• Non ci sono risultati.

Gli anni Settanta e Ottanta: istituzione delle Regioni a statuto ordinario, riforma

Nel documento Il Fondo di Solidarietà Comunale (pagine 52-57)

CAPITOLO II – LE TAPPE DEL DECENTRAMENTO FISCALE ED

2.2 Gli anni Settanta e Ottanta: istituzione delle Regioni a statuto ordinario, riforma

Le Regioni a statuto ordinario, pur essendo previste dalla Costituzione fin dalla sua entrata in vigore nel 1948, vennero istituite solamente agli inizi degli anni Settanta, a differenza delle cinque Regioni a statuto speciale (Sardegna, Sicilia, Trentino - Alto

43

Adige, Valle d’Aosta e Friuli – Venezia Giulia4) alle quali, ai sensi dell’articolo 116 della

Costituzione, nella sua formulazione originaria antecedente la riforma del Titolo V, furono attribuite fin da subito “forme e condizioni particolari di autonomia secondo

statuti speciali adottati con leggi costituzionali”.

L’articolo 115 della Costituzione, rimasto inattuato per circa un ventennio ed abrogato nel 2001, sanciva che “Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri

poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione”. Un primo passo verso

l’attuazione del dettato costituzionale, si ebbe dapprima nel 1968 con l’emanazione della legge n. 108 del 17 febbraio, “Norme per la elezione dei consigli regionali delle Regioni

a statuto normale” e, successivamente, con la legge n. 281 del 16 maggio 1970,

“Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario”. In realtà, come osserva Piperno (2013), “operativamente, e quindi anche da un punto di vista

finanziario, le Regioni a statuto ordinario hanno iniziato a funzionare solo nel 1973 dopo l’approvazione degli statuti e dei decreti di trasferimento di funzioni amministrative”.

Sebbene il testo originario dell’art. 119 della Costituzione prevedesse quali fonti di finanziamento delle Regioni a statuto ordinario tributi propri e quote di tributi erariali, oltre che entrate ordinarie di natura patrimoniale, in quegli anni l’autonomia tributaria regionale era alquanto limitata; l’ottica centralista all’epoca prevalente, portò infatti alla configurazione di un sistema di finanza derivata, caratterizzato, sotto il profilo delle entrate, da una situazione di quasi completa dipendenza dai trasferimenti statali, spesso a vincolo di destinazione, decisi e contrattati anno per anno (Bassanini – Macciotta, 2003). Ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 281/1970, vennero assegnati alle Regioni ordinarie i seguenti tributi propri dei quali lo Stato definiva la base imponibile e stabiliva limiti minimi e massimi delle aliquote:

 l’imposta sulle concessioni statali di beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato siti nel territorio della Regione;

la tassa sulle concessioni regionali;

la tassa di circolazione sui veicoli a motore;

la tassa regionale per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche.

Già da questa elencazione, come osserva giustamente Serrentino (2009), “emerge

chiaramente la tendenza a comprimere l’autonomia regionale sul versante delle entrate,

44

ciò che caratterizza la finanza regionale quale finanza di trasferimento/derivata da quella statale. Le ragioni della codificazione di un simile sistema di finanza regionale vanno ricercate nella tendenza (politica) di limitare il trasferimento delle funzioni (e di conseguenza delle risorse finanziarie) alle istituende Regioni, sulla base della logica accentratrice che ha caratterizzato i primi anni dell’attuazione dell’ordinamento regionale”. Sempre ai sensi dell’art. 1 della legge n. 281/1970, furono attribuiti alle

Regioni i gettiti delle imposte erariali sul reddito dominicale e agrario dei terreni e sul reddito fondiario dei fabbricati, successivamente aboliti con la riforma tributaria del 1971 e sostituiti con altre fonti.

Accanto ai tributi propri vennero istituiti due fondi di finanziamento statali, ossia il Fondo Comune e il Fondo per i programmi regionali di sviluppo, disciplinati rispettivamente dagli articoli 8 e 9 della legge n. 281/1970: il primo, istituito con cadenza annuale dal Ministero del Tesoro e alimentato con quote del gettito di tributi erariali, doveva essere ripartito fra le varie Regioni in base a criteri perequativi volti ad appianare le disparità tra Regioni ricche e Regioni povere; il secondo, invece, il cui ammontare doveva essere determinato per ogni quinquennio dalla legge di approvazione del programma economico nazionale, era stato concepito come strumentale a collegare la programmazione regionale a quella nazionale, ma proprio a causa delle carenze e delle difficoltà dei processi di programmazione nazionale e regionale, fu trasformato in un semplice fondo ripartibile tra tutte le Regioni con criteri analoghi a quelli utilizzati per il Fondo Comune (Serrentino, 2009). Inoltre, vennero disposti a favore delle Regioni, in attuazione dell’art. 119, terzo comma, della Costituzione, dei contributi speciali i quali, ai sensi dell’art. 12, legge n. 281/1970, dovevano “in ogni caso avere carattere aggiuntivo

rispetto alle spese direttamente o indirettamente effettuate dallo Stato con carattere di generalità per tutto il proprio territorio”.

Accanto ad un primo flebile tentativo di decentramento finanziario, si intraprese parallelamente il cammino verso il decentramento amministrativo; l’articolo 17 della legge n. 281/1970, disponeva infatti che, entro due anni dall’entrata in vigore della stessa, il Governo avrebbe dovuto emanare dei decreti aventi valore di legge ordinaria, allo scopo di disciplinare l’attribuzione alle Regioni delle funzioni elencate all’art. 117 della Costituzione. Vennero emanati in tutto dodici decreti, di cui undici nel gennaio del 1972

45

e uno nel giugno dello stesso anno, con cui furono trasferite alle Regioni le funzioni amministrative nelle seguenti materie:

 circoscrizioni comunali e polizia locale;  acque minerali, cave e torbiere;

 assistenza scolastica, musei e biblioteche;  assistenza sanitaria ed ospedaliera;  trasporti;

 turismo ed industria alberghiera;  fiere e mercati;

 urbanistica, viabilità ed espropriazione;  beneficenza pubblica;

 istruzione artigiana e professionale;

 agricoltura, caccia e pesca (Strazza, 2009).

In realtà, il processo di decentramento amministrativo rimase per lo più inattuato e venne ripreso solamente qualche anno più tardi con la promulgazione della legge 22 luglio 1975, n. 382, “Norme sull’ordinamento regionale e sulla organizzazione della

pubblica amministrazione”, attuata con il D.P.R. 24 luglio 1977, n.616. Fu portato così a

compimento il passaggio di funzioni dallo Stato alle Regioni per settori organici di materie riguardanti:

a) ordinamento e organizzazione amministrativa; b) servizi sociali;

c) sviluppo economico;

d) assetto ed utilizzazione del territorio.

Nonostante i tentativi intrapresi, l’obiettivo di portare a compimento il decentramento amministrativo e fiscale a favore delle Regioni subì, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, un’importante battuta d’arresto; come si avrà modo di vedere nel corso della trattazione, tale processo riprese poi tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, fino a culminare nella riforma costituzionale approvata nel 2001.

Per quanto riguarda invece la finanza locale, gli anni Settanta segnarono la svolta verso la pressoché totale compressione dell’autonomia impositiva di Comuni e Province. Il 9 ottobre 1971, con legge delega n. 825, venne approvata la riforma del sistema

46

tributario italiano, entrata in vigore il 1° gennaio 1973, con riferimento alle imposte dirette e ai tributi locali, mentre le nuove imposte indirette entrarono a regime a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo.

La riforma tributaria, nettamente in contrasto con i tentativi di decentramento finanziario intrapresi in quegli stessi anni a livello regionale, portò alla configurazione di un sistema di finanza locale derivata, prevedendo l’abolizione di quasi tutti i tributi locali e la loro progressiva sostituzione con trasferimenti statali, calcolati secondo il criterio della spesa storica (o spesa effettiva).

Come descritto nel capitolo precedente, il metodo della spesa storica prevede il trasferimento, a favore dell’Ente locale, di una somma pari alla spesa che ha deciso di sostenere, indipendentemente dalle entrate proprie, all’epoca praticamente assenti, e tale da garantire il pareggio di bilancio; il ricorso a tale criterio rese dunque vano ogni tentativo del Governo centrale di esercitare il pieno controllo sulla spesa pubblica locale e favorì, per contro, la “deresponsabilizzazione” della classe politica locale: data l’incapacità di far fronte all’incremento della spesa, ormai fuori controllo, gli Enti locali ricorsero sempre più all’indebitamento per evitare il deficit di bilancio, consci del fatto che lo Stato sarebbe intervenuto ex – post a ripianare il debito.

Nella seconda metà degli anni Settanta e successivamente nel corso degli anni Ottanta, si tentò di riportare sotto controllo la situazione, divenuta ormai insostenibile: a tal proposito, è opportuno citare i due Decreti Legge Stammati, dal nome del Ministro del Tesoro proponente, approvati e convertiti in legge nel biennio 1977/1978 e il Decreto legge 28 febbraio 1981, n. 38, “Provvedimenti finanziari per gli enti locali per l’anno

1981”, convertito nella legge 23 aprile 1981, n. 153.

Con i primi vennero introdotte forme di controllo della spesa degli Enti locali e fu disposta la conversione delle esposizioni bancarie a breve termine di Comuni e Province, in mutui decennali, con conseguente accollo da parte del Governo centrale dei debiti pregressi e totale finanziamento della spesa scoperta (Serrentino, 2009); con il secondo decreto si avviò, invece, un lento processo di incremento dell’autonomia impositiva locale attraverso l’istituzione e l’aumento di svariate tasse, addizionali e sovraimposte. Tuttavia, gli interventi che si susseguirono nel corso degli anni Ottanta, consentirono esclusivamente il temporaneo tamponamento della disastrosa situazione in cui versava la finanza locale, bisognosa, piuttosto, di un radicale ripensamento.

47

Nel documento Il Fondo di Solidarietà Comunale (pagine 52-57)