicava nella “problematica del figurale” un nuovo campo di studi rivolto all’interpretazione delle immagini come “presenza”, anziché come rappresentazione; vi sono infatti immagini che ci colpiscono al di là della narrazione e che lasciando tracce nella nostra percezione, coscienza e memoria, si fanno “figure”.112 Queste figure sono capaci di mobilitare le sensazioni dello spettatore ben oltre il racconto, alludendo «a un oltre», «una presenza che può palesarsi perfino solo in un dettaglio, o in una parte apparentemente insignificante della composizione, una presenza che ci tocca nel profondo»113 e che ci suggerisce in qualche modo che

                                                                                                               

108  BELLOUR Raymond, L’Entre-Images. Photo, cinéma, vidéo, Paris, Editions de la Différence, 2002; Fra le immagini. Fotografia, cinema e video, Milano, Mondadori, 2007.  

109  Op. cit., p.13. 110  Op.cit., p.14.

111  Recentemente Bellour si è confrontato con l’analisi digitale all’interno del progetto Lignes de temps che

illustreremo nel terzo capitolo.

112  DUBOIS Philippe, Au seuil du visible: la question du figural, in INNOCENTI Veronica, RE Valentina (a

cura di), limina/le soglie del film, Udine: Film Forum, 2003.

113  La citazione è contenuta in Analizzare i film, a cura di SAINATI Augusto e GAUDIOSI Massimiliano,

Venezia, Marsilio, 2007, p.107. In questo manuale vengono proposte interessanti riflessioni sulla pratica analitica e vengono indicate alcune strategie e strumenti dell’analisi. Sulla scia della “nuova sensibilità analitica” (di cui parleremo a breve in relazione al contesto italiano) il volume sottolinea a più riprese come l’analisi non si chiuda mai (i paragrafi finali di ogni capitolo rimandano sempre a un “oltre”) e come gli strumenti adottati vadano sempre resi elastici e forgiati di volta in volta, nella direzione del dialogo tra testi (intertestualità) e tra testo e contesto (in considerazione anche delle nuove tecnologie di ripresa e montaggio del cinema digitale). Ed è in quell’ “oltre” che Sainati recupera la questione del figurale proposta da Dubois su cui torneremo alla fine del capitolo.

«l’immagine pensa».114 Questo approccio scaturisce dalla considerazione che ogni film lascia in noi non un ricordo netto e preciso della storia e degli eventi, bensì una serie di “tracce” che spesso sono

figure, frammenti che ci colpiscono e che rivelano una “forza intrinseca dell’immagine”,115 una

forza incontrollabile che rompe col suo referente e si impone rivelando un “Altro”. Dubois descrive il figurale come ciò che resta dell’immagine una volta eliminata la dimensione figurativa (cioè il motivo iconografico, referenziale) e ne parla come di un processo dell’immagine che si attua in tre fasi (la folgorazione, lo strappo e la presenza) e che l’analista deve poi costruire, montare in una struttura interpretativa. Il modello cui Dubois si riferisce è quello warburghiano dell’Atlantis

Mnemosyne, modello frammentario e monumentale che si ritrova nelle Histoire(s) du cinéma di

Godard, ancora un volta “gesti” più che discorsi, invenzioni pratiche più che analisi testuali.

In Italia si registra una vera e propria svolta nell’ambito degli studi analitici e testuali. A partire dal 2003 prende avvio “Il lavoro sul film”, una serie di workshop organizzati dal DAMS di Torino sulla scia delle giornate di Urbino dedicate all’analisi del film, curati da Giulia Carluccio e Federica Villa e caratterizzati dal ripensamento dell’analisi e della nozione di testo, dall’individuazione di nuovi percorsi teorici e pratici, e di nuove terminologie da applicare nel mutato orizzonte tecnologico e sociale. Il primo workshop dà vita al primo quaderno, non una pubblicazione degli atti del convegno ma un volume ripensato e ridiscusso a posteriori dal titolo emblematico: La post-analisi.116 Nella prefazione le curatrici introducono “la nuova epoca” dicendo:

«Dopo una stagione in cui le metodologie di derivazione semiologica hanno costituito il riferimento privilegiato nell’approccio al film, sia come principale pratica analitica, sia come punto di convergenza o divergenza dialettica con altre prospettive disciplinari, il lavoro sul film resta al centro di una ricerca sul cinema che ha oggi esplicitamente e consapevolmente allargato i propri confini alle diverse dimensioni contestuali. Dall’ermeneutica alla stilistica, dalla pragmatica della comunicazione all’etnografia del consumo, la storia del cinema e il ruolo del film risultano fortemente implicati in una nozione di storia sociale del mezzo, che se da una parte preserva un legame con la testualità, dall’altra favorisce una prospettiva di ricerca intertestuale e intermediale, in cui il film assume il ruolo di fonte da interrogare nella sua ricchezza estetica, culturale e storica, e nell’interazione con altri materiali e documenti non film.»117

                                                                                                               

114   AUMONT Jacques, op. cit.. Aumont dedica il capitolo 8 alla questione del figurale (“Figurabile,

figurativo, figurale”, pp.143-165) e proponendo una disamina dei termini figura e figurativo, auspica un ritorno all’analisi delle configurazioni del film, degli elementi della figurazione, a discapito della dimensione narrativa, letteraria e linguistica che prendono in considerazione l’insieme del film (il “sistema”) piuttosto che il dettaglio, il motivo che muove la psiche (“e-mozione”).

115  DUBOIS Philippe, op. cit., traduzione mia.

116   CARLUCCIO Giulia, VILLA Federica (a cura di), La post-analisi. Intorno e oltre l’analisi del film,

Torino, Kaplan, 2005.

Il volume si apre con uno scritto di Francesco Casetti118 che ripercorre le tappe storiche dell’analisi del film, disciplina ma anche arte, di cui Casetti rintraccia il possibile seguito in due direzioni che l’analisi oggi dovrebbe seguire: da una parte l’ermeneutica, dall’altra l’andare oltre la testualità e quindi verso la post-analisi. Sul fronte dell’ermeneutica il semiologo cita il lavoro di Paolo Bertetto, un lavoro che contempli il «dialogo tra interprete e interpretato» e « tra i due e il loro contesto»119 come in Barthes, un territorio in cui la semiologia «uno strumento nato per assicurare una qualche “oggettività” allo studio del cinema, diventa il luogo della più intensa soggettività». La post-analisi ruota quindi attorno a tre istanze che sono l’interprete, il testo e il contesto e i suoi nuovi territori di pertinenza vengono indicati nel senso e nel legame, cioè da una parte una pratica che non sia più semplicemente descrittiva ma interpretativa, e dall’altro una pratica che ponga l’accento non sul testo in quanto sistema unitario e armonico bensì sul frammento, sulla rovina e sul legame tra le tre istanze. Gli studiosi presenti al workshop concordano sulla consapevolezza di trovarsi in una fase posteriore rispetto a quella storica dell’analisi: Antonio Costa pensa che i nuovi studi dovrebbero collegarsi con la storia e con una dimensione intertestuale, concentrandosi in particolare sulla tecnologia che sembra sorpassarci e che invita quindi a una riflessione nuova;120 Gianni Rondolino dice che oggi ci ritroviamo al punto di partenza, dopo l’epoca della “febbre analitica” si è capito che occorre tornare al prima dell’analisi, a quando si faceva l’interpretazione del testo, pratica in cui la soggettività era ed è fondamentale; Raffaele De Berti propone invece l’emergere di nuove pratiche di analisi che vedano équipe scientifiche con competenze diversificate affrontare uno stesso testo.121 Raymond Bellour al convegno parla di analisi ed emozione,122 di andare «al corpo del film il più direttamente possibile» e anche Ruggero Eugeni, in accordo con le sue posizioni, sostiene che oggi porre al centro dell’analisi il problema dell’emozione e del sensibile sia la frontiera più avanzata, e indica nel ripensamento in una prospettiva più cognitivista del pensiero di Deleuze l’orientamento da seguire, insieme alla considerazione dello spettatore cinematografico come un corpo tout

court.123

                                                                                                               

118   CASETTI Francesco, Una affettuosa provocazione a proposito dell’analisi filmica, in CARLUCCIO

Giulia, VILLA Federica (a cura di), op. cit., p.9.

119  Op. cit., p.12 (corsivo dell’autore).

120   Costa parla del DVD che porrebbe all’analista già una riflessione sulla segmentazione, problema

fondamentale di ogni analisi: il nuovo supporto ci fornisce un film già segmentato secondo criteri che andrebbero analizzati; parla a questo proposito di “multitestualità”.

121   Torneremo su questa idea quando si tratterà di affrontare il tema dell’analisi digitale che fa emergere

competenze trasversali del singolo ma anche competenze multiple di più persone.

122   BELLOUR Raymond, Analisi ed emozione, in CARLUCCIO Giulia ,VILLA Federica (a cura di), La post-analisi…, op. cit., pp.120-121.

Nel 2006 escono due pubblicazioni: il secondo quaderno relativo al secondo workshop124 e un approfondimento su alcuni temi toccati dal secondo convegno.125 La seconda edizione de “Il lavoro del film” si orienta sui modi di analisi dell’intertestualità, sul concetto di “storicità del testo” e quindi sul legame tra testo e contesto; le nuove direttrici dell’analisi sono dunque sempre più rivolte al contesto e allo spettatore, a quelle che Casetti chiama reti di discorsi sociali,126 cioè ancora una volta una testualità non più chiusa in discorsi isolati e autosufficiente, ma aperta e messa in relazione con le nuove istanze di ricerca, una “testualità diffusa” come dice Guglielmo Pescatore. Interessanti gli interventi di Peppino Ortoleva che parla di intertestualità e intermedialità da applicare all’interno del testo, un testo che contiene forti elementi di instabilità intrinseca da sempre, secondo il massmediologo, e l’intervento di Mariapia Comand che cita gli studi di Landow sull’ipertesto, la galassia di significanti di Barthes e il concetto bachtiniano di polifonia che è idealmente materializzato, secondo Landow, nell’ipertesto. Ma avremo modo di tornare sull’ipertesto in modo specifico nel secondo capitolo per introdurre un’altra svolta che è quella del digitale. Anche la terza pubblicazione, Il corpo del film, conferma il mutato indirizzo dell’analisi del testo filmico a favore dell’idea di una testualità “altra”, oltre la linguistica, la semiotica e il testo comunemente inteso, una testualità che si esplica ormai nella materialità del corpo del film e nelle pieghe del testo. Questo nuovo sentire si concretizza nei nuovi campi di ricerca volti ad analizzare le pratiche discorsive e di consumo, ma anche la forma e le emozioni; si torna al concetto di fisicità della scrittura e del testo di cui parlava Barthes ne Il piacere del testo,127 e proseguono gli studi sull’enunciazione e gli approcci semiopragmatici. Nel volume si trova un accenno all’analisi figurale del film, proposta da Bellour, analisi soggettivo-emotiva che si muove alla ricerca degli elementi che all’interno del testo “fanno figura”, in sintonia con l’andamento del film nei suoi tratti singolari. Come si vede, siamo ormai molto lontani dal distacco necessario alla scientificità dell’analisi che si era posta come obiettivo la prima semiologia di derivazione linguistico- strutturalista: l’analista non è più soltanto terreno per la sua indagine in quanto analista-spettatore, ma si riconosce come spettatore a tutti gli effetti e vuole affermare il “piacere” della propria visione e del proprio ascolto, facendosi trascinare dalle emozioni che il corpo del film gli fa vivere.

                                                                                                               

124   CARLUCCIO Giulia, VILLA Federica (a cura di), L’intertestualità – lezioni, lemmi, frammenti di analisi, Torino, Kaplan, 2006.

125  CARLUCCIO Giulia, VILLA Federica (a cura di), Il corpo del film. Scritture, contesti, stile, emozioni,

Roma, Carocci, 2006.

126  CASETTI Francesco, Intertestualità e lavoro sul film: possibilità per la ricerca, in CARLUCCIO Giulia,

VILLA Federica (a cura di), op. cit., p.35.

127   BARTHES Roland, Le plaisir du texte, Paris, Editions du Seuil, 1973; Il piacere del testo, Torino,

Gli ultimi due workshop di Torino del 2008 e del 2009128 rendono ancora più netta la separazione dei nuovi studi dallo studio testuale; in Dentro l’analisi – soggetto, senso, emozioni,129 si continua a lavorare sulla post-analisi intendendo il testo quale porta d’accesso, veicolo e ingresso a un’analisi del corpo del film, dei frammenti di testi e di percorsi metodologici ogni volta adattati alla ricerca in corso. L’idea di testo permane, arricchita dal dialogo con i soggetti (lo spettatore e l’analista-spettatore) e Casetti parla di testo come “evento”130 che vive in uno spazio-tempo determinato e che quindi ha una vita sociale che l’analista dovrà andare a studiare: il film torna così a essere, nelle sue parole, un oggetto culturale, un oggetto storico e l’esperienza «indica appunto il momento in cui la vita del testo si confronta, ed anzi si scioglie, dentro la vita del suo destinatario».131 Sul fronte dell’analisi interpretativa, l’intervento di Paolo Bertetto132 ci riporta comunque alla dimensione del racconto (da cui era partito Metz nel 1963 per la sua analisi della colonna visiva di Adieu Philippine), un racconto che viene analizzato non con i modelli dello strutturalismo bensì tenendo in mente l’ampia riflessione sul tempo e la narrazione condotta da Paul Ricoeur nei tre volumi di Tempo e racconto:133

«Detto altrimenti, i romanzi e i film costituiscono i modelli narrativi con i quali noi possiamo raccontarci la nostra vita e comprenderla. L’importanza che il racconto ha all’interno del film deve quindi essere vista in relazione a questi percorsi psichici ed esistenziali.»134

                                                                                                               

128  Gli atti dell’ultimo workshop che si è tenuto nel dicembre 2009, Il lavoro sul film V. Post-testualità – percorsi tra cinema e media, non sono ancora stati pubblicati.

129  CARLUCCIO Giulia, VILLA Federica (a cura di), Dentro l’analisi – soggetto, senso, emozioni, Torino,

Kaplan, 2008.

130  CASETTI Francesco, Soggettività, senso e emozione: alcune possibili chiavi di analisi, in CARLUCCIO

Giulia, VILLA Federica (a cura di), op. cit..

131  Op. cit., p.34.

132  BERTETTO Paolo, L’analisi e l’interpretazione. L’orizzonte teorico, in op. cit.. Bertetto ha curato diversi

volumi sull’analisi e l’interpretazione dei film:

- BERTETTO Paolo (a cura di), L’interpretazione dei film. Dieci capolavori della storia del cinema, Venezia, Marsilio, 2003.

- BERTETTO Paolo (a cura di), Metodologie di analisi del film, Roma-Bari, Laterza, 2006 (si tratta di una interessante ricognizione delle diverse metodologie di analisi elaborate in seno alla cultura europea e a quella americana).

- BERTETTO Paolo (a cura di), Analisi e decostruzione del film, Roma, Bulzoni, 2007.

133  RICOEUR Paul, Temps et récit I, Paris, Editions du Seuil, 1983; Tempo e racconto. Volume 1, Milano,

Jaca Book, 1986-2008.

RICOEUR Paul, Temps et récit II. La configuration dans le récit de fiction, Paris, Editions du Seuil, 1984;

Tempo e racconto. Volume 2. La configurazione nel racconto di finzione, Milano, Jaca Book, 1985-2008.

RICOEUR Paul, Temps et récit III. Le temps raconté, Paris, Editions du Seuil, 1985; Tempo e racconto.

Volume 3. Il tempo raccontato, Milano, Jaca Book, 1988-2007.  

Nell’ultimo convegno alla post-analisi fa seguito la post-testualità,135 si torna infine a parlare