• Non ci sono risultati.

In Italia il primo manuale metodologico sull’analisi del film viene pubblicato nel 1990: si tratta dell’Analisi del film di Francesco Casetti e Federico Di Chio che propone un approccio semiotico all’analisi del film. Il film viene analizzato come testo e studiato come oggetto di linguaggio, come luogo di rappresentazione, come momento di narrazione e infine come unità comunicativa.88 Il volume nasce dall’esigenza di fare chiarezza tra le numerose analisi in circolazione che spesso si appoggiavano a metodi poco chiari, e vuole fornire una metodologia esplicita. Si tratta quindi di un manuale in cui si indirizza il lettore/lo studente a un metodo rigoroso che prevede una scomposizione del film secondo le direttrici strutturali già individuate da Metz e ormai consolidatesi in una sorta di “schema” che permette di analizzare un film come si analizza un racconto, partendo dalla segmentazione delle unità — dalle più piccole alle più grandi — per proseguire con la stratificazione in cui si rilevano gli elementi caratteristici dell’immagine, del sonoro, ecc. L’approccio di Casetti e Di Chio è in realtà una mescolanza di prospettive e gli autori sottolineano — come già Aumont e gli altri — l’importanza della comprensione e della “metacomprensione”, una sorta di comprensione di secondo grado che spiega come si è riusciti a comprendere e spiegare il testo analizzato.89

Nel 1991 esce in Francia il sesto volume di Metz, L’enunciazione impersonale o il luogo del

film90 in cui il semiologo prendendo spunto dalla teoria dell’enunciazione di Emile Benveniste ricava una propria teoria specifica per il cinema che prevede di disancorare i termini dell’enunciazione da marche personalistiche — del tipo io, tu, egli — tipiche della conversazione orale (e in quanto tali studiate dalla linguistica) ma non applicabili ai discorsi “monodirezionali” come il film e il romanzo, discorsi che spingono dunque a revisionare la teoria per “strapparle” quell’antropomorfismo che la caratterizzava.91 Ma ci pare interessante riportare qui la riflessione che Metz conduce nel primo

capitolo, intitolato “L’enunciazione antropoide”, per giustificare in un certo senso l’importanza                                                                                                                

87 Op. cit., p.16.  

88  CASETTI Francesco, DI CHIO Federico, Analisi del film, Milano, Bompiani, 1990. 89  Op. cit., p.12.  

90  METZ Christian, L’énonciation impersonnelle ou le site du film, Paris, Klincksieck, 1991; L’enunciazione impersonale o il luogo del film, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995.

91  Metz anticipa gli argomenti di questo volume nell’intervista rilasciata alla rivista “Cinegrafie” nel 1989, op. cit., p.18.

dell’analisi testuale in un momento storico in cui si iniziava sempre più a rivolgersi alla sociologia, agli studi empirici e alla pragmatica:

«Il fatto è che si ha a che fare con due ordini di realtà eterogenee, un testo (cioè, mi ripeto, una cosa) e delle persone; tante persone, tutte diverse, e un unico testo. La pragmatica, almeno quando si limita al testo, deve saper accettare questo limite, che talvolta la infastidisce un po’, mentre esso non ha niente di disonorevole. Lo spettatore è sottoposto a molteplici influenze che erano evidentemente assenti dalle previsioni filmiche; così non è per niente contraddittorio constatare a un tempo che il film ha “posizionato” l’enunciatario a destra dello schermo e che un certo spettatore ha rivolto il suo sguardo a sinistra (…). Per tutti questi motivi gli studi enunciativi mi pare conservino intatte le loro utilità e la loro autonomia.»92

Ecco perché per Metz appare più scientifico lo studio del testo e delle sue logiche interne, riflessione che a mio parere rimane ancora oggi valida nonostante gli studi filmici abbiano ormai preso direzioni completamente diverse, e anzi a nostro avviso è una riflessione necessaria laddove si vogliano sperimentare vie alternative d’analisi, come ad esempio nel caso dell’analisi digitale che permette di fondere più approcci in maniera pratica e intuitiva (ad esempio l’approccio testuale e l’approccio pragmatico di cui parla il semiologo). Più avanti Metz insiste sulla fondatezza dell’analisi testuale comparandola alle ricerche semio-psicanalitiche il cui valore analitico risiede tutto nelle qualità personali dell’analista che si pone come studioso e al tempo stesso terreno della ricerca rispetto al film: l’analista “testa” su di sé come spettatore il lavoro del film, la sua logica, e quello che ne ricava è una risposta generica che riguarda lo spettatore e che quindi ognuno può trovare in sé; così, ad esempio, se l’analista dirà che nel film di finzione vi è un piacere misto di credenza e non credenza, constaterà qualcosa di generico ma che è di interesse poiché riguarda tutti gli spettatori, al di là delle variabili particolari.93

Nello stesso anno la rivista “CinémAction” propone un numero monografico sui 25 anni di semiologia del cinema che contiene una ricognizione storica e una panoramica non solo sulla semiologia in Francia e all’estero ma anche sul ruolo della semiologia nelle altre discipline.94 Nel preambolo André Gardies parla della semiologia come di una disciplina che ha trasformato il paesaggio degli studi cinematografici cercando di capire come lo spettatore capiva e forgiando gli strumenti concettuali per comprendere l’oggetto filmico; nel fare questo si era data come scopo di far uscire gli studi filmici dal campo dell’empirismo e dell’impressionismo, del giudizio soggettivo, promuovendo una posizione scientifica che rinnovasse il tradizionale approccio storicista e umanista.                                                                                                                

92  Op. cit., pp.29-30.

93  Op. cit., pp.36-37 (i corsivi sono dell’autore). Si pensi in particolare alla semiopragmatica di Roger Odin

su cui torneremo.  

L’attenzione veniva così spostata dall’autore al testo, dal significato alla comprensione di come si produce il senso, e ciò provocava accesi dibattiti da parte degli umanisti che difendevano da sempre la nozione di autore; insomma il “pensiero semiologico” (così come Gardies preferisce definirlo) sembrava porsi non solo come campo di ricerca nuovo, rigoroso e scientifico ma anche, in un certo senso, come ideologia.

Un altro compendio importante è quello di Francesco Casetti pubblicato nel 1993, Teorie del

cinema. 1945-1990,95 in cui l’autore traccia la storia delle teorie del cinema, da quelle ontologiche

del dopoguerra (Bazin, Mitry) fino a quelle recenti come la semiopragmatica (Odin). Nel capitolo dedicato alla semiologia, Casetti definisce l’articolo di Metz apparso nel 1964 come uno “strappo”96 che generò all’epoca fratture, aggregazioni e resistenze (o si era ‘con’ o si era ‘contro’) e nell’excursus che propone sul pensiero del semiologo francese mette in luce il continuo processo di ridefinizione e messa in discussione che anima la ricerca metziana, una ricerca in cui effettivamente la messa a punto del metodo sembra superare lo studio dell’oggetto cinema in sé, come abbiamo visto. Nel 1995 esce il Manuale del film di Gianni Rondolino e Dario Tomasi,97 un manuale che

affronta il cinema come linguaggio e il film come racconto; il capitolo finale è dedicato all’analisi del film in una prospettiva didattica: i riferimenti teorici che gli autori utilizzano sono L’analyse des films di Aumont e Marie del 1988 e l’Analisi del film di Casetti e Di Chio del 1990, da cui traggono indicazioni sulle caratteristiche della disciplina e sugli strumenti e i criteri necessari per affrontarla. Corredano il volume tre analisi esemplari: l’approccio semio-psicanalitico di Bellour nell’analisi del frammento de Il grande sonno di Howard Hawks (The Big Sleep, 1946), lo studio del lavoro dell’enunciazione di Nick Browne nell’analisi di una breve sequenza di Ombre rosse di John Ford (Stagecoach, 1939) e l’analisi narratologica che Marie-Claire Ropars conduce su due scene di Quarto

potere di Orson Welles (Citizen Kane, 1941).98

Sul fronte delle nuove teorie, invece, è importante ricordare che in questi anni Roger Odin continua ad allargare la sua ricerca nel solco degli studi di Metz in una prospettiva semiopragmatica, approfondendo e “testando”, su film classici e film sperimentali, concetti desunti dalla teoria dell’enunciazione, dagli studi sul contesto e sulla ricezione,99 mentre Jacques Aumont prosegue la

                                                                                                               

95  CASETTI Francesco, Teorie del cinema, op.cit.. 96  Op. cit., p.97.

97  RONDOLINO Gianni, TOMASI Dario, Manuale del film. Linguaggio, racconto, analisi, Torino, UTET,

1995.

98  Tra i manuali che escono in questo periodo vale la pena citare anche il Précis d’analyse filmique di Francis

VANOYE e Anne GOLIOT-LÉTÉ (1992) — che esce in Italia nel 1998 col titolo Introduzione all’analisi

del film, Torino, Lindau — una pubblicazione che, come dice il titolo, fornisce un’introduzione pratica

all’analisi del film attraverso una ricognizione storica sul linguaggio filmico (comprese le forme brevi, come lo spot pubblicitario), analisi di film e schemi da seguire che propendono per un approccio narratologico.

99   Come abbiamo visto, la semiopragmatica di Odin è una semiologia che tiene conto delle condizioni

sua riflessione sull’analisi del film pubblicando un volume in cui saggi teorici si alternano ad applicazioni pratiche, nella direzione di un metodo analitico molto lontano dalla semiologia e vicino invece a un approccio filosofico-iconologico e a posizioni più soggettive ed emotive.100 Aumont si dice insoddisfatto degli approcci che lo hanno preceduto, tanto di quelli semiologici quanto di quelli filosofici, e afferma la centralità dell’immagine «in quanto produttrice di pensiero».101 Rifutando quindi metodi che tendono a partire da discorsi e teorie preesistenti all’opera, Aumont difende un’attività analitica che si basi esclusivamente sulla descrizione dell’immagine e sulla sua spiegazione.102 Inoltre, per quanto riguarda la verifica e la fondatezza dell’analisi, lo studioso afferma che essa deve essere condotta sul “territorio di rilevanza” del principio di pertinenza istituito dall’analista stesso, che rappresenta l’unica possibilità di verifica,103 e si dovrà andare alla ricerca del “dettaglio pregnante” anziché concentrarsi sull’intero film, dettaglio che nel volume viene definito il “motivo”, «l’atomo analitico per eccellenza»,104 un elemento che può appartenere al figurativo, al narrativo o ad altro.