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GLI ANNI ’80 E LE TECNOLOGIE DEL CADAVERE

3.1. APORIE E CADAVER

Questo capitolo vuole essere un esercizio di lettura di due testi e l’ana- lisi delle rispettive traiettorie discorsive sullo status retorico del cada- vere e sulla sua configurazione narrativa all’interno della cultura mate- riale e scientifica degli Stati Uniti degli anni ’80. American Psycho di Bret Easton Ellis sarà il punto di partenza per riflettere sulle modalità attraverso cui le trasformazioni occorse in quegli anni nell’utilizzo dei cadaveri da parte della scienza medica e dell’industria funeraria si in- nestano nell’immaginario comune della cultura newyorkese dell’epoca reaganiana e si sostanziano sul piano discorsivo. D’altra parte, il riferi- mento a un testo critico apparso solo qualche anno prima, “Can the Subaltern Speak?” di Gayatri Chakravorty Spivak, rivela la funziona- lità e la ricorsività del cadavere in quanto tropo all’interno di un di- scorso che, nell’immediatezza del suo tessuto retorico e ideologico, si colloca agli antipodi del romanzo di Ellis: alla potenza americana si op- pone lo stato di subalternità dell’India coloniale; alla fine dei grand ré-

cits della postmodernità viene contrapposta la fase seminale della nar-

razione imperialista narrata da Spivak. In entrambi i casi, tuttavia, nel- la ricerca di un dispositivo narrativo allo stesso tempo efficace sul pia- no retorico e densamente articolato su quello sostanziale, i testi ricor- rono al tropo del corpo morto, appropriandosi, più o meno consape- volmente, dei dispositivi discorsivi prodotti in quegli anni sulla morte e sui cadaveri.

American Psycho viene pubblicato nel 1991, al culmine di una fase

ben individuabile della storia letteraria e culturale degli Stati Uniti, che, all’interno della composita galassia minimalista, aveva visto emer- gere sulla scena newyorkese la cosiddetta blank generation, un gruppo di giovani autori venuti alla ribalta negli anni ’80 e definiti in maniera

ironica brat pack.1Negli anni che avevano visto la loro affermazione, la

città di New York viveva una fase di profonda trasformazione prodotta dalla gentrification che ne avrebbe, nel giro di pochi anni, stravolto ra- dicalmente la fisionomia, e l’avrebbe progressivamente ripopolata di una generazione di nuovi ricchi che si appropriavano gradualmente di ogni spazio della città, forzosamente sottratto a chi vi risiedeva prima.

American Psycho, romanzo emblematico di quegli anni e di quella New

York City, ha avuto una breve ma intensa storia critica, che ne ha privi- legiato una lettura sostanzialmente metaforica, concentrata sull’imma- gine del serial killer come icona letteraria e mito culturale. L’analisi del personaggio di Patrick Bateman, protagonista del testo, si è focalizzata sul livello di articolazione e complessità della resa, in termini narrativi, di un individuo psichicamente disturbato e indotto a sterminare, in maniera più o meno macabra, un numero incalcolabile di vittime, ri- proponendo in questo modo, all’interno di una impeccabile finzione

letteraria, la figura del serial killer, presenza ricorrente e minacciosa nell’immaginario comune e nella cultura popolare degli Stati Uniti. Non pochi, inoltre, tra lettori e critici, hanno voluto vedere in Bateman l’eroe emblematico della generazione degli yuppies, il cui obiettivo era fagocitare la città, deprivandola di ogni traccia della sua storia recente, così da fonderla in una macchina onnivora che tutto assimila e tutto espelle, con una ferocia esasperata almeno quanto la freddezza mecca- nica propria dell’atto stesso del consumo.

La mia lettura di American Psycho si concentrerà invece sull’imma- gine/concetto di cadavere, ipotizzandone un utilizzo tropologico, stru- mentale dal punto di vista dell’articolazione semiotica, metatestuale e retorica del romanzo. Da un lato, la mia intenzione è evidenziare le ri- frazioni, sul piano della scrittura narrativa, di una serie di questioni che, all’epoca, avevano avuto una grande risonanza sul piano storico, medico-scientifico, giuridico e sociale. Dall’altro, proverò a confronta- re il romanzo stesso con la prassi speculativa ed ermeneutica della de- costruzione, in quanto tradizione filosofica innestata sulla tradizione della critica letteraria statunitense, e, in quegli anni, ben consolidata al- l’interno della realtà accademica americana, tanto che se ne comincia- va perfino a scorgere l’inizio della parabola discendente, e a ipotizzare i possibili ed eventuali sviluppi futuri. La natura doppia del romanzo, il suo essere, allo stesso tempo, un gioco linguistico che mette conti- nuamente in discussione lo statuto mimetico della narrazione e un te- sto caratterizzato da dettagli di scrupoloso e spaventoso realismo, lo rende un lavoro di complessa ingegneria semiotica che sembra affer- mare e negare la propria autorevolezza discorsiva pagina dopo pagina. In questo senso, American Psycho è un romanzo che, in maniera spre- giudicata ed esplicita, testimonia la propria natura metatestuale, oltre che (o in quanto) intertestuale. Per questo motivo, la sua tessitura nar- rativa e retorica si configura come una mappa intertestuale produttiva di quel continuo rinvio dei significanti che caratterizza la prassi deco- struttiva. Dedicherò invece uno spazio più limitato all’analisi delle vere e proprie scene di morte e di violenza, ampiamente discusse nella lette- ratura critica esistente, che si innestano su questo complesso tracciato semiotico e che segnano, attraverso la funzione aporetica svolta dai corpi morti o morenti, l’arresto momentaneo e problematico della flut- tuazione incontrollata dei significanti. Utilizzo qui i termini aporia e aporetico nel senso discusso da Jacques Derrida di non-passaggio, mo- mento nel quale ogni problematizzazione si arresta non perché abbia trovato una soluzione, ma perché è posta di fronte alla impossibilità lo-

gica, o epistemica in senso lato, del suo stesso porsi.2

Sullo sfondo di questa duplice articolazione storica e discorsiva, le tecnologie della morte negli Stati Uniti degli anni ’80 non si limitano a fornire una cornice a entrambi gli apparati testuali, ma si rivelano esse

stesse testo a pieno titolo, in perpetua e controversa interazione con le pratiche narrative e discorsive prodotte dentro e fuori l’accademia. Fonte privilegiata e primaria per la conoscenza del corpo e per la defi- nizione di un paradigma universale dell’umano, mezzo funzionale alla raccolta di dati statistici sulle condizioni di esistenza materiale, e infine oggetto di discussione giuridico-filosofica relativa alla sua condizione di soggetto legittimato al godimento di una qualsivoglia forma di dirit- to, il cadavere, “both human and subhuman” (Quigley 1996, 116), è al tempo stesso un oggetto di indagine e un mezzo che ridefinisce i criteri di appartenenza e di individuazione dei codici sociali e culturali nei quali esso stesso si colloca.

3.2. ECONOMIE DISCORSIVE DELLA MORTE NEGLI ANNI ’80