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LA STORIA CHE MUORE IL CASO DI AMERICAN PSYCHO 1 Effetto superficie: American Psycho

GLI ANNI ’80 E LE TECNOLOGIE DEL CADAVERE

3.3. LA STORIA CHE MUORE IL CASO DI AMERICAN PSYCHO 1 Effetto superficie: American Psycho

e le mappe intertestuali

American Psycho, pubblicato nel 1991 dopo una tormentata vicenda

editoriale, è stato considerato il romanzo-manifesto di un’intera epoca e di una generazione, quella degli yuppies, che ha definito la scena ur- bana e l’immaginario collettivo della New York City degli anni ’80. La ricca letteratura critica esistente ha messo in luce le sue assonanze con altri testi letterari e filmici, tra cui il film di Mary Harron ispirato al ro-

manzo stesso, uscito nel 2000;9l’elevata potenzialità intertestuale del

romanzo, oltre a essere un tratto stilisticamente significativo, mi pare particolarmente degna di nota ai fini di una tematizzazione del cadave-

re e della sua posizione all’interno del testo e del composito macrote- sto che è possibile individuare e rintracciare intorno a esso.

La vicenda editoriale di American Psycho, “the most scandalously gory American novel of the last decade” (Abel 2001, 137), è ormai no- ta, come pure la sua trama, che si dipana come una lunga narrazione in prima persona del protagonista Patrick Bateman, giovane broker che lavora a Manhattan, icona della sua generazione e classe sociale. Bellis- simo e curato nell’aspetto, ossessionato dalla carriera e dal bisogno co- stante di accumulare ricchezza e simboli materiali di benessere e di lus- so, Patrick trascorre la sua vita tra un lavoro che non pare richiedergli molto impegno e l’esplorazione della scena mondana della New York degli anni ’80, delle discoteche e dei ristoranti nei quali si svolge il suo

tempo libero.10A caratterizzare una fin troppo prevedibile doppia vita

di Patrick è il suo impulso, dapprima appena percepito e poi sempre più urgente, di commettere gesti di inaudita violenza, che lo trasforma- no in un serial killer la cui brutalità si manifesta non solo nella continua ricerca di vittime da annientare, ma nella necessità morbosa di infierire sui loro corpi, prima e talvolta dopo l’omicidio, in maniera efferata e ri- pugnante. American Psycho si configura come un romanzo senza una vera trama e senza alcuna conclusione, privo di punti di svolta risoluti- vi o rese dei conti esemplari, che si costruisce e accresce in maniera cu- mulativa attraverso la semplice giustapposizione di eventi e riflessioni. La crudezza delle immagini e di singole scene del romanzo è stata origine di una vicenda editoriale abbastanza singolare nel mondo delle

lettere statunitense.11Ampi stralci di American Psycho erano stati, in-

fatti, pubblicati sulle riviste Time e Spy, suscitando ovunque reazioni molto contrariate e attacchi virulenti. Immediatamente, Simon and Schuster, la casa editrice che aveva acquistato i diritti per la pubblica- zione del romanzo, decise di cancellarlo dalla propria programmazio- ne editoriale; in maniera altrettanto rapida, fu la Random House ad ac- cettarne la pubblicazione, aggiudicandosi così un testo che, oltre a es- sere assai remunerativo sul piano finanziario, sembrava destinato, pri- ma ancora della pubblicazione, a diventare il caso letterario del mo- mento e a riscuotere notorietà e successo per i temi affrontati e per le polemiche insorte in merito ai tentativi di censura, e alla loro giustezza e legittimità. Gran parte della produzione critica su American Psycho, non a caso, si è concentrata proprio sulla questione della censura, tra- scurando il testo e le questioni aperte che esso pone, e, soprattutto, tra- lasciando o accennando appena al fatto che le scene di violenza, per quanto brutali e sicuramente disturbanti, rappresentano una parte mi- nima dell’intera opera.

Per quanto riguarda la sua struttura e articolazione interna, Ameri-

can Psycho si presenta come una vasta campionatura di immagini ed

puramente orizzontale. Il tema della superficie, estensione piana del testo costellata dagli attanti della narrazione e ridefinita di volta in vol- ta dalla loro interazione, è uno dei motivi centrali e essenziali per la comprensione delle questioni tematiche e dei rimandi extratestuali, e culturali in senso lato, messi in opera in American Psycho, la cui orche- strazione diegetica, di conseguenza, procede attraverso una accorta disseminazione di tracce che forniscono un’indicazione implicita delle prospettive di lettura. La possibilità di produrre una significazione, o la drammatica consapevolezza di una sua definitiva impossibilità, co- stituisce la sfida più impegnativa della narrazione stessa, e l’orizzonte in (teoricamente) infinita espansione della sua intertestualità è il ban- co di prova di un procedimento di radicale messa in discussione dei meccanismi stessi di significazione e del principio di referenzialità del linguaggio.

In uno dei capitoli più interessanti e al tempo stesso enigmatici, em- blematicamente intitolato “End of the 1980s”, Patrick si perde in una lunga digressione proprio sul tema della superficie: “Surface, surface, surface, was all that anyone found meaning in […] this was civilization as I saw it, colossal and jagged” (Ellis 2006, 360). Espressione, questa, che si sarebbe tentati di liquidare come un semplice riferimento alla cultura consumistica degli anni ’80, di cui Patrick è diretto prodotto, consapevole, al tempo stesso, della sua natura effimera e illusoria. Tut- tavia, il ricorso al termine meaning complica ogni tentativo di lettura del romanzo nei termini di una ovvia e prevedibile riflessione morali- stica. Il significato è nella superficie, o meglio, è la superficie l’unica componente del testo in grado di produrre un significato.

Più che un invito allo scavo ermeneutico, American Psycho suggeri- sce di conseguenza la necessità di un’esplorazione della sua stessa illi- mitata mappa segnica e testuale; come ha scritto Elizabeth Young ri- correndo a una definizione di Roland Barthes, esso è “what Roland Barthes called a ‘writerly’ text. It invites the reader to play amongst its games and inconsistencies” (Young 1994, 119). Attraverso la progres- siva frattura di ogni pratica di significazione, il testo sovverte di volta in volta le proprie stesse ipostasi, in un incessante, e per questo motivo schizofrenico (quanto talvolta noioso) rinvio dei suoi significati ultimi, tanto da poter essere letto come ricodifica insospettabile e raffinata di un trattato di decostruzione, un’opera che, attraverso la sua stessa

scrittura, mette in atto i termini del pensiero derridiano.12La configu-

razione orizzontale, o effetto superficie, di American Psycho è il dato strutturale che consente all’elevato livello di rimandatività testuale di attuarsi, di volta in volta, come libero gioco tra i significanti interni al testo o come loro slittamento continuo verso altre, e sempre differite, cornici testuali. In questo senso la scrittura di American Psycho nel suo complesso può essere definita decostruttiva o addirittura decostruita,

programmaticamente tesa a tracciare e rintracciare nell’immanenza della sua stessa articolazione i segni di una archi-scrittura originaria che sembra essersi ormai perduta. Quanto diffusa fosse la decostruzio- ne, come discorso accademico, negli Stati Uniti di quegli anni è, d’al- tronde, cosa risaputa; e per quanto né Ellis né gli altri autori che si muovevano sulla scena newyorkese dell’epoca abbiano mai fatto riferi- menti espliciti al pensiero derridiano, mi pare che in American Psycho si possa ravvisare una volontà tenace di ridisegnare i postulati della propria articolazione scrittoria e retorica, tracciando una serie di linee di fuga che si arrestano, secondo una prassi autenticamente decostrut- tiva, solo nei luoghi aporetici di indecostruibilità. Le aporie in Ameri-

can Psycho sono date dalla morte e dalle sue raffigurazioni, e risultano

così efficaci e potenti dal punto di vista funzionale da far passare in se- condo piano i restanti elementi costitutivi del romanzo.

Sempre nel capitolo “End of the 1980s”, che si presenta come una serie di immagini collegate tra loro senza nessun nesso causale per quel che riguarda l’articolazione narrativa interna, viene evocato il deserto, topos narrativo che suggerisce una condizione di completa aridità mo- rale e spirituale. Attraverso l’immagine del deserto, Patrick traduce in termini semiotici un dato narrativo e simbolico, affermando così la di- mensione priva di ogni accenno di profondità della propria esistenza, e, al tempo stesso, l’impossibilità di accedere a qualsiasi forma di strut- tura profonda individuabile oltre l’aspetto immediatamente percepibi- le della realtà.

Where there was nature and earth, life and water, I saw a desert landsca- pe that was unending, resembling some sort of crater, so devoid of rea- son and light and spirit that the mind could not grasp it on any sort of conscious level […] Nothing was affirmative […] Reflection is useless,

the world is senseless. (Ellis 2006, 360)13

L’effetto superficie, quindi, è ciò che consente al lettore di approssi- marsi agli asintoti semantici di American Psycho, e diventa pure il mec- canismo produttivo di un continuo e ininterrotto slittamento dei punti di snodo della narrazione in una mappatura pluricentrica. Ellis sceglie di non numerare i sessanta capitoli di cui si compone la narrazione, e non è un caso: scongiurata la necessità di imporre una sequenzialità numerica al fluire dell’azione, essa viene scomposta in una miriade di segmenti intorno ai quali si sedimentano, retrospettivamente, flussi narrativi indipendenti, che potrebbero, fino a un certo punto, restare tali anche all’interno dell’economia complessiva del testo. Ogni singo- lo capitolo funziona come un’entità autonoma e conclusa i cui nessi con il resto della narrazione possono essere rintracciati a posteriori, co- me in un gigantesco mosaico la cui immagine finale è resa solo da uno

sguardo a distanza. In questo modo, i percorsi differenziati del roman- zo diventano individuabili solo sulla base del ruolo che, in ciascuno di essi, Patrick riveste: il broker a Wall Street, il patito di fitness, il fre- quentatore assiduo di locali alla moda, e, infine, il serial killer.

Gli stessi singoli episodi non aggiungono sostanzialmente nulla alla narrazione, e sembra siano semplicemente funzionali a delineare in maniera più circostanziata il profilo del protagonista. Tuttavia, la tau- tologica vacuità e, sostanzialmente, l’insensatezza di questa operazione è evidente e ben chiara al narratore della storia, dal momento che qual- siasi lettore può immaginare chi è Patrick Bateman, proprio perché il suo personaggio è costruito in modo da riprodurre in maniera perfino prevedibile lo stereotipo del serial killer. L’intero testo si configura, quindi, come elaborato identikit di un personaggio già perfettamente identificato, attraverso un accumulo di segni che, tuttavia, invece che rafforzare e confermare le attese del lettore, le rendono sempre più va- cillanti e instabili, proprio perché preludono a uno scarto finale, un epilogo che invece non arriva mai. Questo spiega, pure, il motivo per cui sono stati molti i critici che hanno dato una lettura in senso mora- leggiante di American Psycho, e lo hanno visto come una condanna de- finitiva di un mondo edonista e spietato, e di una società, emblematica- mente riassunta dalla New York in piena epoca reaganiana, che alla

legge del profitto piegava ogni altro valore e remora.14

Elizabeth Young ha messo in luce la connessione tra la cultura yup-

pie di Patrick e il suo essere un “unreliable narrator” (Young 1994, 94).

La prima persona a essere uccisa da Patrick è il suo collega Paul Owen, ed è suo il primo corpo morente a essere minutamente descritto nel te- sto, con un’accuratezza talmente scrupolosa da risultare disturbante:

His arms flailing at nothing, bloods sprays out in twin brownish geysers, staining my raincoat. This is accompanied by a horrible momentary his- sing noise actually coming from the wounds in Paul’s skull, places where bone and flesh no longer connect, and this is followed by a rude farting noise caused by a section of his brain, which due to pressure forces itself out, pink and glistening, through the wounds in his face. He falls to the floor in agony, his face just gray and bloody, except for one of his eyes, which is blinking uncontrollably; his mouth is a twisted red-pink jumble of teeth and meat and jawbone, connected only by what looks like a thick purple string. (Ellis 2006, 208-9)

A questo omicidio segue, inspiegabilmente, un atto di identificazione con la vittima. Patrick si dirige verso l’appartamento di Paul nell’Up- per East Side, si appropria immediatamente di quelli che erano stati i suoi spazi vitali, porta via oggetti un tempo a lui appartenuti, e modifi- ca il messaggio della sua segreteria telefonica, rendendo alla perfezione

la voce di Paul, così da lasciare a intendere a quanti dovessero contat- tarlo che Paul è a Londra. La scomparsa di Paul sarà seguita da un’in- dagine, durante la quale anche Patrick è interrogato (255-67). Patrick utilizzerà di nuovo l’appartamento di Paul per uno dei suoi più maca- bri omicidi, fino a quando, nel capitolo “The Best City for Business”, recandosi nello stesso appartamento, durante una conversazione con l’agente immobiliare, Mrs Wolfe, ha la percezione che nulla sia mai successo:

There has been no word of bodies discovered in any of the city’s four newspapers or on the local news; no hints of even a rumor floating around. I’ve gone so far as to ask people—dates, business acquaintan- ces—over dinners, in the halls of Pierce & Pierce, if anyone has heard about two mutilated prostitutes found in Paul Owen’s apartment. But like in some movie, no one has heard anything, has any idea of what I’m talking about. (Ellis 2006, 352)

L’inaffidabilità di Patrick in quanto narratore, qui solo accennata ed evo- cata in un curioso gioco di sguardi con la stessa Mrs Wolfe, che indiretta- mente ribadisce la problematicità di individuare cosa davvero sia un se-

rial killer,15esplode verso la fine del romanzo. Patrick confessa a un co-

noscente comune di avere ucciso Paul Owen, insistendo ripetutamente sui dettagli dell’omicidio e ammettendo di avere commesso altri delitti: “I-killed-Paul-Owen-and-I-liked-it. I can’t make myself clearer” (Ellis 2006, 373). La risposta a questa confessione è quanto riesce a destabiliz- zare del tutto ogni orientamento fin qui raggiunto dal lettore: “‘But that’s simply not possible [...] Because … I had … dinner … with Paul Owen … twice … in London … just ten days ago.’” (Ellis 2006, 373)

La consapevolezza della natura fittizia e affabulatoria della narrazio- ne si rivela come una costante del romanzo, che mette in discussione l’attendibilità del testo stesso e lo status retorico che deriva dal suo alto livello di autoreferenzialità. È, questa, una delle ragioni che hanno spinto molti studiosi a ricorrere agli scritti di Jean Baudrillard sui si- mulacri nel tentativo di leggere, in American Psycho, una messa in ope- ra della sua complessa speculazione filosofica; in questo senso, il per- sonaggio Patrick sarebbe definito come riproduzione fedele di un ori- ginale ormai perduto, prototipo della produzione seriale tipica della

società dei consumi.16È, d’altra parte, lo stesso Patrick ad ammettere

la propria assoluta evanescenza, per quanto riguarda il proprio status di narratore, oltre che di individuo, e l’inattendibilità della sua stessa parola, in uno dei passaggi più deliranti e rivelatori del romanzo:

there is an idea of a Patrick Bateman, some kind of abstraction, but the- re is no real me, only an entity, something illusory … I want no one to

escape. But even after admitting this – and I have, countless times, in ju- st about every act I’ve committed – and coming face-to-face with these truths, there is no catharsis. I gain no deeper knowledge about myself, no new understanding can be extracted from my telling. There has been no reason for me to tell you any of this. This confession has meant

nothing. (Ellis 2006, 362)

L’elevato tasso di rimandatività testuale in American Psycho introduce un ulteriore elemento di riflessione sull’attendibilità del narratore e, conseguentemente, sull’utilizzo della morte e dei cadaveri come luoghi ultimi di problematizzazione o di aporetica chiusura dei nodi discorsi- vi che si incontrano nel testo. Il primo elemento di articolazione del ro- manzo in questo senso va rintracciato nei legami e nei vincoli di amici- zia e parentela che intercorrono tra i personaggi di American Psycho e vari personaggi di altri romanzi di Ellis e di autori a lui materialmente vicini, e che hanno goduto di una certa notorietà all’epoca. Young si dilunga sul tema:

Who is Patrick? […] He is the big brother of Sean Bateman in The Ru-

les of Attraction and has already made an appearance in that book. […]

He knows people from other “brat-pack” novels; Stash could be the person of the same name in Slaves of New York. Patrick tells of a chilling encounter with Alison Poole, heroine of Jay McInerney’s Story of My Li-

fe. It seems as though Ellis is re-inforcing the fact that Patrick’s only

“existence” is within fiction. (Young 1994, 108)

Ad arricchire la dimensione intertestuale di American Psycho, inoltre, vanno ricordati i due brani riportati in exergo. Il primo di essi è una lunga citazione dalle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij e, precisa- mente, della premessa alla prima parte del romanzo. Si tratta di un rife- rimento importante, perché mette immediatamente in discussione l’at- tendibilità della parola narrata: “Both the author of these Notes and the Notes themselves are, of course fictional”, e tuttavia riporta in calce

per esteso il nome dell’autore, Fëdor Dostoevskij.17

Se la noia e la ripugnanza assoluta per la propria esistenza, proprie della voce narrante di Memorie del sottosuolo, sono prerogative perfet- tamente ascrivibili anche a Patrick Bateman, e che più volte ritornano, con toni differenti, nei lunghi monologhi del testo, è l’insinuazione della natura menzognera di ogni gesto e di ogni singola parola a ripor- tare al centro della lettura del testo l’impossibilità di deciderne l’atten- dibilità e, conseguentemente, la necessità di allargare la sua interpreta- zione nel tentativo di tracciare una mappatura intertestuale in conti- nua, e potenzialmente infinita, espansione, proprio perché l’unica vali- dazione a quanto affermato non sta nell’adesione delle parole ai refe-

renti (cosa che viene, anzi, programmaticamente e ostinatamente nega- ta), ma nella rimandatività delle parole ad altre parole e del testo ad al- tri testi. Se American Psycho è la storia di un serial killer, la prima, vera vittima della narrazione è la verosimiglianza e l’attendibilità di quanto narrato, e la natura fittizia e volutamente citazionista del testo stesso è il mezzo attraverso cui si compie il sacrificio di ogni verità tangibile e verificata.

Non è Dostoevskij il solo luogo letterario richiamato, in maniera esplicita, in apertura del testo. L’inizio vero e proprio del romanzo, in- fatti, attinge a un’altra opera canonica, l’Inferno di Dante, che può fun- zionare come il codice palinsesto grazie al quale American Psycho, da una parte, afferma e legittima la propria solidità narrativa, e dall’altra, nega e respinge ogni possibile credibilità (narrativa, ideologica, o per- fino morale), semplicemente configurandosi come prodotto di una sa-

piente, e sapientemente celata, operazione di riscrittura.18 American

Psycho, dunque, si apre con il riferimento a un luogo d’accesso, insie-

me testuale e materiale, tratto dal terzo canto dell’Inferno dantesco: “Abandon all hope ye who enter here” (Ellis 2006, 3). È l’intero ro- manzo a poter essere letto come una progressiva discesa in una se- quenza di gironi infernali, in una sorta di estensione testuale della to- pografia dantesca per cui l’intera narrazione sembra incedere avvilup- pandosi progressivamente su se stessa, rifiutando una sequenzialità ri- gidamente diegetica e stringendosi sempre di più per arrivare, nella parte conclusiva, a una fitta rassegna di torture che si susseguono fino alla faticosa chiusura del romanzo:

And this is followed by a sigh, then a slight shrug and another sigh, and above one of the doors covered by red velvet drapes in Harry’s is a sign and on the sign in letters that match the drapes’ color are the words

THIS IS NOT AN EXIT. (Ellis 2006, 384)19

La conclusione del romanzo, d’altro canto, congiungendosi con l’inci- pit (in particolare nel riferimento al colore rosso che caratterizza en- trambi i passaggi) segna l’impossibilità di una via d’uscita e di un qual- siasi sbocco alla dimensione asfittica e opprimente nella quale il prota- gonista pare essere intrappolato. Il piano su cui Ellis organizza la sua