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3.2 La traduzione di antroponimi e toponimi

3.2.1 Gli antroponimi

Esistono tre grandi tipologie di antroponimi: i nomi composti dal nome e dal patronimico, i nomi composti soltanto dal patronimico e quelli composti soltanto da un nome.

Al primo caso appartiene, ad esempio, l'antroponimo Giovanni Battista Lulli, compositore fiorentino naturalizzato francese nel 1661 con il nome di Jean-Baptiste Lully: condividendo lingua di partenza e lingua di arrivo lo stesso referente, ogni volta che ci si riferisce a questo compositore, il nome deve essere tradotto.

Alla seconda categoria, invece, appartiene, ad esempio, Descartes, tradotto in italiano con Cartesio in quanto si tratta di un personaggio illustre appartenente a una cultura condivisa: tutte le volte che in un testo si farà riferimento a quel Descartes per cui esiste già una traduzione italiana, sarà la versione italiana che dovremo adoperare.

Del terzo gruppo fanno parte, invece, tutti i nomi propri di persona, generalmente derivati dal nome di un santo: il nome proprio in quanto tale non deve subire alcuna modifica; al contrario il nome del santo deve essere tradotto, in quanto ancora una volta

205 Michèle Fourment-Berni Canani, Le Statut des noms propres dans la traduction, in Rivista internazionale di tecnica della traduzione n.01 – 1995,

ci troviamo in presenza di una referenza condivisa nelle due lingue. Sempre a questo gruppo appartengono anche gli antroponimi di quei personaggi storici designati

unicamente da un nome, come re o papi: Charles Quint diventa così Carlo Quinto e Jean XIII Giovanni XXIII, e l'unicità del referente è garantita dal classificatore che segue il nome proprio e con il quale quest'ultimo forma un tutt'uno.

Tutto questo ci conduce alla conclusione di Michèle Fourment-Berni Canani:

Le nom propre d'un individu se traduit si cet individu a été re-nommé et si la nouvelle nomination l'a amené à être un référent unique ou privilégié dans la deuxième langue ou culture206.

Se oggi la traduzione di nomi propri è definita da criteri abbastanza rigidi e si cerca di evitare qualsiasi forma di rinominazione, nella storia la situazione non è sempre stata così, tanto che si può parlare di una vera e propria evoluzione della strategia traduttiva da adottare in questo ambito: nel Medioevo e nel Rinascimento la tendenza è quella di adattare la grafia e la pronuncia del nome proprio alla lingua di arrivo, motivo per cui in francese ancor oggi troviamo Boccace, l'Arioste o le Tasse; dopo un periodo di

incertezze, a partire dal diciannovesimo secolo si assiste alla graduale scomparsa di questa tendenza, a tal punto che la presenza o meno del nome tradotto è utile per

scoprire quando una determinata personalità storica, artistica o letteraria è stata scoperta nel paese in questione: il fatto che Boccaccio sia conosciuto col nome di Boccace dimostra, così, che l'opera dello scrittore è penetrata in Francia all'epoca in cui i nomi propri venivano ancora tradotti; viceversa, la presenza sui manuali di storia dell'arte francesi di Paolo Uccello o Piero della Francesca è la prova che essi sono stati scoperti oltralpe quando la tendenza all'adattamento si era ormai esaurita.

Ci sono state poi vicende storiche che hanno pesantemente influito su questa evoluzione, come l'avvento, in Italia, della dittatura fascista a partire dal 1922: è noto a tutti il processo di italianizzazione perseguito dal regime, che portò alla traduzione di moltissimi nomi propri stranieri, traduzione che ha resistito, nella toponomastica, fino agli Sessanta del Novecento, quando ancora si trovavano strade intitolate a Guglielmo Shakespeare o a Emilio Zola.

In linea con la tendenza attuale, anche nella traduzione del romanzo Les trois vies de Babe Ozouf sono stati mantenuti i nomi originali: il romanzo è, infatti, ambientato in Francia, e trovare personaggi con nomi italiani sarebbe apparso strano per il lettore contemporaneo.

In un paio di casi, tuttavia, ci si è allontanati da quella che è la regola generale riguardante la resa degli antroponimi nella lingua di arrivo, ossia decidendo di tradurre in italiano il cognome scelto dalle suore per la piccola Catherine: se è vero, infatti, che il romanzo è ambientato in Francia e che, perciò, può sembrare insolito che una delle protagoniste abbia un cognome italiano, è anche vero, dall'altro lato, che non si tratta di un cognome qualsiasi, bensì di un cognome che potremmo definire parlante. Non è infatti un caso che per Catherine, cresciuta da una congregazione religiosa in uno stabilimento dove vengono realizzati ceri per le chiese, venga scelto dalle suore il patronomico «des Cires207», corrispondente all'italiano «dei Ceri»: si tratta di un nome che riassume l'esistenza della piccola e che allo stesso tempo condiziona quello che sarà il futuro della protagonista, almeno secondo quanto pensano le suore:

Avec un nom pareil, certains états périlleux, courtisane, femme de lettres ou comédienne, seront d'emblée interdits à la petite208.

Le speranze riposte dalle religiose in questo nome e il valore che, quindi, esso assume sarebbero passati inosservati se si fosse deciso di mantenere l'antroponimo originale, dal momento che il lettore ignaro della lingua francese non avrebbe potuto coglierne il senso: se, infatti, da un lato la trascrizione garantisce il rispetto delle connotazioni nazionali, dall'altro essa tende talvolta a perdere la carica semantica originaria209.

Lo stesso criterio è stato applicato pure con «Soeur des Saints-Innocents210», antroponimo che in italiano corrisponde a «Suor dei Santi Innocenti»: nel tradurre ci si trova, infatti, anche in questo caso, a dover scegliere se privilegiare la verosimiglianza, lasciando quindi il nome proprio in francese visto che la vicenda si svolge in Francia, o

207 Didier Decoin, Les trois vies de Babe Ozouf, cit., p.142 208 Ibid.

invece la comprensione da parte dell'ipotetico lettore. Il sostantivo maschile plurale innocenti viene usato per designare i bambini, alludendo all'episodio biblico della strage degli innocenti: nel Vangelo secondo Matteo si racconta, infatti, del massacro dei

bambini di età inferiore ai due anni che Erode ordinò con lo scopo di liberarsi, così facendo, anche del Messia, e il 28 dicembre, giorno dei Santi Innocenti Martiri, vengono celebrate queste piccole vittime che col loro sangue resero testimonianza a Cristo.

Partendo dall'episodio biblico, per estensione, l'aggettivo innocente designa colui che non ha ancora sperimentato il male, e quindi ancora una volta il bambino: non a caso, l'età dell'innocenza è l'infanzia, e lo Spedale degl'Innocenti è quell'edificio costruito a Firenze, in piazza della Santissima Annunziata, con lo scopo di accogliere i bambini abbandonati.

Dato il significato biblico della parola «innocenti» e lo stretto legame tra i Santi Innocenti e i bambini, viene spontaneo chiedersi se sia un caso che il nome dell'unica suora che si mostra premurosa, attenta e più materna rispetto alle altre nei confronti di Catherine abbia questo particolare significato: è lei, infatti, che sta vicino alla

protagonista, che la consiglia, che passa molto tempo insieme alla bimba, che fa, per quello che le è possibile, le veci di una madre, prendendo la giovane Catherine sotto la sua ala protettrice.

Anche in questo caso, l'antroponimo della suora si avvicina molto a un nome parlante, ed è quindi sembrato doveroso tradurlo sia per ragioni di coerenza sia per consentire anche al lettore italiano quelle associazioni che esso permette al lettore francese.

Un caso a parte è rappresentato dalla traduzione dell'antroponimo quando esso corrisponde a un soprannome, «désignation caractéristique que l'on substitue au

véritable nom d'une personne211»: nella terza parte del romanzo, sin dal primo capitolo, compare la figura di «un homme qu'elle [Carole] appelle le Recruteur faute de connaître son vrai nom212». Di questo personaggio non verrà mai detto come si chiama e per tutto il romanzo sarà sempre e soltanto «le Recruteur», tradotto in italiano con «il

Reclutatore». Del nome proprio è stata, quindi, mantenuta la lettera maiuscola, ma diversamente da quanto accade con quest'ultimo è stato ritenuto doveroso ricorrere a

una traduzione, in quanto tale nomignolo svolge, al pari di qualsiasi altro soprannome, una funzione descrittiva e caratterizzante213, informando il lettore circa l'attività

dell'uomo misterioso: se ci si fosse limitati alla semplice trascrizione, questa connotazione semantica sarebbe andata completamente perduta.

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