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Il plurilinguismo all'interno del romanzo

Finora sono state esaminate le incongruenze cinematografiche e quelle temporali, ma non mancano nel romanzo anche piccoli errori linguistici, nonché dubbi riguardanti la traduzione di termini di origine straniera.

Les trois vies de Babe Ozouf è ovviamente un testo scritto in francese, ma di tanto in tanto vi compaiono alcuni forestierismi, evidenziati dall'uso del carattere corsivo: Sarah, la ragazzina olandese con cui Louis passa una notte sull'Amstel, viene

paragonata a un kabouter234(lasciato tale e quale anche in traduzione), termine olandese corrispondente al francese lutin, come viene spiegato subito dopo nel testo, e all'italiano folletto; i dialoghi con l'inglese Jennifer Dickson, amante di Louis, vedono alternarsi battute in lingua inglese a battute in lingua francese235; la terza parte, ambientata durante l'occupazione nazista della Francia, è invece ricca di termini e frasi tedeschi, tutti

puntualmente tradotti in nota, eccezione fatta per Kommandantur236, parola però presente anche nel lessico militare italiano, dove indica il comando superiore di una

231 Vedi nota 136

232 Didier Decoin, Les trois vies de Babe Ozouf, cit., p.144 233 Ibid, p.241

234 Ibid, p.211 235Ibid, pp.236, 260

piazza militare e l'edificio dove ha sede il comando237, ersatz238 e Reichsmarks239. Se ersatz non ha posto alcun problema traduttivo, dal momento che si tratta di un prestito acclimatato nella lingua francese, tanto da essere registrato su qualsiasi dizionario bilingue con la definizione di «surrogato», già la parola «Reichsmarks» ha fatto sorgere qualche dubbio: il termine tedesco, infatti, viene adoperato pure in francese (e in italiano) allorché ci si riferisce alla valuta utilizzata in Germania dal 1924 al 1948, e il fatto che sia un prestito acclimatato è testimoniato anche dalla desinenza plurale -s, tipica della lingua romanza, ma non di quella tedesca, che in questo caso usa la

terminazione -e; del tedesco è stata però mantenuta l'iniziale maiuscola, che nella lingua in questione caratterizza tutti i sostantivi e che non compare, però, normalmente, nella parola presa in prestito nella lingua francese.

Cercando il termine su qualsiasi dizionario bilingue tedesco-italiano, vediamo che esso corrisponde al «marco tedesco»: dopo qualche riflessione è stato deciso, tuttavia, di non tradurre la parola (è stata però tolta la marca del plurale per adattarla alla lingua italiana) per non perdere il riferimento al periodo nazista, che essa evoca per la presenza, nel composto, del termine Reich; se la parola fosse stata tradotta

semplicemente con marchi tedeschi, questa sfumatura storica sarebbe venuta meno e il lettore avrebbe pensato soltanto alla Germania prima dell'introduzione dell'euro.

La stessa scelta è stata fatta con la parola Oberleutnant240, carica militare tipica della Germania, dell'Austria e della Svizzera241 ed equivalente all'italiano «tenente

colonnello»: trattandosi, però, di un grado caratteristico, tra gli altri, dell'esercito tedesco, è stato deciso di non tradurlo, sia per non perdere la particolare coloritura storica del termine, che per la sua sonorità e per la sua grafia viene associato d'istinto dal lettore italiano al Reich, sia perché di fatto il tenente colonnello non è esattamente un Oberleutnant, in quanto l'esercito italiano non conosce questa carica.

Se la parola fosse stata tradotta, avrebbe perso questa sua sonorità germanica e tutto ciò che essa evoca, e il suo significato ne sarebbe stato notevolmente appiattito.

È stato prima accennato alla presenza di errori linguistici nella versione originale, e

237 Treccani, Kommandantur, <http://www.treccani.it/vocabolario/kommandantur>, data di consultazione 14/03/2018

238 Didier Decoin, Les trois vies de Babe Ozouf, cit., p.360 239 Ibid, p.367

240 Ibid, p.313

quello riscontrato riguarda non a caso una traduzione in nota di una frase tedesca: qualche pagina prima della fine del romanzo, si assiste a uno scambio di battute tra l'Oberleutnant Kulp e Carole:

– Töte mich, murmure Carole. – Späterhin, dit Kulp.242

Il verbo pronunciato da Carole è un imperativo alla seconda persona singolare, corrispondente al francese «Tue-moi» e all'italiano «Uccidimi», ma nella nota a piè di pagina esso viene tradotto come se si trattasse di un imperativo di cortesia, ossia con «Tuez-moi», forma che in tedesco sarebbe «Töten Sie mich»: si viene quindi a creare una non-corrispondenza tra la frase tedesca e la sua traduzione in francese in nota, la quale inevitabilmente viene ripetuta anche nella versione italiana, dal momento che non è stato ritenuto opportuno correggere quanto scritto in nota.

Questa discrepanza solleva, però, un dubbio: viene infatti spontaneo chiedersi se essa sia stata cercata da Decoin, il quale altrove mostra di conoscere perfettamente le regole di formazione dell'imperativo in tedesco243, o se si tratti semplicemente di una svista; nel primo caso l'autore potrebbe forse voler mostrare, attraverso questa

discrepanza, la scarsa conoscenza che Carole ha della lingua tedesca. Si tratta, tuttavia, soltanto di un'ipotesi.

Conclusioni

Una delle domande che qualsiasi scrittore si sente rivolgere più volte nel corso della vita è sicuramente perché egli abbia deciso di scrivere, e Didier Decoin non è stato di certo risparmiato da tale martellante quesito: ci sono mille ragioni che lo hanno spinto verso l'universo della scrittura, come egli stesso ha dichiarato in una conferenza tenutasi presso il Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell'Università di Pisa in data 20 marzo 2018, ma quella fondamentale è forse stata la possibilità di raccontare storie, di girare film senza l'ausilio di una telecamera. Ecco allora che ancora una volta torna a farsi sentire, più forte che mai, l'influenza che il mestiere del padre ha avuto sulle scelte di vita e professionali del giovane Decoin, il quale ricorda la sua infanzia come «une enfance à côté d'un homme qui contait des histoires244», e sono proprio quelle storie che anche lui, una volta divenuto adulto, vuole narrare, ma, come gli svela Henri, per farlo non c'è bisogno per forza di uno studio cinematografico, bastano carta e penna, quegli strumenti che Didier ha ben presto imparato ad adoperare nel migliore dei modi, facendo sognare i suoi lettori e lasciando loro delle emozioni indelebili, come ogni buona «littérature du plaisir245» deve fare.

Non è un caso allora che i suoi personaggi acquistino le sembianze di vedettes, «images de femmes qui faisaient rêver246»: Babe, Catherine e Carole sembrano uscite direttamente dalla mente del più abile regista, sono donne straordinarie, talmente forti da mettere in ombra tutti gli altri uomini del romanzo, senza mai, però, schiacciarli; di fronte a loro le figure maschili diventano delle semplici comparse, quasi degli agnellini incapaci di scegliere, di agire, di dire un semplice addio. È sconvolgente la capacità di Decoin di calarsi nell'animo femminile, svelandone le paure, mostrandone il coraggio, quel coraggio che è diretta conseguenza del dolore cui le sue eroine sono abituate: è proprio nella drammaticità del naufragio da lei causato, infatti, che Babe si mostra al

244Didier Decoin, Figure di donne e problemi di traduzione, conferenza tenutasi il 20/03/2018 a Pisa, presso l'Aula Magna di Palazzo Matteucci.

lettore per la donna forte e imperturbabile che è, capace di affrontare, come una moderna Giovanna d'Arco, la morte a testa alta, senza dire una parola, con orgoglio e fierezza; è nel tradimento subito dal marito e scoperto per caso, ancora una volta grazie al tripudio di luci accese in una notte di tempesta, che la piccola Catherine diventa grande e autonoma, a tal punto da decidere di partire e ricominciare una nuova vita altrove; è la determinazione di Carole, più forte della paura di morire, a offuscare il Reclutatore, talmente debole da non riuscire a salutare la donna con cui ha trascorso la notte e che lui stesso ha condannato a morte convincendola a compiere una missione suicida.

Babe, Catherine e Carole sono personaggi a tutto tondo, dotati di uno spessore psicologico e morale che non può lasciare indifferente il lettore moderno, sebbene egli sia già da tempo abituato a eroine e romanzi al femminile: si tratta di donne che per la loro libertà sessuale, per la loro totale indipendenza da figure maschili, per il loro eroismo e per la loro fierezza precorrono i tempi, così come ha fatto il loro ideatore nel 1983 decidendo di farle vivere nel bianco delle sue pagine.

La donna offre, nella scrittura di Decoin, uno specchio perfetto da cui poter

osservare il mondo che la circonda, mettendone a nudo le ingiustizie, le sofferenze e le costrizioni: si può allora parlare, per lo meno per molte opere dell'autore, di un vero e proprio «engagement social247», come ha sottolineato anche Anne Marie Jaton nel corso della conferenza del 20 marzo facendo riferimento ad altri due capolavori al femminile di Didier Decoin, Est-ce ainsi que les femmes meurent? e La pendue de Londres.

La femminilità nelle sue molteplici sfaccettature, però, non è l'unico elemento che Decoin mostra di voler indagare fino in fondo nell'opera Les trois vies de Babe Ozouf: assieme all'animo femminile, infatti, lo scrittore esplora in compagnia del lettore anche La Hague, regione cui è affettivamente legato sin dalla sua infanzia e che gli offre oggi un tranquillo e sereno rifugio dal caos parigino.

La Hague, la «maîtresse» che gli ha non solo ispirato, ma addirittura imposto il romanzo248, viene descritta da Didier con quella stessa precisione con cui il padre era solito riprendere i paesaggi dei suoi celebri film: è proprio forse allora in quelle appassionate descrizioni della regione normanna che il figlio conferma al meglio le parole del papà circa la possibilità di girare dei bellissimi film anche senza telecamere,

semplicemente con carta e penna.

Quasi accompagnando chi legge mano nella mano, egli lo guida alla scoperta dei paesini della zona, delle loro viuzze e della loro gente, portandolo sino in cima a quella scogliera su cui Babe prima e Carole anni dopo accendono il falò assassino e che Catherine cerca spasmodicamente, come ammaliata dalla forza inspiegabile di una sconosciuta incisione: il lettore è insieme a lei quando finalmente la trova ed è ancora insieme a lei che vive la delusione di un panorama che non è come si aspettava.

La Hague nel romanzo acquista quasi le sembianze di una quarta protagonista, tanto essa è presente, concreta, affascinante, schiva e solitaria: la regione s'impregna così di quella che è l'essenza di Babe, Catherine e Carole, le quali, a loro volta, diventano col posto che abitano un tutt'uno indissolubile, a tal punto che non si può fare a meno di credere che esse non potrebbero vivere le loro avventure se non in quei paesaggi così mozzafiato da attrarre chi li guarda, così selvaggi e ostili da spaventarlo.

E come le tre protagoniste, anche La Hague non viene semplicemente vista, ma anche toccata e annusata dalle parole di Decoin: similmente a un gigantesco corpo femminile, essa offre al lettore forme da accarezzare, odori da inalare, immagini da rubare al fluire del tempo.

Ecco allora che corpo femminile e regione normanna condividono la stessa minuzia di dettagli, le stesse descrizioni particolareggiate, la stessa attenzione dello scrittore per la componente tattile e olfattiva: così come l'alito delle tre protagoniste è dotato di una propria consistenza e di una propria fragranza, allo stesso modo anche quell'angolo della regione normanna ha un suo odore, a tratti più potente, a tratti più freddo, che Decoin non può fare a meno di scomporre nelle sue varie componenti per farlo assaggiare all'ipotetico lettore.

È forse proprio la zelante attenzione per la componente olfattiva a disorientare in un primo momento chi legge, che non può sottrarsi all'impressione di trovarsi

improvvisamente catapultato nell'universo di profumi dello scrittore tedesco Süskind: simile al protagonista Jean-Baptiste Grenouille, infatti, anche il pittore Louis si rivela essere un cacciatore di fragranze, irrimediabilmente attratto dalle note dolciastre e lattiginose dei corpi femminili ancora adolescenti; mentre, però, la fame insaziabile di odori porta il protagonista di Profumo a estraniarsi dalla realtà, facendolo diventare un folle assassino, al contrario l'olfatto in Decoin ancora paesaggi e personaggi alla vita.

«Les odeurs sont mon monde […] elles viennent du vivant, sont une émanation du vivant et de la vie249»: sono proprio le parole dell'autore a sciogliere ogni dubbio e a svelare al suo pubblico di lettori le ragioni di questa sua attrazione verso la componente olfattiva, che è ciò che per lui si avvicina maggiormente alla vita stessa.

Le donne, La Hague, i profumi e il fetore esalati dai paesaggi e dagli esseri umani e un caso che, monello, si diverte a giocare con i destini delle tre protagoniste,

intrecciandoli stretti stretti l'uno all'altro, sono gli ingredienti che Decoin ha saputo dosare alla perfezione in Les trois vies de Babe Ozouf, affascinando il lettore dalla prima all'ultima pagina, a tal punto da portarlo a chiedersi perché un romanzo del genere non sia ancora stato scoperto da quel mondo cinematografico cui l'autore è tanto legato; questi sono anche stati i pilastri del lavoro di traduzione, che ha lasciato il traduttore con la speranza di vedere un giorno, magari non troppo lontano, un romanzo così forte e delicato al tempo stesso proiettato sul grande schermo.

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Ringraziamenti

Un altro viaggio si appresta a finire, e come in ogni escursione che si rispetti il

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