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L’annientamento della politica

Nei precedenti paragrafi, abbiamo potuto osservare e descrivere parzialmente quella che era la teoria arendtiana di politica, i presupposti e le condizioni che questa doveva possedere per poter essere davvero intesa come politica, e nella fattispecie ci siamo soffermati su come in una tale dimensione di autenticità, l’uomo non solo si realizzava, ma addirittura andava a definire la sua esistenza, la sua natura. Abbiamo anche riflettuto su come tutto questo sia stato scaturito da una serie di considerazioni che Hannah Arendt fa in quanto ebrea, che oltre a determinare molteplici aspetti della sua vita a livello biografico, la inducono a portare avanti riflessioni, che avevano come tema il significato della sua ebraicità stessa. Secondo ciò che abbiamo avuto la possibilità di osservare, possiamo ipotizzare che sia stata la sua ebraicità a spingerla a determinare un’idea di politica, così tanto incentrata sull’importanza della differenza tra individui, una differenza proprio nell’attività politica deve emergere. Il suo essere vissuta in un mondo che non accettava la presenza sua e di tutte le altre persone che condividevano con lei le radici ebraiche, l’ha indotta a riflettere e formulare una teoria politica in cui ogni individuo, nella sua singolarità è necessario, negando totalmente qualsiasi posizione fondata sulla bellezza dell’uguaglianza, conformismo o omogeneità sociale. Divengono chiari, quindi, i motivi che hanno spinto la filosofa a realizzare un’opera monumentale quale Le origini del Totalitarismo, che sembra essere portatrice di tutti i concetti cardine del suo pensiero, della sua teoria politica, ma che sembra fare anche da raccoglitore massimo di quello che è sempre stato il suo atteggiamento preminente nel conseguire le sue riflessioni. La prima edizione di questa opera, infatti, risale al 1951, quando la Seconda Guerra mondiale è appena conclusa e il mondo si trova in piena guerra fredda; diventa facilmente riscontrabile di nuovo il tipico atteggiamento arendtiano di riflessione e pensiero, sempre scaturito da un’attenta osservazione di quello che nel mondo reale

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stava succedendo; da un’intensa volontà di voler comprendere gli avvenimenti e le dinamiche che si susseguivano intorno a lei- senza considerare che il Totalitarismo era stato, forse, il fatto storico che più aveva toccato la vita della nostra autrice171. Non di meno, avremmo la possibilità

di chiarire i motivi di tanto lavoro per questa opera, in quanto il suo oggetto, il totalitarismo appunto, risulterà avere al suo interno le negazioni e i perfetti opposti di tutte quelle caratteristiche che la Arendt aveva considerato necessarie per la definizione di natura umana e di politica.

L’originalità dell’opera consiste, appunto, nell’analisi delle cause e del funzionamento dei regimi totalitari nazismo e stalinismo che, secondo l’autrice, erano qualcosa di molto diverso da altre forme di dittatura, come il fascismo, o regimi autoritari sino ad allora conosciuti. Il contributo del lavoro della Arendt è dunque importante sia per profilo storico-politico- in quanto viene indagata la storia europea nel periodo compreso tra gli ultimi vent’anni dell’Ottocento fino alla Seconda guerra mondiale- sia per il profilo filosofico-politico- in quanto con questa opera introduce un nuovo modo di considerare e riflettere sul regime totalitario, che diverrà criterio di riflessione per moltissimi studiosi dopo di lei. La tesi di fondo dell’opera è che il concetto di stato totalitario sia una novità senza precedenti nella storia, esplicatosi unicamente nella Germania nazista di Hitler e nell’Unione Sovietica di Stalin; e che, nonostante le diverse impostazioni ideologiche, dietro i due sistemi c’erano punti di contatto che facevano assimilare entrambi i regimi come totalitari. Possiamo, comunque affermare fin da subito, che sebbene completamente diversi, entrambi questi regimi possono essere considerati il frutto di alcuni mali che la Arendt ha sempre individuato all’interno della democrazia moderna: la costante minaccia alla libertà che deriva dalla riduzione della politica vera in favore di un’amministrazione da parte dei pochi, l’ipostatizzazione dello stato e la perdita di peso dello spazio politico pubblico inteso come luogo di interazione e del discorso tra cittadini e eguali, nello stesso modo descritto nel paragrafo precedente. È questa degenerazione della politica che equivale ad una depoliticizzazione del mondo contemporaneo che ha contribuito all’emergere del totalitarismo.172Una dei fattori tipici dell’età moderna, che ha reso possibile la venuta di tali

171 “Con la disfatta della Germania si era conclusa una parte di tale vicenda. Quello sembrava il primo momento

adatto per meditare sugli avvenimenti contemporanei con lo sguardo retrospettivo dello storico e lo zelo analitico del politologo, la prima occasione per cercare di narrare e comprendere quanto era avvenuto, non ancora sine ira et studio, ancora con angoscia e dolore e, quindi, con una tendenza alla deplorazione, ma non più con un senso di indignazione e orrore impotente. Era comunque il primo momento in cui si poteva articolare ed elaborare gli interrogativi con cui la mia generazione era stata costretta a vivere per la parte migliore della sua vita adulta: che cosa succedeva? Perché succedeva? Come era potuto succedere?” da H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Prefazione, cit., pp. LV-LVI

172 “uno dei maggiori meriti della Arendt è invece proprio aver chiarito che il Totalitarismo non è un’anomalia,

un accidente storico, ma è intrinsecamente connaturato allo sviluppo della società moderna, è una delle varianti del suo sviluppo e può scaturire sia dalla crisi della democrazia parlamentare come nel caso della

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regimi, per esempio, è la presenza di masse indifferenti a ogni aspetto politico e sociale su cui la Arendt si concentra molto:

il termine «massa» si riferisce soltanto a gruppi che per l’entita numerica o indifferenza verso gli affari pubblici o per entrambe le ragioni, non possono inserirsi in un’organizzazione basata sulla comunanza di interessi, in un partito politico, in un’amministrazione locale, in un’associazione professionale o in un sindacato […]. I movimenti totalitari europei, quelli fascisti come quelli comunisti dopo il 1930, reclutarono i loro membri da queste masse di gente manifestamente indifferente, che tutti gli altri partiti avevano lasciato da parte perché troppo apatica o troppo stupida. Il risultato fu che in maggioranza essi furono composti da persone che non erano mai apparse prima sulla scena politica.173

Ciò fu permesso poiché la massa aveva le caratteristiche giuste per poter essere plasmata nel modo che si preferiva:

la verità è che le masse si formavano dai frammenti di una società atomatizzata, in cui la struttura competitiva e la concomitante solitudine dell’individuo erano state tenute a freno soltanto dall’appartenenza a una classe. La principale caratteristica dell’uomo di massa non era la brutalità o la rozzezza, ma l’isolamento e la mancanza di normali relazioni sociali. Provenendo dalla società classista dello stato nazionale, le cui crepe erano state saldate con il sentimento nazionalistico, era naturale che queste masse, nell’imbarazzo della nuova esperienza, tendessero al nazionalismo estremamente violento, a cui i loro capi cedettero contro i propri istinti e proposti per ragioni puramente demagogiche.174

Per quanto riguarda la struttura dell’opera, essa è divisa in tre parti. Nelle prime due si affrontano le premesse dello stato totalitario, in cui si evidenzia come crudeltà e razzismo erano patrimonio dell’Europa già prima dell’avvento del nazismo o dello stalinismo, poiché l’antisemitismo e l’imperialismo erano ben presenti nella cultura dell’epoca. Per quanto riguarda la nascita del totalitarismo nazista, la Arendt ripercorre la condizione degli ebrei dal Medioevo sino alla fine dell’Ottocento, notando come l’antigiudaismo tradizionale fosse stato sostituito da un nuovo razzismo antisemita. Anche l’imperialismo, che aspirava alla dominazione economica e militare delle terre extraeuropee, si nutriva di una forte dose di razzismo biologico. La propugnata superiorità dell’europeo e la sua missione civilizzatrice si accompagnarono infatti alla sperimentazione di vere e proprie tecniche di sterminio. Senza contare che la mentalità propria caratterizzante dell’epoca dell’imperialismo, sia, secondo questo studio, precursora dell’atteggiamento mentale totalitario: le tendenze imperialistiche

Germania weimariana sia dalle contraddizioni di una rivoluzione comunista come nel caso dell’Unione Sovietica” da A. Martinelli, Introduzione in Le origini del totalitarismo, cit. , p.XXIV

173 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p.431 174 Ibidem, p. 439

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della borghesia e lo sviluppo dei movimenti pan-germanici e pan-slavi che accompagnarono l’imperialismo continentale europeo di Prussia e Russia, e che influenzarono profondamente l’ideologia nazista e bolscevica, sono anch’esse considerate influenze importanti nel processo di genesi del totalitarismo, accanto a altre cause come la disintegrazione dei due grandi imperi, russo e austroungarico, a seguito della prima guerra mondiale e la esplosione delle rivendicazioni nazionalistiche delle minoranze etniche. Nell’ultima parte, invece, si concentra più sulla descrizione di che cosa sia il totalitarismo stesso, definito come il sistema di uno stato che mira ad ottenere il dominio permanente di ogni singolo individuo in qualsiasi aspetto della vita, reso possibile dalla società, ormai di massa a tutti gli effetti. Secondo la Arendt sia il nazismo che lo stalinismo nascono organizzando e mobilitando masse di individui ben provate dalle situazioni economiche, sociali e politiche che si stavano susseguendo: era passato poco tempo dalla fine della I Guerra Mondiale, e il senso di solitudine, scoramento, lacerazione dei legami politici e dei valori tradizionali prevalgono. I regimi totalitari riescono ad offrire proposte di soluzione al malessere generale, riescono ad offrire possibili risposte a suppliche che esprimono il bisogno di appartenenza delle masse, che vengono quindi sedotte.

La tesi centrale che la Arendt presenta in questo libro è che il totalitarismo è una forma radicalmente nuova e diversa dalle altre forme politiche storicamente conosciute di regime autoritario o di potere personale come il dispotismo, la tirannide o la dittatura. Una delle novità proprie di questo tipo di regime è il fatto che esso ha distrutto tutte le tradizioni sociali, politiche e giuridiche del paese in cui si è insediato, creando istituzioni del tutto nuove. Ha portato alle sue estreme conseguenze le caratteristiche della società di massa, dove ogni individuo arriva a perdere il proprio valore di singolo, ma diventa elemento interscambiabile. Ma c’è dell’altro: il potere, oltre a pretendere la totale subordinazione politica di ogni singolo individuo, arriva a invaderne del tutto anche la sfera privata, trasferendo per questo fine il centro di dominio nelle mani della polizia, anziché nell’esercito. L’essenza di questa nuova forma di governo, infatti è il terrore e il suo principio movente è l’ideologia, che l’autrice definisce come «ismi che per la soddisfazione dei loro aderenti possono spiegare ogni cosa e ogni avvenimento facendoli derivare da una singola premessa»175. Come dice Martinelli nella introduzione all’edizione

citata dell’opera

Le ideologie non sono di per sé totalitarie ma contengono elementi totalitari sia per la oro pretesa di spiegazione globale, sia per la loro tendenza a emanciparsi dall’sperienza e dalla realtà in virtù della logica inerente alla loro idea, sforzandosi di attribuire sempre un significato segreto

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a ogni avvenimento pubblico e un intento cospirativo a ogni atto politico, fino a mutare la realtà secondo i loro presupposti.176

L’ideologia pretende, infatti, di spiegare il corso della storia, di conoscere passato, presente e futuro, sulla base di quelli che sono i criteri contenuti nell’ideologia stessa, staccandosi quindi da ogni esperienza e realtà fattuale. L’indottrinamento delle masse, a tal fine, aveva lo scopo di staccare il pensiero dalla realtà, costruendo un mondo fittizio, quello del regime, coerente solo con i principi e criteri dell’ideologia. Nonostante non sia mai dichiarato come regime sovversivo o senza legge, in realtà si è sempre opposto all’obbedienza della legge positiva; questo perché ha sviluppato fin da subito la pretesa di costruire una forma superiore di legittimità, rispetto alla legge, che diventa quindi superflua, in virtù di una concezione di legittimazione che non sarebbe stato necessario tradurre in principi di giusto o ingiusto per il comportamento individuale.

La politica totalitaria non sostituisce un corpo di leggi con un altro, non istaura un proprio consenso iuris, non crea con una rivoluzione una nuova forma di legalità. La sua non curanza per tutte le leggi positive, perfino per le proprie, implica la convinzione di poter fare a meno di qualsiasi consenso iuris […] perché promette di liberare l’adempimento della legge dall’azione alla volontà dell’uomo177

Il risultato, in realtà, è che al posto della legge, al trono che questa aveva sempre occupato, si siede il terrore, elemento predominante anche rispetto alla propaganda, che occupa un posto complementare, ma fondamentale per un vero e proprio indottrinamento necessario perché il regime si attui.

Il fatto che le necessità della propaganda sono sempre dettate dal mondo esterno e i movimenti di per sé non propagano, ma indottrinano. Così l’indottrinamento, inevitabilmente accoppiato al terrore, aumenta con la forza dei movimenti o con l’isolamento e la sicurezza del regime dall’interferenza esterna. La propaganda è in verità parte integrante della «guerra psicologica». Ma il terrore è qualcosa di più. Il terrore continua ad essere usato dai regimi totalitari anche quando ha già conseguito i suoi fini psicologici: l’aspetto veramente spaventoso della faccenda è che esso regna su una popolazione completamente soggiogata. Dove è portato alla perfezione, come nei campi di concentramento, la propaganda cessa del tutto: essa, infatti, viene espressamente proibita dalla Germania nazista. In altre parole, la propaganda è soltanto uno strumento, anche se forse il più importante, nei rapporti con il mondo esterno. Il terrore, invece, è la vera essenza del regime totalitario.178

L’ideologia come principio fondante di ogni azione e il terrore come strumento permanente di attuazione di governo costituiscono gli elementi caratterizzanti del totalitarismo. A livello

176 Ibidem, pp. XV-XVI

177 Ibidem, p. 633 178 Ibidem, pp.474-475

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organizzativo questi due sono messi in atto grazie al partito unico e alla polizia segreta, che sono dominati e controllati dal capo supremo, posto a vertice dell’ideologia e all’apparato del terrore. Il partito unico era votato alla propaganda incessante, la polizia segreta era lo strumento principe del controllo sociale, tendeva a trasformare l’intera società in un sistema di spionaggio permanente e onnipresente, portando alla considerazione reciproca di ogni cittadino come possibile nemico, con il conseguente isolamento di ogni individuo rispetto agli altri.

L’atomizzazione della società sovietica venne ottenuta con l’abile uso di ripetute epurazioni, che invariabilmente precedevano l’effettiva liquidazione di un gruppo […]. La conseguenza dell’ingegnoso criterio della «colpa per associazione» era che, appena un uomo veniva accusato, i suoi vecchi amici si trasformavano di colpe nei suoi nemici più accaniti. Per salvare la propria pelle essi offrivano volontariamente delle informazioni e si affrettavano a presentare delle denunce per avvalorare le proprie indiziare contro di lui che erano inconsistenti […]. In ultima analisi, fu con l’impiego radicale di questi metodi polizieschi che il regime staliniano riuscì a instaurare una società atomizzata quale non si era mai vista prima, e a creare intorno a ciascun individuo un’impotente solitudine quale neppure una catastrofe da sola avrebbe potuto creare.179

In un tale sistema di spionaggio onnipresente, ogni persona arrivava a poter essere un agente di polizia o un criminale, poiché tutti si sentivano sottoposti a costante sorveglianza da parte di tutti. Alla polizia segreta era possibile avere un ruolo così determinante proprio perché si era verificato un mutamento nel concetto di crimine e criminale.

In un tale contesto, comunque, la volontà del capo è la legge del partito che insieme all’ideologia e il terrore rendono possibile questa forma di governo. L’isolamento nella sfera politica e l’estraniazione nella sfera dei rapporti sociali, dunque, è la sola possibile condizione degli individui.

«Fedeltà totale» che ne è la base psicologica. Ci si può aspettare una simile «fedeltà» soltanto da un essere umano completamente isolato che, senza alcun vincolo sociale con i familiari, gli amici, i compagni e i conoscenti, senta di avere un posto nel mondo esclusivamente mercé l’appartenenza al movimento, al partito. La «fedeltà totale» è possibile soltanto quando è svuotata di ogni contenuto concreto, da cui potrebbero naturalmente derivare mutamenti d’opinione180.

Un regime che non lascia spazio alcuno di libertà, che va a comprendere e inglobare nel suo sistema ogni individuo si trovi sotto questo governo.181 Per realizzare tutto ciò viene utilizzato

179 Ibidem, p.447

180 Ibidem, p.448

181 “ogni movimento totalitario sostiene che fuori di esso tutto «si estingue», un’affermazione che si avvera

drasticamente nelle condizioni omicide del suo regime, ma che già prima della conquista del potere appare plausibile alle masse che nel suo mondo fittizio cercano rifugio dalla disintegrazione e dal disorientamento.” Da

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come mezzo anche l’impostazione fortemente burocratica: anche se il movimento totalitario è per sua natura antiburocratico, il totalitarismo, una volta giunto al potere, dà vita a un apparato burocratico imponente e onnicomprensivo, infatti quando arriva a conquistare il potere estende intensamente la sfera dell’intervento potestativo del partito che arriva a comprendere tutto lo stato, distruggendo ogni forma e spazio di libertà sia privata che pubblica. Un sistema burocratico che estremizza l’accentramento del potere nelle mani del solo singolo capo, che escluso per la piccola cerchia intorno a lui, si trova ad essere l’unico responsabile, l’unico che prende decisioni e che attua il comando su tutto lo stato.182 Da qui un ulteriore motivo per il

necessario isolamento e la perfetta apatia e inconsapevolezza di ogni individuo nello stato, che non è più partecipe a nessun aspetto della vita pubblica, e dunque non più responsabile, ma neppure colpevole183.

La totale responsabilità del capo per tutto quanto avviene nel movimento e la completa identificazione con ogni suo funzionario fanno sì che nessuno si trova mai ad essere responsabile per le proprie azioni o possa spiegare la ragione. Poiché ha monopolizzato il diritto e la possibilità della spiegazione, il capo appare al mondo esterno come l’unica persona che sa quello che sta facendo, cioè l’unico esponente del movimento con cui si possa ancora parlare in termini non totalitari e che, se rimproverato o contraddetto, non può dire: non chiedetelo a me, chiedetelo al capo!184

Questo aspetto sarà importante anche nel momento in cui, una volta caduto il regime nazista, si inizierà a domandarsi come sia stato possibile la realizzazione di un tale sistema governativo, come siano state possibile certe atrocità, ma soprattutto come una sola persona possa essere riuscita a costruire tutto questo. Diventerà fondamentale nel momento in cui si inizierà a chiedersi dove sta la colpa.

Uno degli aspetti determinanti, però, che manca all’appello tra gli elementi descritti, e che invece è stata «la più efficace invenzione della propaganda nazista», è, certamente, la «cospirazione ebraica mondiale»185. Come sappiamo e abbiamo anche potuto accennare, i

182 “La dittatura di Hitler e quella di Stalin indicano chiaramente che l’isolamento e l’atomizzazione, che

forniscono al regime la base di massa, si spingono fino al vertice e che anche nella cerchia più intima il capo non assume mai la figura di primus inter pares” da ibidem, p.558

183 A questo argomento, la Arendt dedica un passaggio anche nel suo saggio Sulla violenza, dove evidenzia

come il dominio di Nessuno, risulta essere, di fatto, il più brutale: “oggi dovremmo aggiungere la più recente e forse più formidabile forma di un simile dominio: la burocrazia o il dominio di un intricato sistema di uffici, in cui nessuno, né uno, né i migliori, né i pochi, né i molti, può essere ritenuto responsabile e che potrebbe giustamente essere definito come il dominio di Nessuno ( se d’accordo con il pensiero tradizionale, definiamo la tirannide come il governo che non è tenuto a render conto di se stesso, il dominio da parte di Nessuno è chiaramente il più tirannico di tutti, dato che non è rimasto proprio nessuno che potrebbe essere chiamato a rispondere di quello che sta facendo. È questo stato di cose che rende impossibile la localizzazione della

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