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"Les trois vies de Babe Ozouf" di D. Decoin. Traduzione della seconda parte.

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Academic year: 2021

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Indice generale

Introduzione...2

1 Didier Decoin 1.1 La vita...6

1.2 Il padre Henri Decoin...8

1.3 La scrittura e il cinema...11

1.3.1 L'ambiance e il montage...11

1.3.2 Il flashback, il fatto di cronaca e il passato...13

1.3.3 L'haleine...16

2 Les trois vies de Babe Ozouf 2.1 L'opera...18

2.2 Le protagoniste...21

2.3 La Hague...39

2.4 La componente temporale...47

2.5 La componente sensoriale: il tatto e l'olfatto...54

3 La traduzione 3.1 Cenni introduttivi...59

3.1.1 La trasposizione: la traduzione di on...62

3.1.2 L'equivalenza: alcuni esempi...64

3.1.3 La parafrasi...66

3.2 La traduzione di antroponimi e toponimi...69

3.2.1 Gli antroponimi...69

3.2.2 I toponimi...73

3.3 La traduzione dei titoli dei film...75

3.4 Una discrepanza temporale nel testo di Decoin...78

3.5 Il plurilinguismo all'interno del romanzo...79

Conclusioni...82

Traduzione...86

Bibliografia e sitografia relative alla traduzione...87

Bibliografia delle opere consultate...89

Sitografia delle pagine web consultate...90

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Introduzione

Prima di cimentarmi in questa esperienza traduttiva, mi erano state sottoposte traduzioni dal francese all'italiano di singoli brani isolati o di pagine di testi narrativi e di saggistica: tradurre metà romanzo, composto a sua volta da tre parti da alcuni considerate come tre storie indipendenti, è stata perciò una novità, nonché un tipo di lavoro cui mi sono avvicinata lentamente, quasi con discrezione, con l'unico obiettivo di non tradire il testo di partenza divenendo uno di quei traduttori-traditori di cui parla il poeta e scrittore Du Bellay nella sua Défense et illustration de la langue française (1549):

Mais que dirai-je d’aucuns, vraiment mieux dignes d’être appelés traditeurs, que traducteurs ? vu qu’ils trahissent ceux qu’ils entreprennent exposer, les frustrant de leur gloire, et par même moyen séduisent les lecteurs ignorants, leur montrant le blanc pour le noir […]1.

Dopo una prima lettura del testo, cui mi sono appassionata per il grande spessore e la sconcertante modernità delle tre protagoniste, ho iniziato a tradurre la storia di Carole: sebbene il mio compito fosse quello di occuparmi della seconda metà del romanzo, comprendente una parte della vicenda di Catherine e l'intera sezione dedicata a Carole, ho deciso di cominciare da quest'ultima in quanto si trattava di una storia che avrei tradotto integralmente, partendo dall'inizio e arrivando sino alla fine, diversamente

1 Joachim Du Bellay, Défense et illustration de la langue française, <https://books.google.it/books? id=KbPTAAAAMAAJ&printsec=frontcover&dq=d

%C3%A9fense+et+illustration+de+la+langue+fran

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da quello che avrei dovuto fare con la storia di Catherine, il cui inizio era nelle mani della mia collega.

La pratica della traduzione mi ha lentamente portato ad avere consapevolezza del testo e del ruolo rivestito dalle parole, nessuna delle quali può e deve essere

sottovalutata: se prima di cimentarmi in questa nuova avventura commettevo l'errore di dare più importanza alla resa dei contenuti, sottovalutando invece tutti quegli altri elementi che fanno di un testo un testo letterario, la traduzione di Les trois vies de Babe Ozouf mi ha reso più consapevole, facendomi capire che tradurre non significa soltanto trasferire il contenuto semantico da un testo di partenza a un testo di arrivo, ma anche cercare di riprodurne le particolarità stilistiche, i suoni, le atmosfere, le immagini. Congiunzioni, avverbi, ordine degli elementi all'interno della frase, ripetizioni di suoni, punteggiatura, giochi di parole si sono così fatti largo nel corso della traduzione, prendendosi il posto che spettava loro di diritto e che una formazione forse troppo teorica e accademica non mi aveva permesso di vedere.

Una volta scelta l'impronta da dare alla mia protagonista e alla sua storia, fissando la traduzione di alcune parole-chiave come landa (da lande), alito (da haleine), falò

(traduzione dei termini francesi bûcher e feu), tradurre la parte di Carole non si è rivelato estremamente complesso, anzi, è stato come dare una voce italiana a un personaggio altrimenti muto per un lettore ignaro della lingua francese: Internet è stato un prezioso alleato nel corso di tutta la traduzione, in particolare nella resa dei lessici specialistici (soprattutto del mondo militare e dell'aeronautica) e nella ricerca dei vari film citati da Decoin nella terza parte del romanzo.

Più problematico per me è risultato, invece, tradurre la vicenda di Catherine, non a causa di particolari complessità linguistiche, ma perché ho dovuto portare avanti una traduzione iniziata da altri, cosa che ha limitato talvolta la mia libertà, obbligandomi ad accettare le scelte effettuate dalla mia collega: tuttavia, la traduzione è come un eterno work in process dove niente è fissato una volta per tutte e dove c'è sempre spazio per dubbi e soluzioni alternative, come ha ben dimostrato la traduzione di alcuni

antroponimi presenti nel testo in questione. Se infatti mi sono dovuta adeguare alla decisione della mia collega di tradurre il cognome della piccola protagonista, questo non mi ha impedito poi di mostrare qualche perplessità in relazione alla sua scelta di lasciare intradotto il nome, altrettanto parlante, della suora: stimolate da queste titubanze,

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abbiamo riflettuto assieme al nostro relatore, giungendo a quella che ci è parsa la soluzione più coerente ed efficace.

Fondamentale è stata poi la rilettura ad alta voce delle traduzioni da me effettuate, che mi ha permesso, oltre che di rendermi conto di ripetizioni di suoni e parole passate inosservate nel corso del lavoro traduttivo, di confermare alcune mie scelte o di metterle nuovamente in discussione, cercando rese migliori.

Una volta terminata la traduzione, mi sono concentrata sul commento: essendo Decoin un autore contemporaneo e tutt'ora vivente, ho dovuto fare i conti con una bibliografia pressoché inesistente sul suo conto, cosa che mi portato a cercare fonti alternative, quali interviste rilasciate a quotidiani o radiofoniche. Ascoltare la voce dello scrittore del romanzo rispondere a domande riguardanti non soltanto la sua carriera, ma anche la sua vita privata mi ha permesso di sentirlo più vicino, più attuale, e mi ha spronato a scrivere un elaborato finale che tentasse di rendergli più giustizia possibile.

Il risultato di questo attento lavoro di ricerca e analisi è stato un commento

suddiviso in tre grandi parti, la prima riguardante l'autore, la seconda l'opera e la terza la traduzione.

Essendo Didier Decoin il figlio del grande regista Henri Decoin, raccontare

semplicemente la vita dell'autore non ne esauriva l'intero universo, influenzato in buona parte dalla forte presenza paterna e da quel mondo cinematografico che essa,

inevitabilmente, trascina con sé: dopo aver riassunto la vita di Didier Decoin, divisa tra Parigi e La Hague, tra scrittura e sceneggiatura, tra successi professionali e grandi soddisfazioni familiari, è stato perciò doveroso da parte mia spendere qualche parola sul padre, uomo poliedrico dalle mille passioni e dal grande talento, il racconto della cui vita mi ha poi permesso di introdurre lo stretto rapporto che c'è, in Decoin figlio, tra scrittura e cinema, dal quale egli prende in prestito, non a caso, l'ambiance,

fondamentale nei suoi romanzi così come la scena lo è in un film, il montage, reso possibile dalle nuove tecnologie, e il flash-back, tecnica di cui il cinema si serve abbondantemente e che ricorre con una certa frequenza nelle opere di Decoin. Se l'importanza dell'ambientazione, del montaggio e dell'analessi rientrano nell'eredità cinematografica paterna, l'amore per i fatti di cronaca e l'attenzione al passato presenti nelle opere dello scrittore sono al contrario una diretta conseguenza della sua

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infine dedicato all'haleine, componente onnipresente nei testi di Decoin ed essenziale in Les trois vies de Babe Ozouf.

La protagonista del secondo blocco tematico è stata, invece, l'opera, trattata dapprima in maniera generale sia nei suoi contenuti che nella sua strutturazione, con particolare attenzione al titolo, emblematico per spiegare la concezione dell'intero romanzo; in un secondo momento ne sono state passate in rassegna le varie componenti, nello specifico quella femminile, quella temporale e quella sensoriale, legata soprattutto all'olfatto e al tatto. Fondamentale è poi, sia nel romanzo che nella vita dello scrittore, La Hague, dove, non a caso, si svolgono le avventure delle tre protagoniste: a essa è stato dedicato un intero capitolo dove, con l'ausilio di citazioni estratte direttamente dal testo originale, ho cercato di esaminare la regione normanna in tutti i suoi aspetti, descrivendone la vitalità, la forza, l'influenza che essa ha su Babe, Catherine e Carole, i suoni, gli odori e le immagini sublimi che spaventano e attraggono al tempo stesso.

L'argomento della terza parte è stato, invece, la traduzione del testo, trattato in un primo momento in maniera generica e analizzata, poi, più nel dettaglio, esaminando quelle che sono state le difficoltà e le particolarità traduttive da me incontrate: dopo aver fornito qualche esempio dei procedimenti traduttologici di trasposizione, equivalenza e parafrasi da me messi in atto nel corso della traduzione, sono passata a parlare della resa degli antroponimi, dei toponimi e dei titoli cinematografici: le discrepanze riscontrate nella citazione di quest'ultimi da parte di Decoin mi hanno poi fornito l'occasione per indicare altre incongruenze che ho notato durante l'analisi del romanzo, in particolare quella relativa all'età di Catherine e quella riguardante la traduzione in nota di un imperativo tedesco.

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1 Didier Decoin

1.1 La vita

“... une enfance de bonheur absolu parce que je rêvais2

Didier Decoin nasce a Boulogne-Billancourt il 13 marzo 1945. Sin dal suo primo affacciarsi al mondo, appare evidente come la vita di Didier sia fortemente influenzata dalla carriera cinematografica del padre, lo scrittore, regista e sceneggiatore francese Henri Decoin (1890-1969): la stessa città natale, Boulogne-Billancourt, sorge nelle immediate vicinanze di due studi cinematografici.

Il padre, uomo poliedrico dal passato importante e sfaccettato, educa il figlio all'insegna del suo amore per i libri e per il cinema: il piccolo Didier ha a sua completa disposizione la biblioteca di famiglia, cui può attingere liberamente senza il minimo divieto; trascorre le sue serate ad ascoltare le trame dei film girati dal padre, circondato da quei famosi personaggi del cinema che agli altri bambini è concesso solo vedere sul grande schermo; maneggia telecamere e si muove per gli studi di montaggio con quella stessa facilità con cui i suoi coetanei giocano a rincorrersi nel parco3.

Dopo aver studiato a Sainte-Croix de Neuilly ed essersi iscritto senza successo alla facoltà di giurisprudenza, Didier decide, spronato anche dal padre e da quell'educazione letteraria che questi gli ha impartito sin dalla più tenera età, di dedicarsi al mondo della scrittura: è infatti lo stesso Henri a far desistere il figlio dall'idea di seguire le sue orme, ben consapevole di quanto il cinema sia nel frattempo cambiato e delle difficoltà

2Charles Dantzig, Le secret professionnel des écrivains fils de cinéastes,

< https://www.franceculture.fr/emissions/secret-professionnel/le-secret-professionnel-des-ecrivains-fils-de-cineastes >, intervista registrata, data di consultazione 05/02/2018

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finanziarie che si trova a dover affrontare in quegli anni un regista.

Accantonato per il momento il sogno di una carriera nel mondo cinematografico, Didier si dedica al giornalismo, collaborando con testate giornalistiche quali France-Soir, Le Figaro, Les Nouvelles Littéraires e con la rete radiofonica Europe 1: nel 1977 partecipa inoltre alla creazione della rivista VSD.

Decoin, però, non si occupa soltanto di giornalismo: parallelamente all'attività di cronista, infatti, egli porta avanti anche un'altra sua grande passione, quella della scrittura narrativa. Risale al 1966 il suo primo romanzo Le procès à l'amour, seguito da una trentina di altre opere letterarie: è però nel 1977, con John l'enfer, che lo scrittore riceve il suo più importante riconoscimento, vincendo l'ambito Goncourt. Per Didier questo premio non significa soltanto veder riconosciuto il proprio talento di scrittore e passare sotto l'ala protettrice della casa editrice Éditions du Seuil, ma anche e

soprattutto il definitivo distacco dall'aura paterna, come egli stesso dichiara in

un'intervista: «Aucune question des journalistes ne portait sur mon père. Je m'étais fait un prénom4.».

Il 1977, però, rappresenta un anno fondamentale nella vita di Decoin anche per altre ragioni: è infatti nel mese di settembre che sposa la moglie Chantal, la quale a dicembre dà alla luce il primo dei loro tre figli, Benjamin. Benjamin si dedicherà alla fotografia, Benoît, ereditando dal padre l'amore per il mare e per il Cotentin, diventerà addetto al controllo della fabbricazione di navi, mentre l'ultimo nato, Julien, seguirà le orme paterne.

On ne sait pas quand on va écrire, comment, on ne sait pas si les gens vont acheter le livre; quand un jeune écrivain vient me trouver, je lui dis 'quel est votre métier'. Il faut avoir un vrai métier, un métier de boulanger, qui vous rapporte le pain5.

Didier Decoin ha fatto di questo pensiero la sua regola di vita: non abbandonando mai completamente la sua passione per la scrittura, sceglie di dedicarvisi nei ritagli di

4 Samuel Blumenfeld, Didier Decoin pour en finir avec son père,

< http://www.lemonde.fr/culture/article/2006/06/02/didier-decoin-pour-en-finir-avec-son-pere_779007_3246.html >, data di consultazione 05/02/2018

5 Patrick Cohen, Didier Decoin : "Il faut s'écorcher pour écrire, même une heure par jour"

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tempo, in quei rari momenti di tranquillità, mentre è al cinema e alla televisione che affida l'oneroso compito di mantenere la sua famiglia, scelta che gli permette di poter così conservare non soltanto una certa indipendenza economica, ma anche intellettuale: in questo modo, infatti, egli può concedersi il lusso di scegliere che cosa scrivere e quando farlo. Decidendo di non seguire più il vecchio consiglio paterno, inizia a lavorare come sceneggiatore per il cinema, collaborando con registi del calibro di Marcel Carné, Robert Enrico, Henri Verneuil; la sua fama, però, si diffonde ben presto anche in ambiente televisivo, dove si occupa di copioni e adattamenti per film e telefilm di grande successo quali Les Misérables, Le Comte de Monte-Cristo, Balzac e

Napoléon: nonostante alcune serie televisive cadute nell'oblio, i riconoscimenti non tardano ad arrivare anche in questo ambito, e nel 1999, quattro anni dopo la sua nomina a Segretario dell'Académie Goncourt, riceve il Sept [majuscule] d'or6 come migliore sceneggiatore per Le comte de Monte-Cristo.

Appassionato di mare e di barche sin dai tempi della sua collaborazione con la rivista Neptune Moteur, diventa membro dell'Académie de Marine e, dal 2007, presidente di Les Écrivains de Marine, un'associazione francese composta da venti scrittori avente lo scopo di favorire la diffusione e la tutela della cultura e dell'eredità del mare.

Maestro indiscusso della fiction francese, talento affermato nel mondo dell'editoria, Didier Decoin non smette di far parlare di sé: nel 2013 viene, infatti, eletto all'unanimità presidente del Festival International des Programmes Audiovisuels e quattro anni dopo, nel 2017, l'Express/BFMTV decide di conferirgli il Prix des Lecteurs per il suo ultimo libro Le bureau des jardins et des étangs, pubblicato lo stesso anno in cui il figlio più piccolo Julien, anch'egli scrittore, dà alle stampe il suo primo romanzo Soudain le large7.

1.2 Il padre Henri Decoin

La vita di Didier Decoin appare influenzata, sin dai suoi primi momenti, da quella del padre, il celebre Joseph-Henri Decoin, regista cinematografico francese dal talento indiscutibile.

6 Premio della televisione francese conferito a personaggi, lavori e programmi televisivi. 7 Jean-Claude Perrier, Decoin, père et fils, <http://www.lorientlitteraire.com/article_details.php?

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L'uomo nasce nel 1896 a Parigi, in una famiglia di umili origini: la madre è infatti donna delle pulizie, mentre il padre lavora come operaio. Come lo stesso Didier

dichiarerà ai microfoni radiofonici di Charles Dantzig, Henri è costretto ad abbandonare la scuola all'età di otto anni, motivo per cui, divenuto adulto e padre, ha poi educato i figli all'insegna del liberalismo e d'une enfance heureuse8, quella che lui, appunto, non ha mai avuto.

Dapprima assunto come raccoglitore di latte, l'uomo lavora poi come fattorino e apprendista presso un pellicciaio ebreo: il figlio, nel suo romanzo Henri ou Henry, le roman de mon père (2006), racconta che fu proprio dal suo datore di lavoro che il padre prese il grasso con cui si cosparse per attraversare, in pieno inverno, la Senna a nuoto9. Difficile dire se questo aneddoto corrisponda o meno a verità, trattandosi pur sempre di una biografia romanzata; ad ogni modo, esso ci introduce a un'importante svolta nella vita del regista francese, quella degli sport acquatici e, appunto, del nuoto: Joseph-Henri Decoin partecipa, infatti, ai Giochi Olimpici del 1908 come nuotatore e a quelli del 1912 come giocatore di pallamano.

Purtroppo, le circostanze storiche ben poco favorevoli bloccano la carriera sportiva dell'uomo: nel 1914 scoppia la Prima Guerra Mondiale, e Henri Decoin è chiamato alle armi, riuscendo anche qui a distinguersi per il suo eroismo sia nei combattimenti in trincea sia in quelli aerei10.

Una volta firmata la pace, l'uomo fa tesoro della sua precedente carriera agonistica: comincia a lavorare, infatti, come giornalista sportivo e a scrivere romanzi legati al mondo dello sport, come Le roi de la pédale (1925) e Quinze rounds (1930), il racconto di un combattimento di boxe visto con gli occhi di un pugile.

Nel 1927 Henri sposa l'attrice Blanche Montel, da cui avrà un figlio, Jacques: il matrimonio, però, non dura molti anni, e nel 1934 i due divorziano.

Agli anni Trenta risale anche la grande svolta cinematografica del campione olimpionico, dapprima nel mondo della sceneggiatura, poi in quello della regia: sceneggiatore molto apprezzato, il suo talento viene richiesto non soltanto da registi francesi come Jacques de Baroncelli, ma anche da realizzatori tedeschi intenzionati a girare film in doppia versione11. Con Mademoiselle ma mère (1937), Abus de

8 Charles Dantzig, Le secret professionnel des écrivains fils de cinéastes, cit. 9 Samuel Blumenfeld, Didier Decoin pour en finir avec son père, cit. 10 Ibid.

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confiance 12(1937), Retour à l'aube (1938) e Premier rendez-vous (1941) si afferma invece come regista: in questi film si avvale della preziosa collaborazione dell'attrice Danielle Darrieux, che all'epoca del loro primo incontro è una ragazzina poco più che diciassettenne13. Decoin, più vecchio di lei di 27 anni, se ne innamora perdutamente, e decide di sposarla subito, senza neppure aspettare che la giovane raggiunga la maggiore età: è il 1938 quando i due si lanciano nell'avventura americana della Universal.

Così il figlio descrive, nel romanzo dedicato al padre, il loro arrivo nella Grande Mela:

Il y eut donc un instant de flottement lorsque apparut, au lieu de l'ange suédois, un chérubin inattendu, pas pressé pour deux sous, qui avait l'apparence d'une jeune et mince fille française, une inconnue aux yeux candides, aux sourcils en cœur, adorable sous un béret qui lui allait à ravir, escortée par un grand gaillard heureux qui portait, coquettement perchée sur l'oreille, une improbable casquette de yachtman.

- Who's that babe?

- C'est Danielle Darrieux, bien sûr, dit le représentant de la French Line en glissant les doigts sous sa cravate et en l'agitant à la façon d'Oliver Hardy.

- Hello, New York! susurra Danielle. […] - Who's that guy with her?

- Henry Decoin, son mari. - How do you spell it?

- H-e-n-r-y, dit l'homme de la French Line14.

Purtroppo, però, i due coniugi non riescono a trovarsi a proprio agio in questa nuova realtà, e così, nel 1939 lasciano gli Stati Uniti per tornare nella loro amatissima Francia, dove, in piena Seconda Guerra Mondiale, girano la commedia Battement de cœur (1940), che sarà, assieme a Premier rendez-vous, il loro ultimo film da marito e moglie: Henri Decoin e Danielle Darrieux divorziano, infatti, nel settembre del 1941.

Come il figlio, anche il padre non si ferma mai, neppure durante l'occupazione della Francia da parte dei nazisti: nel corso della guerra è impegnato a scrivere varie

sceneggiature e a girare sei film, tutti caratterizzati dall'atmosfera opprimente del periodo storico in atto.

consultazione 26/02/2018

12 In Italia conosciuto col nome di L'intrusa.

13 Le roman de mon père, < https://www.lexpress.fr/culture/livre/henri-ou-henry-le-roman-de-mon-pere_811371.html>, data di consultazione 26/02/2008

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Dopo il 1945 la carriera cinematografica di Decoin decolla, e le soddisfazioni nella sfera pubblica vanno di pari passo con quelle della sfera privata: risposatosi, nel 1945 nasce il secondogenito Didier, e nel 1951 gira quello che può essere considerato uno dei suoi maggiori capolavori, la Verité sur Bébé Donge15, cui segue nel 1954 il poliziesco

Razzia sur la chnouf.

Negli anni che vanno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla morte del regista, avvenuta a seguito di un intervento chirurgico nel 1969, Henri Decoin gira un gran numero di film appartenenti ai più svariati generi.

1.3 La scrittura e il cinema

1.3.1 L'ambiance e il montage

“Mais continuez vous à vous amuser un peu de la même façon en écrivant des romans? Je m'amuse furieusement!16

Quando Didier Decoin nasce, il padre ha già all'attivo una quindicina di film, tra cui il famosissimo La vérité sur Bébé Donge; la casa del regista è frequentata da attori del calibro di Viviane Romance, Jean Gabin, Pierre Fresnay a tal punto che Didier Decoin dichiarerà in un'intervista «Je les voyais trop pour être bluffé17»; gli argomenti di conversazione più gettonati durante le cene sono i film paterni e non mancano spiegazioni sul montaggio e sulle inquadrature. Insomma, a casa Decoin si vive nel mondo del cinema sei mesi l'anno, come lo scrittore confessa in un'intervista rilasciata al quotidiano Le Monde18.

Crescendo, poi, Didier si avvicina in parte alle orme paterne, lavorando come sceneggiatore per il cinema e la televisione: questo continuo rapporto col mondo cinematografico non può non lasciare tracce nel modo di approcciarsi alla letteratura dello scrittore francese, che confessa di non saper scrivere in assenza di uno scenario19,

15 In italiano conosciuto con il titolo di La follia di Roberta Donge.

16 Charles Dantzig, Le secret professionnel des écrivains fils de cinéastes, cit. 17 Samuel Blumenfeld, Didier Decoin pour en finir avec son père, cit. 18 Ibid.

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di un ambiente in cui far muovere i suoi personaggi.

È infatti l'ambiance che egli prende in prestito dal mondo del cinema: così come quando da piccolo il padre lo portava negli studi cinematografici e lì altro non c'era se non la scena, da cui tutto poi scaturiva come per magia, allo stesso modo anche lui, quando decide di scrivere un romanzo, comincia col «fixer une atmosphère, un lieu, une ambiance20».

I luoghi dei suoi romanzi, che si trovino da una parte o dall'altra dell'oceano, che appartengano a un'epoca presente o a un mondo passato, che gli siano più o meno familiari, sono tutti finemente tratteggiati, descritti, addirittura personificati: si tratta di ambienti che impregnano fortemente le vicende narrate, a tal punto che il lettore non può fare a meno di avere l'impressione che esse non avrebbero potuto svolgersi se non in quei luoghi, che i personaggi sarebbero stati diversi se avessero respirato un'altra atmosfera.

Se normalmente in letteratura l'ambientazione fa da sfondo alla vicenda narrata, nelle opere di Didier Decoin essa ha un ruolo di primo piano assieme ai protagonisti: attraverso i suoi romanzi, lo scrittore francese compie viaggi intorno al mondo,

scegliendo come luoghi New York, la Grecia, la Russia, la Cina, il nord della Francia, il Canada, l'Inghilterra e, ne Le bureau des jardins et des étangs (2017), il suo ultimo capolavoro, il Giappone.

La costruzione del ponte di Brooklyn è il punto di partenza di uno dei suoi primi romanzi, Abraham de Brooklyn (1971): in un'America di fine Ottocento dominata da città fantasma, fumi e facciate di palazzi senza finestre, un muratore di origine francese, la moglie italiana e una ventenne americana fuggita da un penitenziario compiono un viaggio lungo e faticoso che da New York li conduce fino a Chicago, dove il

protagonista spera di poter mettere in salvo la giovane, cui lo lega un amore forte e puro.

Ed è sempre negli Stati Uniti che si svolge la vicenda narrata in John l'enfer, l'opera che vale a Decoin il suo primo, importante riconoscimento letterario: in una New York contemporanea, scintillante, smisurata e apparentemente ricca, un indiano cheyenne impiegato a lavare i vetri dei grattacieli scorge la decadenza, l'abbandono e la violenza che si celano dietro quel turbinio di luci e di fasti, ritrovandosi poi a vagare, assieme ad

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altri sconfitti dalla società, per le strade di una New York decisamente apocalittica. Appare evidente, sin da queste poche righe, come la grande metropoli sia da annoverarsi a pieno diritto tra i protagonisti dei due romanzi, così come il Giappone medievale lo è ne Le bureau des jardins et des étangs: l'eroina Miyuki, infatti, attraversa l'intero regno per portare le carpe pescate dal marito defunto a corte, compiendo un viaggio tra le insidie, gli odori, gli aliti e i colori di un Giappone che non esiste più, ma che rivive grazie alla maestria della penna di Decoin, il quale riesce a catapultare il lettore in uno spazio ben definito, concreto, che egli vede scorrere davanti agli occhi come fotografie di un vecchio album fotografico.

Affascinato dall'America, attratto sin dall'adolescenza dal paradosso della guerra del Pacifico, che vedeva scontri sanguinolenti perpetrarsi in décors de rêve21, Didier Decoin risente inoltre del richiamo del mondo rurale e, in particolare, di La Hague, protagonisti indiscussi di molte sue appassionate descrizioni: molteplici sono infatti le opere

ambientate in Normandia, dal suo secondo romanzo La mise au monde (1967), dove la giovane Ariane, esiliata nel nord della Francia dai genitori, aspetta la nascita del figlio nella più totale solitudine, al premiato22 Avec vue sur la mer (2005), nel quale l'autore, alla ricerca di una seconda casa nella penisola di La Hague, racconta non solo le piccole gioie della vita di campagna, ma anche le tempeste, le raffiche di vento e i paesaggi ostili che dominano la regione. Quella di La Hague è dunque una natura violenta e impetuosa, che esige storie forti popolate da personaggi passionali destinati a fini violente, come ben ci dimostra Les trois vies de Babe Ozouf (1983)23.

Se agli esordi della carriera di Decoin il montaggio cinematografico è impossibile da applicarsi nel mondo dell'editoria per la presenza della stessa macchina da scrivere, in tempi più recenti, con l'avvento della tecnologia, esso non rappresenta più un'utopia nel mondo letterario : il computer permette, infatti, di rimaneggiare quanto scritto all'infinito, e il romanziere diventa ben presto un abile regista, capace di tagliare,

spostare e aggiungere intere porzioni di testo. Ecco allora che Didier Decoin confessa ai microfoni di Charles Dantzig «Je retrouve avec l'ordinateur les sensations du vrai montage24»: il mondo del cinema si riversa, perciò, in quello delle pagine stampate di Decoin non solo attraverso l'ambiance, ma anche attraverso il montage.

21 Patrick Cohen, Didier Decoin : "Il faut s'écorcher pour écrire, même une heure par jour", cit. 22 Premio del Cotentin.

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1.3.2 Il flashback, il fatto di cronaca e il passato

È sempre ai microfoni di Dantzig che lo scrittore tesse le lodi di un'altra tecnica, non propriamente cinematografica, ma di cui il cinema si serve abbondantemente: si tratta del flashback, parlando del quale Decoin dichiara «Je m'en sers beaucoup, je l'apprécie beaucoup dans les livres25». Amando l'analessi proprio perché dà l'impressione di entrare nella parte più segreta, più intima di qualcuno26, egli vi costella i suoi romanzi, capaci di catapultare il lettore nel passato del personaggio con quella stessa forza e quella stessa vivacità con cui un regista passa da una scena all'altra: è grazie a questa tecnica che in Abraham de Brooklyn veniamo a sapere dell'esperienza in carcere di Kate ed è sempre ricorrendo al flashback che Decoin figlio narra la vita romanzata di Decoin padre nel romanzo Henri ou Henry, le roman de mon père. Nell'opera in questione Didier scava nel passato del grande cineasta francese per scoprire chi egli fosse prima di diventare colui che tutto il mondo è abituato a conoscere, ricerca non facile, come lo scrittore confessa al giornalista di Le Monde Blumenfeld:

Je ne connaissais pas le nom de mon grand-père. Je ne savais même pas où vivait mon père. Dans son esprit, le passé n'existait pas. Quand il est mort, nous n'avions rien, même pas ses films. Il aurait pu en garder des copies, mais non, rien. Je me suis retrouvé comme un historien privé d'archives27.

Il risultato, però, è formidabile: una raccolta di ricordi e flashback esilaranti, raccontati con una buona dose di comicità, che tratteggiano la vita di un uomo che, prima di diventare un grande del cinema francese, è stato ragazzo, sportivo, campione olimpionico, soldato e, soprattutto, padre.

L'analessi, però, è il punto di partenza anche di un altro romanzo, nel quale Didier Decoin tradisce il suo interesse per i fatti di cronaca e i suoi esordi come giornalista: si tratta di Est-ce ainsi que les femmes meurent? (2009), un mix perfetto di lavoro

documentario e di finzione.

In una New York residenziale e quasi provinciale, una ventottenne di origine

25 Ibid. 26 Ibid.

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italiana, Kitty Genovese, viene violentata e uccisa brutalmente in una fredda sera di marzo del 1964: l'assassino viene arrestato qualche giorno dopo, ma i dubbi sulla

colpevolezza di quei trentotto testimoni (dal libro di Decoin è stato poi tratto un film dal titolo, appunto, 38 témoins) che hanno assistito a quel lungo massacro senza muovere un dito rimane, come attesta la conclusione del romanzo, una frase del grande fisico Albert Einstein «Le monde est un endroit redoutable. Non pas tant à cause de ceux qui font le mal qu'à cause de ceux qui voient ce mal et ne font rien pour l'en empêcher28».

L'intera vicenda viene ripercorsa da un vicino della ragazza, un poliziotto in pensione, assente al momento dei fatti: attraverso le sue indagini, il lettore scopre chi fosse veramente Kitty e quali strane coincidenze l'avessero messa, quella sera di marzo, sulla strada del suo carnefice.

Sempre basato su un fatto di cronaca è il romanzo del 2013 La pendue de Londres, nel quale, alternando la voce del boia a quella della vittima, Decoin riporta la storia dell'ultima donna sottoposta a impiccagione a Londra: siamo nel 1955, una bellissima ragazza incinta viene colpita dal compagno con l'intento di farle perdere il bambino, ma la donna si salva e, per vendetta, uccide l'assassino; arrestata, non cerca in alcun modo di difendersi e viene così condannata a morte29.

Alla domanda di Frédérique Bréhaut da dove venga l'amore dello scrittore per i fatti di cronaca, questi risponde:

L’influence de mon père, le cinéaste Henri Decoin, a été déterminante. Il se servait beaucoup de cette matière première pour ses films, à une époque où il en tournait environ trois par an. Les faits divers lui étaient utiles pour fignoler les détails. À la maison, nous recevions les nombreux journaux auxquels il était abonné et moi, en rentrant de l’école, je me nourrissais à l’encre de leurs pages30.

Le parole di Didier lo affermano chiaramente: è stata ancora una volta la professione cinematografica del padre a far nascere in lui questa passione, che ha poi saputo

28 Nathalie Crom, Est-ce ainsi que les femmes meurent ?, < http://www.telerama.fr/livres/est-ce-ainsi-que-les-femmes-meurent,40026.php>, data di consultazione 09/02/2018

29 Christine Ferniot, Didier Decoin, le capitaine des lettres, < https://www.lexpress.fr/culture/livre/didier-decoin-le-capitaine-des-lettres_1110899.html>, data di consultazione 09/02/2018

30 Frédérique Bréhaut, Didier Decoin: «Casque d’Or n’était pas belle»,

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riversare sapientemente nelle sue opere, senza mai perdere di vista l'importanza fondamentale dell'atmosfera. Questa è talmente essenziale da essere annoverata tra i criteri adoperati per la scelta dei delitti da inserire nel suo Dictionnaire amoureux des faits divers (2014), una raccolta in ordine alfabetico dei fatti di cronaca degli ultimi due secoli in cui, come in un vero vocabolario, a ogni entrata corrisponde una storia: «Enfin, j’ai besoin d’une atmosphère, de brouillard, de réverbères, de pavés disjoints luisants de pluie. Quand je peux réunir tous ces éléments, c’est le pied!31».

Così come lo stesso Decoin confessa a Frédérique Bréhaut, il racconto dei fatti di cronaca appare indissolubilmente legato al passato: nel suo Dictionnaire, infatti, prende in considerazione soltanto quelle notizie risalenti al diciannovesimo, inizio del

ventesimo secolo, sia per ragioni, ancora una volta, di atmosfera, sia perché, trattandosi di fatti meno noti, il rischio di sollevare dibattiti giuridici è minore32.

La predilezione per le vicende del passato, però, non è una prerogativa soltanto di questo testo, al contrario essa rappresenta un'altra importante caratteristica della scrittura di Decoin: che si tratti di fatti reali o di storie scaturite dall'immaginazione dello scrittore, la componente storica è un tassello fondamentale delle sue opere, a tal punto che sono veramente poche quelle ambientate integralmente nell'epoca

contemporanea, mentre numerosi sono i romanzi legati al passato, che sia esso un passato recente come ne La pendue de Londres, o un passato lontano, mitico, avvolto quasi dall'alone della leggenda come nell'ultimo suo capolavoro Le bureau des jardins et des étangs. E sempre il passato, come vedremo più avanti, è uno dei grandi

protagonisti del romanzo Les trois vies de Babe Ozouf.

Ancora una volta, le due grandi passioni di Decoin si intrecciano e la sua carriera di sceneggiatore entra prepotentemente nell'universo della sua scrittura: non può essere un caso, infatti, che i maggiori riconoscimenti in ambito cinematografico gli siano arrivati proprio con fiction a carattere storico (basti pensare al premiato Le comte de

Montecristo).

1.3.3 L'haleine

Influenzata sicuramente dal mondo del cinema, la scrittura di Decoin è una scrittura

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fortemente visiva, che mira a costruire immagini dotate di una concretezza e di una materialità a dir poco stupefacenti: per raggiungere tale scopo, lo scrittore non si risparmia minimamente nelle sue descrizioni, a tratti forti, persino violente tanto appaiono al lettore verosimili. Ogni particolare è per lo scrittore degno di venire scolpito tra le sue pagine, anche quello apparentemente più insignificante, come l'alito dei personaggi, riferimento costante nelle opere di Decoin a partire dai suoi primissimi lavori: in Un policeman (1975) non viene fatta esplicita menzione dell'haleine, parola-chiave della scrittura di Decoin, ma l'autore non perde comunque l'occasione di descrivere ciò che esce dalla bocca dei bambini intenti a giocare sui marciapiedi impiegando il termine vapeur33.

Nelle opere successive è la parola haleine che prende il sopravvento: Decoin la impiega indistintamente, sia nei suoi saggi34, sia in quei testi cui è affettivamente più legato come in Henri ou Henry, le roman de mon père35, sia, infine, nei suoi romanzi più recenti, come la Pendue de Londres:

Ruth n’a que ses rêves, et elle en change souvent, c’est selon les rencontres qu’elle fait, les hommes auxquels elle se donne et qui, après la première nuit d’amour dans la chambre qui sent le drap moite et l’haleine fade du petit matin, lui font des promesses inouïes qu’ils ne tiendront jamais.

oppure Le bureau des jardins et des étangs:

Des Deux Lunes dans l’eau émanait une entêtante odeur de mousse et de farine mouillée due aux champignons qui colonisaient les murs en bois. S’y mêlaient, venant du dedans de

l’établissement et se glissant par les interstices, des effluves de clou de girofle, de camomille et de poudre de riz, ce qui constituait une haleine plutôt insolite pour une auberge. (Le bureau des jardins et des étangs).

33 «Des enfants jouaient sur les trottoirs. Une vapeur grise s'échappait de leurs lèvres.»

34 «Le monde ne se maintient que grâce à l'haleine que dégagent les enfants dans leur étude...» (Dictionnaire amoureux de la Bible); «Or donc, s'échappant de ses lèvres roses, son haleine sentait l'haleine, et seulement l'haleine...» (Dictionnaire amoureux des faits divers).

35 «On avait bien songé à mettre une traductrice à sa disposition, mais mon père n'avait pas supporté d'entendre cette vieille dame à l'haleine aigrelette lui débiter dans l'oreille des chapelets de fautes de

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Che si tratti di vapeur o di haleine, l'alito in Didier Decoin è presente, concreto, tanto che i suoi testi sembrano essere stati creati non solo per essere letti, ma anche, quasi, per essere annusati dal lettore.

2 Les trois vies de Babe Ozouf

2.1 L'opera

“La tristesse d'une femme est un obstacle plus difficile à franchir que sa vertu36.”

Il romanzo, edito come molte delle opere di Didier Decoin dalla casa editrice Éditions du Seuil, viene pubblicato nell'aprile del 1983, dopo che il talento letterario dello scrittore francese è stato riconosciuto a più riprese: Élisabeth ou Dieu seul le sait (1970) ha infatti ricevuto il Prix des Quatre Jurys, Abraham de Brooklyn il Prix des Librairies e John l'enfer l'ambito premio Goncourt.

Il titolo dell'opera Les trois vies de Babe Ozouf è emblematico, perché ben riassume la struttura e il contenuto del romanzo, che si compone, infatti, di tre parti,

esplicitamente indicate, ciascuna delle quali è dedicata alla vita di una donna: la protagonista della prima parte è Babe Ozouf, mentre nella seconda troviamo la figlia Catherine e nella terza la nipote Carole. Viene allora spontaneo chiedersi perché il titolo alluda soltanto alla prima eroina, delegando le altre due vicende quasi al ruolo di

appendici della vita di Babe Ozouf: la risposta rappresenta la chiave di lettura dello stesso romanzo. Il destino della bella e indipendente Babe Ozouf, donna sola che gestisce il suo patrimonio ricorrendo soltanto alle sue forze e alla sua intelligenza, è destinato a ripetersi, come un'invincibile maledizione, nelle generazioni successive: la donna, infatti, attratta dal mare e dal fuoco, accende un falò su un'alta scogliera e nell'oscurità, come in preda a una sorta di incantesimo, inizia una danza che porta il capitano del tre-alberi Altenbrüch a scambiare i movimenti sinuosi di Babe di fronte alle fiamme per i bagliori di un faro. Colpita la scogliera, la nave affonda, così come ad andare a fondo è la vita della donna che, costituitasi di sua spontanea volontà, viene

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dichiarata colpevole e additata da tutti come la naufrageuse:

Son système de défense – j'ai allumé un grand feu, je l'ai entretenu jusqu'à une heure

avancée de la nuit, pratiquement jusqu'à ce que le voilier Altenbrüch s'éventre sur le récif – ne

fait qu'appuyer l'image qu'on a d'elle: une naufrageuse37.

Grazie all'aiuto delle due guardie incaricate di accompagnarla fino in tribunale, le quali, ammaliate dalla sua bellezza, decidono di regalarle, mettendola incinta, qualche mese di vita, la donna può ultimare il suo manoscritto e dare alla luce una bambina, Catherine appunto.

Sembra che per le discendenti di Babe Ozouf il destino sia già stato scritto e che niente possa essere cambiato: sia Catherine che, anni dopo, la figlia Carole, infatti, si ritrovano, come trascinate da un caso malefico, a compiere esattamente gli stessi gesti della bella Babe, divenendo a loro volta delle perfette naufragatrici.

Catherine, orfanella cresciuta dalle suore, percorre La Hague in lungo e in largo per trovare il luogo esatto raffigurato in un'incisione acquistata da un mercante di stampe, nei confronti della quale ha provato, sin dal primo istante, un'attrazione irresistibile e inspiegabile:

L'image du naufrage, c'est différent. Elle a beau être lugubre, avec un trait malhabile sinon grossier, des jeux de perspective et d'ombre plutôt approximatifs, Catherine ressent comme une angoisse à l'idée qu'elle risque de lui échapper. Il lui semble que l'image, de son côté, éprouve la même attirance irraisonnée38...

L'immagine del naufragio cui si allude è proprio quello dell'Altenbrüch, e la donna ritratta in cima alla scogliera è Babe, la madre che Catherine non ha mai conosciuto: il caso si rivela, perciò, essere il grande burattinaio della vicenda, dal momento che è per caso che la piccola scorge l'incisione, è per caso che trova il luogo rappresentato, è per caso che lì vi incontra Louis, un misterioso pittore che diventerà presto suo marito, ed è ancora per caso che una sera, durante una di quelle violente tempeste de La Hague,

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Catherine accende tutte le lampade che riesce a reperire in casa, inviando dalla finestra dello studio del marito inconsapevoli segnali di fumo.

Una serie di sfortunate coincidenze conduce la figlia allo stesso punto in cui, anni prima, si era ritrovata la madre, a un naufragio: stavolta, però, a colare a picco non è un'imbarcazione, ma il matrimonio della protagonista. Catherine, infatti, non immagina che con quegli stessi giochi di luce il marito sia solito invitare l'amante a fargli visita, non sospetta minimamente un tradimento da parte sua: una volta scoperta la verità, per la piccola Ozouf non rimane altra scelta che lasciare quella regione dannata e iniziare una nuova vita altrove.

La Hague, però, rappresenta un richiamo irresistibile per le discendenti di Babe Ozouf e così, anni dopo, sarà Carole, la figlia di Catherine, a tornare su quella scogliera per ripetere gli stessi, precisi, identici gesti della nonna, stavolta volutamente:

– Tu vas refaire le geste de Babe, n'est-ce pas? Rigoureusement le même geste, au même endroit, et la fumée sentira pareil. Tu seras prise et emmenée comme elle39.

Le parole del vecchio Louis, che per combinazione si trova a ospitare Carole senza sapere di chi sia figlia, si rivelano essere una giusta premonizione: l'idea che un

misterioso reclutatore inglese ha avuto trovando, ancora una volta casualmente, il manoscritto di Babe, lungi dal dare i risultati sperati, si trasforma ben presto in tragedia. L'uomo, infatti, sperava, con quello stesso falò che anni prima aveva portato

all'affondamento del veliero, di far naufragare – siamo nel 1944 – l'incrociatore tedesco Admiral von Severloh, ma ancora una volta il caso interviene a rimescolare le carte, e l'esito della partita è sì un naufragio, ma di un'imbarcazione addetta al trasporto di ausiliarie della Kriegsmarine. A questo punto è facile immaginare quale sarà il destino della nuova naufragatrice e dei suoi complici: la stessa angoscia di Babe per aver ucciso degli innocenti, la stessa spietata condanna a morte.

Un fato inesorabile che non lascia scampo, una maledizione per cui non esiste cura, il ritorno di alcuni Leitmotive, ingredienti necessari alla buona riuscita dell'oscuro maleficio, come la Hague, il fuoco, l'oscurità e una vita da spezzare: sono questi i perni del romanzo, della vita di una naufrageuse destinata a ripetersi, sotto diverse sembianze,

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in differenti epoche storiche.

«Peut-être qu'après ta mort, ta volonté servirait de guide... Peut-être que, si quelqu'un comme toi n'avait jamais vécu, l'Histoire n'aurait jamais pris un tel tournant...» Yukio Mishima,

Neige de printemps40.

Ecco allora che, come lo stesso Decoin ci suggerisce in una citazione in apertura del romanzo, la vita di Babe Ozouf diventa una guida invisibile, di cui nessuno è a

conoscenza, ma che esiste, che segretamente dirige ogni singolo capitolo della Storia, permeando le esistenze di chi ne fa parte.

Il caso, un tout petit bonhomme sympathique a cui è concesso il lusso di tornare indietro dalla morte e che, però, non racconta niente al riguardo41, è lo spietato burattinaio dell'intero romanzo, e Babe, Catherine e Carole altro non sono che le sue burattine.

Didier Decoin affida la conclusione di Les trois vies de Babe Ozouf alle parole del poeta svedese Pär Lagerkvist: quel Male che aleggia in tutto il romanzo, senza palesarsi mai completamente, che è eterno, inaccessibile, immortale come la stessa luce, altra grande presenza, assieme all'oscurità, delle tre vicende, viene qui nominato

apertamente, decretando così la tragicità di un finale già di per sé drammatico.

Peut-être le Mal a-t-il une demeure éternelle, Une aire lointaine, désolée, inaccessible Où l'on aspire en vain à la rédemption,

Quelque chose d'impérissable, comme la lumière même.42

2.2 Le protagoniste

Leggendo il romanzo nella sua integrità, il lettore non può sottrarsi dall'impressione di trovarsi di fronte a un'opera sbilanciata, con una prima parte molto densa di

40 Ibid, pagina non numerata

41 Jacques Chancel, Didier Decoin, <http://www.ina.fr/video/PHD99227892/index-video.html>, data di consultazione 15/02/2018

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avvenimenti, dettagliatamente descritta e ben circostanziata, una seconda parte più scarna e leggera e, infine, una terza parte che appare più sbrigativa e, per questo, superficiale, così come una lettrice afferma in una recensione relativa al libro in questione sul sito Babelio:

J'avoue que je me suis laissée emporter par cette saga. J'ai énormément aimé la première partie c'est à dire Babe Ozouf, de superbes descriptions de la lande, des couleurs, des odeurs, un personnage de femme sans concession. Aimer c'est entrer en religion, elle tentera de retrouver dans un feu cette même sensation éprouvée avec l'être aimé. La seconde partie avec Catherine Ozouf j'ai apprécié mais il manque l'intensité de la première partie. Quant à la troisième partie j'ai été très déçue, trop et un peu brouillon. Mais c'est vraiment à lire avec plaisir si on aime les grandes sagas43.

Effettivamente questa disparità sembra essere confermata anche dal numero di pagine, 133 la prima parte, 128 la seconda e soltanto 108 la terza: accanto a motivi che ritornano in ogni sezione, come La Hague, il fuoco, il naufragio, la storia d'amore e la presenza di personaggi maschili subalterni a quelli femminili, c'è un elemento che cambia, l'eroina.

Babe Ozouf è splendida, con quei lunghi capelli rossi e quel corpo sinuoso:

Elle [Babe Ozouf], dit-on, se tenait à contre-jour. La lumière dessinait admirablement l'ovale de son visage, ses cheveux roux paraissaient plus dorés. Tous l'ont désirée, pense encore Louis44.

È una donna che nessuno riesce a dimenticare, neppure a distanza di anni, come dimostra Louis, il misterioso pittore a cavallo che decide di sposare Catherine per avere con sé un po' di Babe, vista quando era un ragazzo e il cui ricordo è ancora ben vivido nella sua mente:

Il n'avait que dix-sept ans quand les gendarmes Jean Le Nackeis et Guillaume Dubosq sont allés chercher Babe Ozouf dans sa ferme de Jobourg. Il n'était pas encore peintre, ses yeux

43 Babelio, Les trois vies de Babe Ozouf, < https://www.babelio.com/livres/Decoin-Les-Trois-vies-de-Babe-Ozouf/8940#citations>, data di consultazione 15/02/2018

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n'étaient pas habitués à mémoriser les formes et les couleurs. […] Certain que Babe Ozouf avait obtenu la permission de se baigner une dernière fois dans la mer, il espérait qu'elle se

déshabillerait complètement. C'était important pour lui, elle serait la première femme qu'il verrait nue45.

Non è, però, soltanto la bellezza di Babe che colpisce il lettore e chi, nel romanzo, ha la fortuna di incontrarla: sono soprattutto il suo carattere e il suo spessore morale e psicologico a renderla un personaggio così affascinante. Donna sola ed emancipata, riesce a gestire il suo patrimonio ricorrendo unicamente alla sua intelligenza: è l'eroina che precorre i tempi, e per questo viene isolata dal resto della comunità e trattata con indifferenza dagli altri abitanti di Jobourg, ma a lei non importa, perché è superiore a tutto questo.

Et les femmes de Jobourg n'avaient ni assez de haine ni assez de compassion pour s'intéresser à l'enlèvement de celle qu'on appelait l'Invisible pour bien marquer le peu d'importance qu'elle présentait, et que le regard pouvait passer à travers elle sans même transmettre au cerveau l'information qu'il y avait là un être humain46.

Con Babe ci troviamo di fronte a una donna sbagliata, perché troppo avanti rispetto al secolo in cui si trova a dover vivere: imprenditrice, indipendente dalla protezione maschile, capace di star sola, si dimostra superiore agli uomini anche nell'ambito sessuale, dove la vediamo sempre come un'insegnante e mai come un'allieva:

Bon, c'était clair, elle lui avait appris l'amour, et quand il avait cru savoir il était parti s'essayer avec d'autres. Il lui en restait, pourtant, des choses à connaître! Pendant ces deux années, elle s'était contentée de le caresser. Des prémices47.

La letteratura ci sta cominciando ad abituare oggi a eroine di un tale calibro, ma agli albori degli anni Ottanta una protagonista come Babe certamente non doveva essere facile da far accettare, a maggior ragione se questo personaggio era stato concepito per

45 Ibid, p.205 46 Ibid, p. 18

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vivere nel diciannovesimo secolo in un centro rurale: Babe è una donna che viaggia da sola senza problemi, che sceglie a chi concedersi e lo fa a prescindere dal sacro vincolo del matrimonio; ha desideri sessuali e ne è consapevole48, così come è consapevole di se stessa e del valore della sua indipendenza:

Perdre sa liberté n'était pas le pire, elle n'en faisait pas grand-chose de toute façon. Mais elle avait peur pour ses yeux, ils allaient rencontrer des murailles invariables […] Ce qu'elle voulait, c'était voir loin49.

Ed è proprio con quello sguardo che scruta lontano, imperturbabile, quasi perso nell'infinito, che ce la immaginiamo ritratta nell'incisione che Catherine porta sempre con sé: in cima a quella scogliera, col vento tra i capelli e il mare in fondo al precipizio, Babe sembra una scultura, una donna fiera pronta ad affrontare ogni cosa:

À bien observer le visage de la femme près du feu, il semble qu'elle ne discerne rien de la tragédie qui se déroule à ses pieds, quarante mètres en contrebas. Elle est éblouie par les hautes flammes du brasier qu'elle nourrit avec une sorte de fureur50.

Babe è impassibile mentre vede colare a picco il veliero che lei ha fatto affondare e rimane tale anche di fronte a quei giudici da cui dipende tutto il suo destino: «Elle se tiendra devant ses juges comme elle se tient devant elle-même: calme, rugueuse, presque muette51.». È proprio per questo suo orgoglio, per questo suo mutismo e per questa sua indifferenza52 che verrà dichiarata colpevole e condannata alla ghigliottina, e non per aver provocato la morte di migliaia di uomini come invece sarebbe logico supporre: se una simile condotta avrebbe forse potuto essere perdonata e persino giustificata in un uomo, diventa inaccettabile in un corpo femminile.

È lo stesso Louis, pittore dal passato misterioso, a tracciare un perfetto ritratto della prima eroina della saga e a marcare, nello stesso tempo, quella differenza caratteriale

48 Ibid, p.43 49 Ibid, p.34 50 Ibid, p.151 51 Ibid, p.123

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che separa la madre dalla figlia: poco prima che Catherine venga a scoprire il

tradimento, la piccola dà ancora una volta libero sfogo alla sua infantilità, rivelandosi incapace di agire e di sapersi comportare senza la guida adulta del marito, il quale, a malincuore, è costretto ad ammettere che la bambina che ha sposato non diventerà mai come la madre che l'ha generata, una donna capace di mostrarsi forte anche nella fragilità, una femme fière sempre pronta a sfidare chiunque abbia di fronte, anche da prigioniera.

Babe Ozouf, d'une certaine façon, était fragile entre Jean Le Nackeis et Guillaume Dubosq. Mais elle irradiait en même temps une sorte de puissance […] Le bas de sa robe semé de crottin, elle régnait quand même. La nuit suivant son arrestation, quand Louis avait évoqué son image, ce n'était pas une pénitente qu'il voyait mais une femme fière, la tête légèrement rejetée en arrière dans une attitude de défi53.

Se nell'evocare il ricordo di Babe Louis usa parole come potenza, imperare, fiera e sfida, queste diventano menzognere laddove vengano usate per descrivere la moglie adolescente: Catherine è soltanto una bambina talmente fragile che qualunque cosa può ferirla, un esserino da coccolare, accudire, proteggere, viziare come un padre vizia sua figlia, e non con quell'amore coniugale con cui Louis pensava inizialmente di poterla amare54.

Sin dalle prime righe della sua storia, Catherine ci viene presentata come una bambina obbediente, un po' sbadata, circondata dall'affetto delle monache che l'hanno cresciuta: del suo passato il lettore non sa niente, se non che è stata affidata alla

Congregazione dalle Autorità affinché questa si prendesse cura di lei per tutto il tempo della sua infanzia55.

Le suore la crescono nella bambagia, lontana dai rischi e dai pericoli del mondo esterno, da cui cercano in ogni modo di salvaguardarla, non da ultimo scegliendo per lei un cognome che la terrà lontana da «certains états périlleux, courtisane, femme de lettres ou comédienne56».

La Congregazione, però, non può proteggerla dal desiderio maschile, e così anche

53 Ibid, p.245, 246

54 “Je t'aimerai comme un homme.”, Ibid, p.220 55 Ibid, p.142

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Catherine, come la madre, viene desiderata dagli uomini, ma ciò che li attira in lei non è la femminilità, l'imperturbabilità, l'indipendenza e la fierezza che contraddistinguono Babe, bensì quel suo essere bambina: ecco allora che l'organista si accontenta di suonare per lei, osservandola di nascosto e chiamandola la tout court o la petite-fille-du-vendredi, mentre il mercante di stampe anela alle sue smorfie e alle sue boccucce così terribilmente da bambina; ecco allora che, di nuovo, il giovane raccoglitore di latte incontrato durante il suo viaggio altro non chiede se non pagarle una stanza in un albergo e poter entrare ad annusare il letto il mattino seguente, mentre il monaco la porta in collo fin dove riesce a condurla. Tutti questi uomini provano un'innegabile attrazione per Catherine, ma nessuno ha l'ardire di tentare un vero approccio, di

qualunque tipo esso sia: qualsiasi forma di contatto tra lei e loro avviene di nascosto, in maniera celata e timida, perché è solo così che può essere desiderata una bambina.

Persino lo stesso Louis in lei vede soltanto la donna che per prima gli ha rubato il cuore:«il y a en toi la première femme qui m'a troublé57».

Non è soltanto nel modo in cui gli uomini adulti si rapportano con lei che emerge l'infantilità di Catherine, ma anche nelle descrizioni che ne vengono fatte: Louis, la prima volta che la ospita a dormire in casa sua, non riesce a chiudere occhio, e così prova a immaginarla mentre dorme, e ciò che si rappresenta nella mente è ben lontano da una donna sensuale che emana femminilità anche nel sonno:

Elle est trop grande pour sucer son pouce, mais sa main n'est sûrement pas loin de sa bouche. Posée sur sa poitrine, pense Louis, recroquevillée, ou alors les doigts pointés vers les lèvres comme des canons et prêts à y monter à la moindre alerte.58

Persino il giorno del matrimonio, lungi dal rappresentarla come una donna affascinante che va incontro al proprio destino, Decoin non perde occasione per

presentarcela come una ragazzetta impacciata alle prese con i pizzi indomabili dell'abito da sposa:

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Le vent déploie aussitôt sa toilette. La dentelle blanche s'évase, formant une corolle autour du buste. Le long voile se soulève aussi et flotte derrière la nuque de Catherine. Les autres femmes qui entourent la mariée ont eu le réflexe de plaquer leur robe contre elles, les empêchant de s'envoler.59

A poco servono i paragoni dell'autore con una corolla e con un fiore, la scena si colora ugualmente delle tinte del ridicolo e del bizzarro, così come bizzarro risulta il comportamento di Catherine subito dopo il matrimonio, quando comincia a correre intorno alla tavola imbandita come una piccola selvaggia, sognando di poter posare la lingua sulle leccornie del banchetto nuziale: quella che il lettore si trova di fronte non assomiglia affatto a una donna appena sposata, potrebbe piuttosto sembrare la figlia piccola e scalmanata di un qualche invitato:

Catherine court toujours, elle va vers l'immense table drapée de blanc qu'on a dressée près de la bergerie. […] Catherine s'abat enfin contre la table, les bras écartés et son corsage écrasé contre la nappe. Elle chante. […] Elle relève son visage, admire toutes ces victuailles alignées. Si la noce voulait bien tourner le dos une minute ou deux, qu'elle puisse promener lèvres et langues sur les peaux60...

Estremamente dure sono, non a caso, le parole pronunciate dal critico alla vista della giovane sposa:

– Morphologiquement […] cette jeune personne est taillée pour la valse. Asfrid serait bien inspiré de la peindre en robe Second Empire, virevoltant parmi les volailles. Avec la boue, le contraste serait saisissant. On pourrait intituler le tableau la Femme-buvard. L’œuvre poserait en somme la question suivante: combien de temps faudra-t-il au purin pour imbiber en totalité une fille qui danse sur la merde comme sur le plancher de l'Opéra?61

L'analisi dell'esperto d'arte sembra, inizialmente, un vero e proprio complimento: il valzer è un ballo raffinato e il fatto che Catherine, semplice popolana, vi sia fisicamente portata appare come una lusinga. Tuttavia, già alla fine del primo periodo compare la

59 Ibid, p.231 60 Ibid, p.235

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parola volailles, che sembra stridere con l'eleganza evocata poco prima dal valzer: immaginando la scena di una ragazza che volteggia tra i polli di un'aia il lettore riesce a stento a trattenere una risata. Il contrasto continua poi con il sostantivo boue:

l'immagine idilliaca della fanciulla che danza lascia presto il posto a quella della Donna-assorbente, il titolo dell'ipotetico dipinto, e il lettore capisce così che lungi dall'essere un complimento, il discorso del critico rivela la scarsa considerazione e lo scarso rispetto che questi ha per la piccola Catherine, ridicola quanto «una ragazza che balla sulla merda come se ballasse sul pavimento dell'Opéra».

Meno affascinante della madre, e questo lo capiamo dalle parole della stessa Catherine62, la giovane ha anche meno esperienza sessuale rispetto a Babe: sarà Louis, infatti, a iniziarla ai segreti del sesso, e anche in questo caso la piccola Ozouf si rivelerà essere impacciata, ponendogli domande assurde e parlando incessantemente:

D'un coté il voudrait qu'elle se taise, enfin qu'elle ne trouve plus rien à dire et laisse le rêve s'épanouir en lui – librement, comme son sexe qui va se dilater en elle. Mais il aime aussi qu'elle le mouille ainsi, un peu et sans le faire exprès. Il a l'impression qu'elle le marque, que le haut de son visage d'homme devient un territoire de petite fille. Et alors, d’être possédé par une si faible personne lui donne un merveilleux vertige63.

Siamo ben lontani dalla maestria, dalla consapevolezza e dalla sensualità di Babe, quella che vediamo in questa scena è una ragazzina inconsapevole alle prese con la sua prima volta, che cerca di mascherare la sua agitazione con le parole e a cui nessuno non solo non ha mai spiegato niente del sesso, cosa del resto normale agli inizi del

ventesimo secolo, ma neppure ha mai detto bébé: se la forza e la fierezza sono i tratti dominanti di Babe Ozouf, quelli della figlia sono sicuramente la tenerezza e la fragilità.

Pour elle, le plus extraordinaire n'est pas qu'un homme veuille l'aimer, mais qu'il l'ait appelée bébé. Car d'autres hommes l'ont désirée, enfin d'une certaine façon, ils ont voulu la porter sur leur dos comme le moine, toucher les draps où elle avait dormi comme le collecteur de lait ou qu'elle leur fasse des moues comme le marchand d'estampes, mais aucun ne lui a jamais dit bébé. Une femme l'a dit peut-être, il y a très longtemps, et de cette femme elle a tout oublié64.

62 “Grande, mince, droite, Catherine trouve qu'elle a déjà assez l'air d'une chandelle.”, Ibid, p.144 63 Ibid, pp. 225, 226

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Leggendo queste righe il lettore non può fare a meno di avvertire come una stretta al cuore: priva di veri punti di riferimento e di qualcuno da amare, come capiamo quando dice «Tu sais que moi aussi j'ai essayé d'aimer? Ça aurait pu marcher si j'avais

seulement quelqu'un à aimer65», Catherine si dà totalmente a Louis senza nemmeno chiedersi se lo ami, perché Louis è l'unico a essersi preso cura di lei sin dal loro primo incontro.

Quello che Catherine nutre per Louis, però, non è un amore sano ed equilibrato: mentre l'uomo ha una vita pienamente vissuta alle spalle, che lo porta a prendere decisioni consapevoli, e un presente fatto di viaggi di affari e di pittura, la ragazza non ha che suo marito e questo la porta ad annullarsi per lui, ad accettare ogni sua scelta senza farsi domande (come la proposta di matrimonio), a passare intere giornate nell'attesa delle sue attenzioni e a farsi poi del male se queste non arrivano, come quando, cacciata dallo studio dell'uomo, beve il porto e si spoglia, rimanendo nuda anche una volta che il fuoco si è spento.

Ecco allora che arriviamo alla seconda caratteristica di Catherine, la fragilità, di cui ben si rende conto Louis vedendola rannicchiata in sala, circondata dal suo stesso vomito:

Mais elle dans une telle détresse qu'il mesure pour la première fois à quel point elle est restée enfantine. Et ça l'effraye subitement. Combien de temps encore avant qu'elle soit son égale, avant qu'il ose être franc, sévère, exigeant? Il ne peut pas vivre continuellement avec l'angoisse de la blesser. 66

Quello che l'aveva conquistato in lei, il suo essere bambina, adesso lo spaventa terribilmente: amare sono infatti le conclusioni dell'uomo, il quale si rende conto di non essere all'altezza del compito che si è assunto sposandola, quello di farla diventare una vera donna:

Qui montrera ici à cette petite fille comment on devient femme? Pas moi, reconnaît Louis, car je n'ai pas une idée assez précise de ce qu'est une vraie femme. Alors, comme certains arbres

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qui restent nains chez nous tellement ils sont martyrisés par les tourmentes et mis à vif par le sel, Catherine risque de ne pas grandir67.

Louis ha sottovalutato quanto fosse infantile la moglie: si è lasciato ammaliare dal suo fascino adolescenziale, che in un primo momento l'ha sconvolto ed eccitato, poi sconcertato e, infine, sfinito, a tal punto da arrivare ad ammettere «Je ne peux pas me permettre […] de passer toute ma vie près d'une adolescente68».

Catherine non è una donna, sia lei che Louis devono accettare questo dato di fatto e comportarsi di conseguenza: lei smetterà di indossare corsetti, di fare la matrona di casa e comincerà a giocare, mentre il marito cesserà di aspettare che cresca e la proteggerà come un padre protegge la figlia, perché è tempo che Catherine abbia un padre69.

Da una parte la donna, quella che Louis ha sempre amato, quella «capace di respirare per anni vicino a un uomo senza parlare, senza quasi muoversi70», quella che ha cercato di possedere sposandone la figlia; dall'altra un'eterna bambina, così infantile da spaventare chi le sta accanto, così rumorosa da costringere Louis a smettere di dipingere piccoli formati perché necessitano di estrema precisione e mano ferma, così fragile da dover esser protetta: per Catherine sembra non esserci speranza, sembra essere destinata a vivere nell'ombra della madre, della donna che non sarà mai.

Tuttavia, proprio quando il lettore non ha ormai più alcuna fiducia nella possibilità di riscatto della piccola Ozouf, ecco che questa eroina lo sorprende, affrontando il tradimento del marito con una forza e una maturità del tutto inaspettati: Catherine non fa scenate, non si dispera, non piange, ma raccoglie tutto il coraggio che possiede e con estrema lucidità decide di salvarsi:

À la Chandellerie, Catherine a vu quelquefois des religieuses […] perdre subitement la foi. […] Leurs yeux, aussi, ternes et fixes, semblaient de pierre. Catherine a peur de leur ressembler. Il faut qu'elle se lève, qu'elle occupe vivement son esprit et ses mains si elle ne veut pas se laisser statufier elle aussi: Louis n'est pas Dieu, mais enfin il était son amour71.

67 Ibid. 68 Ibid. 69 Ibid, p.260 70 Ibid, p.246

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Louis ha tradito la moglie con Jennifer Dickson perché in lei vedeva quella donna che Catherine non sarebbe mai riuscita a diventare, ma nell'ultimo capitolo della parte dedicata alla piccola Ozouf il lettore assiste quasi a un capovolgimento della situazione: a piangere e a disperarsi come una ragazzina, infatti, è Jennifer, non Catherine, la quale vuole andarsene prima che la sua sofferenza cominci a marcire, prima di guastare il ricordo che Louis ha di lei.

Cette nuit, Catherine est une victime frappée de plein fouet. Une accidentée, quelqu'un d'attendrissant et d'honorable. Tandis que devant Louis, avec le temps qui aura passé, elle ne sera déjà plus qu'une femme bafouée. 72

Se Babe viene condannata proprio a causa del suo orgoglio, Catherine preferisce partire verso l'ignoto pur di non perderlo: ecco allora che mamma e figlia, così distanti per tutto il resto della seconda parte, vengono alla fine avvicinate proprio da quel rispetto che suscitano.

Il cambiamento è impressionante: la Catherine bambina che accende le lampade sulla mensola della finestra per paura della tempesta non esiste più, ha lasciato il posto alla donna che affronta il tradimento a testa alta. Se Babe è una donna sin dalle prime righe del romanzo, Catherine lo diventa affrontando quel naufragio personale da lei stessa provocato: è per questa ragione che si può forse parlare, riferendosi alla seconda parte, di romanzo di formazione, un particolare genere letterario che vede il protagonista crescere e maturare grazie a vicende intime o esteriori73.

Nel pensare al personaggio di Catherine, Decoin ha certamente in mente Kate Nickleby di Charles Dickens, come ci viene del resto confermato anche all'interno della stessa opera 74: sorella del protagonista, è anche lei, infatti, una ragazza graziosa e passiva, che dimostra di avere, però, all'occorrenza una grande forza di volontà e molto coraggio75.

72 Ibid, p.262

73 Sapere.it, Il Bildungsroman, < http://www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/letteratura-tedesca/Dal-Pietismo-Al-Classicismo/Forme-del-romanzo/Il-Bildungsroman.html>, data di consultazione 20/02/2018

74 “Seule Mlle Nickleby, de Dickens, lui semble présenter quelques similitudes.”, Didier Decoin, Les

trois vies de Babe Ozouf, cit., p.243

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Il personaggio dickensiano, tuttavia, non rappresenta l'unica fonte di ispirazione cui ha attinto l'autore francese per creare la storia di Catherine: relazioni d'amore tra

adolescenti e uomini adulti sono al centro anche di altri due suoi romanzi, Laurence (1969), dove un economista ventiquattrenne e una tredicenne gravemente malata di leucemia, Laurence, vivono un amore forte e passionale sotto gli occhi accondiscendenti dei genitori e dei medici, e Elisabeth ou Dieu seul le sait (1970), che, similmente alla storia di Catherine, si svolge in parte all'interno di un convento e ha come protagonista una femme-enfant76 , la quale viene posseduta da un uomo molto più grande di lei.

Ciò che separa madre e figlia è quindi, in primo luogo, sicuramente l'età: la prima è infatti una donna fatta, con un grande bagaglio di esperienze sulle spalle e con la consapevolezza di una persona che sa quello che vuole; la seconda è invece una bambina ancora impreparata agli urti della vita, che impara a vivere vivendo e

sbagliando, che sperimenta per scoprire quello che le piace e che desidera. È forse allora per la vicinanza anagrafica che Babe e Carole, protagonista della terza parte, risultano a prima vista più simili di quanto non lo siano Babe e sua figlia: leggendo la descrizione della scena d'amore tra il Reclutatore e Carole, il lettore ha quasi l'impressione, infatti, di trovarsi di fronte a una nuova Babe, una Babe del ventesimo secolo:

Ils passèrent à un autre jeu. Elle fut douce avec lui, attentive et patiente comme elle ne l'avait jamais été. Elle le toucha surtout avec sa bouche et sa langue, le laissant emprisonner ses poings fermés dans ses grandes mains.77

Come la nonna, anche Carole si dimostra essere più esperta dell'uomo nell'atto sessuale: è lei che prende l'iniziativa, è lei che controlla i giochi, è lei che sa come muoversi, è lei ad avere un occhio di riguardo nei confronti del partner, il quale addirittura confessa di non saper fare l'amore.

– Vous allez regretter ça comme le reste, dit le Recruteur, parce que je ne sais pas faire l'amour.

76 Seuil, Elisabeth ou Dieu seul le sait, < http://www.seuil.com/ouvrage/elisabeth-ou-dieu-seul-le-sait-didier-decoin/9782020011457>, data di consultazione 20/02/2018

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