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IL DECORSO DELLA MALATTIA: DA METAFORA A SCHEMA ORGANIZZATIVO

L’IMPERO DEI MALI RIDEFINIZIONI DELLA MALATTIA TRA DISCORSO E MATERIA

4.4. IL DECORSO DELLA MALATTIA: DA METAFORA A SCHEMA ORGANIZZATIVO

Le modalità narrative e i diversi livelli di referenza dei testi di Ghosh e Leavitt si inseriscono nel dibattito su scienza e potere, assai fertile negli anni in cui entrambi i testi vengono pubblicati, e utilizzano l’artificio romanzesco per riscrivere gli eventi storici attraverso la storia delle ma- lattie. Questa operazione viene realizzata su almeno due piani differen- ti di articolazione del testo. Sul piano macronarrativo la malattia si configura come discorso, articolazione di pratiche eterogenee che pro- ducono dispositivi di potere e di controllo; in senso inverso, sul piano micronarrativo essa si traduce nell’immanenza stessa della narrazione, isolandone gli eventi e gli attanti e sussumendoli nel flusso indifferen- ziato della trasmissione di dati, biologici o informatici che siano. Nei testi di Ghosh e Leavitt la malattia assume lo status retorico di metafo- ra in virtù dell’apparato discorsivo, sia scientifico sia politico, che è po- sto implicitamente alla base degli stessi testi, in un meccanismo di reci- proca informazione e feedback.

Il tema della malattia come metafora è stato oggetto di numerose ri- flessioni, e il confronto con le pratiche discorsive che la scienza produ- ceva in quegli anni rende la questione assai più complessa e controver- sa di come era stata configurata in precedenza. Già nel 1978 Susan Sontag dedicava al tema un intero saggio, Illness as Metaphor, seguito dieci anni dopo da AIDS and Its Metaphors. Il tono di entrambi i testi è chiaramente polemico, e il loro assunto di fondo, di chiaro intento pre- scrittivo oltre che analitico, è che non si debba parlare in termini me- taforici delle malattie, nella fattispecie, del cancro e della tubercolosi nel primo libro, dell’AIDS nel secondo. L’uso della parola metafora in Sontag è abbastanza controverso; sarebbe infatti più opportuno, data l’argomentazione nel suo complesso, parlare di discorso in senso fou- caultiano, nei termini, cioè, di articolazione narrativa delle patologie che svela un profondo condizionamento di tipo ideologico, e che, ser- vendosi delle forme più diverse di espressione (la letteratura, la cultura popolare, e così via), contrabbanda un complesso di ingiunzioni, proi- bizioni e tassonomie attraverso una rappresentazione apparentemente neutrale della malattia. La malattia, in quanto discorso (o, con Sontag, metafora) si fa viatico di un insieme di regole normative che diventano tanto più forti e autorevoli quanto più sono veicolate dalla presunta

neutralità del sapere scientifico. Sontag afferma subito che “illness is not a metaphor, and that the most truthful way of regarding illness – and the healthiest way of being ill – is one most purified of, most resi- stant to, metaphoric thinking” (Sontag 1978, 3), e poi passa a una ras- segna assai ricca delle strategie retoriche e ideologiche che si sono sto- ricamente accompagnate alla narrazione delle malattie. Viene conside- rata innanzitutto la questione della visibilità: “TB makes the body tran- sparent” (Sontag 1978, 12), laddove, per contro, i sintomi del cancro sono invisibili (“One has an opaque body that must be taken to a spe- cialist to find out if it contains cancer”, Sontag 1978, 12), per poi pas- sare a quella che potrebbe essere definita, foucaultianamente, la medi- calizzazione del corpo dell’ammalato, vale a dire il suo diventare inte- ramente saturo della malattia e quasi espressione sineddotica di essa. Così, mentre la tubercolosi produrrebbe un’esasperazione dei sensi, “cancer is de-sexualizing” (Sontag 1978, 13); mentre la tubercolosi è la malattia legata alla povertà, il cancro sarebbe la malattia della classe media e del benessere; laddove la tubercolosi intacca i polmoni, una parte ‘nobile’ del corpo (“A disease of the lungs is, metaphorically, a disease of the soul”, Sontag 1978, 18), il cancro può toccare parti più basse, come il retto o gli organi genitali, e così via. In questo modo, la malattia diventa espressione del carattere di chi ne soffre:

For more than a century and a half, tuberculosis provided a metaphoric equivalent for delicacy, sensitivity, sadness, powerlessness; while whate- ver seemed ruthless, implacable, predatory, could be analogized to can- cer. (Sontag 1978, 61)

In risposta al libro di Sontag, un articolo di Paula A. Treichler, pubbli- cato nel 1987, si concentra proprio sulle pratiche discorsive associate all’AIDS, affermando che “No matter how much we desire, with Su- san Sontag, to resist treating illness as metaphor, illness is metaphor, and this semantic work – this effort to make sense of AIDS – has to be done” (Treichler 1987, 327). L’autrice si sofferma a elencare le fanta- siose teorie prodotte sulla genesi e la diffusione dell’AIDS, spesso con il supporto della scienza medica, tra cui l’intrinseca infettività dello sperma (che aveva fatto ribattezzare l’AIDS “toxic cock syndrome”) a cui le donne si sarebbero immunizzate nel corso dell’evoluzione della specie, l’ipotesi del “fragile anus”, o l’idea che le donne potessero al

massimo essere portatrici sane di AIDS.22L’assunto alla base del suo

discorso insiste sulla componente storico-discorsiva come parte intrin- seca alla malattia, tanto che all’interno di una stessa pratica retorica (quale, evidente negli esempi citati, quella omofobica e misogina) si ri- trovano riferimenti e rimandi a fatti ed eventi diversi, in molti casi per- fino frutto di pura fantasia.

Il discorso di Sontag sull’AIDS, tuttavia, è ancora più complesso. Riprendendo la polemica sulla resa della malattia in termini di metafo- ra, Sontag rimarca la particolarità dell’AIDS, in questi termini:

That AIDS is not a single illness but a syndrome, consisting of a seemin- gly open-ended list of contributing or “presenting” illnesses which con- stitute (that is, qualify the patient as having) the disease, makes it more a product of definition or construction than even a very complex, mul- tiform illness like cancer. (Sontag 1988, 28)

A proposito dell’utilizzo dell’espressione full blown per indicare lo sta- dio di AIDS conclamato, Sontag insiste:

The doctors’ botanical or zoological metaphor makes development or evolution into AIDS the norm, the rule. I am not saying that the me- taphor creates the clinical conception, but I am arguing that it does much more than just ratify it. It lends support to an interpretation of the clini- cal evidence which is far from proved or, yet, provable. (Sontag 1988, 29) Le obiezioni sollevate sull’AIDS sono articolate in maniera visibilmen- te diversa. Se nel caso del cancro o della tubercolosi, a detta di Sontag, la malattia diventa arbitrariamente oggetto di proiezioni e identifica- zioni del tutto gratuite, la natura dell’AIDS, che non è una malattia in senso stretto ma una sindrome, dovrebbe inficiare a priori ogni possi- bile tentativo di metaforizzazione.

Nel 2001 John O’Neil ritorna sullo stesso tema, teorizzando una sorta di antropologia dell’AIDS, espressione diretta delle società po- stindustriali. Queste ultime infatti avrebbero simbolicamente sostitui- to lo scambio del sangue (“the medicalized icon of the gift of the blood”, O’Neil 2001, 180) al primitivo scambio del latte materno (“maternalized icon”, 180). In questo senso, l’AIDS diventa “the psy- chosocial, legal, economic and political response to persons with HIV and its related diseases” (O’Neil 2001, 181), una sorta di pratica au- toimmune che rende alla perfezione l’evoluzione delle pratiche scienti- fiche e discorsive sulla sessualità nei regimi biopolitici, tanto che l’au- tore parla di SWA (“Society With AIDS”) invece che di PWA (“Per- sons With AIDS”).

Il dibattito culturale che si svolge contemporaneamente alla pubbli- cazione dei testi di Ghosh e Leavitt si caratterizza, come ho argomen- tato in apertura del capitolo, per la volontà di recuperare la dimensio- ne della corporeità sul piano della sua completa schedatura e della vi- sualizzazione integrale, definendo i termini del corporeo in senso pu- ramente materico. La sfida al superamento della componente discorsi- va del corpo, d’altro canto, è la posta in gioco dei testi di Ghosh e di

Leavitt che, consapevoli della ridefinizione in atto degli strumenti epi- stemici, individuano nella componente retorico-tropologica del di- scorso sulla corporeità la possibilità di ricondurre la malattia alla sfera dell’umano piuttosto che a quella utopica, e in ultima analisi distrutti- va, del post-umano. La metafora, che in questo gioco linguistico occu- pa un ruolo cruciale, diventa così una risorsa, piuttosto che una minac- cia, come sosteneva Sontag, proprio perché consente di recuperare una dimensione perduta dell’umano che sembrava essere stata oblite- rata dall’utopia della materialità assoluta.

Tuttavia, i testi di Ghosh e Leavitt si distinguono per una radicaliz- zazone della loro stessa scrittura, che non si limita a raccontare la ma- lattia, avvalorando in qualche modo la sua potenzialità metaforica, ma la utilizza come paradigma strutturale della narrazione e, in senso più ampio, come mappa interpretativa e strutturante di interi apparati di produzione discorsiva, culturale e ideologica. Si tratta di un passaggio assolutamente significativo, che riconfigura l’uso discorsivo della ma- lattia da semplice metafora (più o meno contestabile) a schema orga- nizzativo, dotato quindi di una forte valenza prescrittiva, e che può es- sere ricondotto a una serie di riflessioni elaborate nel dibattito medico e scientifico degli anni ’90. Nel 1992 la studiosa Emily Martin pubbli- cava un articolo di grande interesse, “The End of the Body”, nel quale sosteneva che, dal momento che l’attenzione della scienza era rivolta alle articolazioni minime della materia piuttosto che alla dimensione unitaria e organica della corporeità, si potesse parlare della fine dell’e- poca del corpo. In questo saggio Martin utilizza l’espressione ‘schema organizzativo’, così argomentando: “We are experiencing not so much the end of the body as the ending of one organizational scheme for bo- dies and persons and the beginning of another” (Martin 1992, 134). Nelle parole di Martin, la scienza modella la sua riflessione e le sue pra- tiche discorsive sui meccanismi di produzione propri dei regimi di po- tere dei quali è espressione:

The essence of contemporary scientific descriptions of the immune sy- stem is careful regulation of production in orientation to specific needs, not efficient production on a mass scale as in the Fordist model. When I was taking my first course in immunology, I was struck by the repeated emphasis on the “specificity” of immune system cells, both T cells and B cells. (Martin 1992, 124)

Le modalità semiotiche attraverso cui, al tempo stesso, il corpo si rap- porta alla società e la società interagisce con il corpo dipendono dai mutamenti storici e, a loro volta, concorrono a definirne la direzione. Nel passato, gli schemi organizzativi erano strutturati sul modello for- dista, caratterizzato dalla “efficient production on mass scale” organiz-

zata secondo i termini di produzione e scarto. L’espansione incontrol- lata del capitale e la sua onnipervasività, facilmente ipotizzabili dopo il crollo del socialismo reale e con l’affermazione sempre più rapida delle tecnologie informatiche, ridisegnano la corporeità in un apparato se- gnico impostato sulla natura microscopica del corpo stesso, e sulle sue strutture e ordinamenti interni. Se in passato lo schema organizzativo per eccellenza era stato quello dell’industria, adesso è dato dal sistema immunitario:

I am suggesting that the science of immunology is helping to render a kind of aesthetic or architecture for our bodies that captures some of the essential features of flexible accumulation. Presumably these images in science developed in complex interaction with many changing social forms and practices. (Martin 1992, 126)

Non a caso, Martin individua nella riproduzione il tratto paradigmati- co che contraddistingue e definisce il corpo fordista, laddove l’appara- to segnico che più si adatta alla nuova concezione del corpo è proprio l’AIDS. L’argomentazione di Martin è particolarmente interessante perché indaga sulla malattia a partire dalla sua fisiologia, con il piglio neutrale e oggettivo dell’osservazione scientifica, sottolineando poi l’immediata trasferibilità dello schema organizzativo dell’AIDS sul piano dell’articolazione discorsiva del corpo post-fordista. La malattia diventa, pertanto, un nuovo codice in grado di rileggere i corpi e di renderli leggibili, e non più soltanto l’agente biologico che li distrugge. Il dato sul quale Martin più si sofferma è l’impressionante calo delle cellule T4 che caratterizza il decorso dell’HIV, causando la distruzione del sistema immunitario (Martin 1992, 128-9) e il modo in cui questo fattore è stato recepito dalla comunità scientifica e quindi successiva- mente divulgato. Questo crollo delle difese fu letto infatti come la con- figurazione semiotica di un processo di femminilizzazione del corpo, tanto che, ricorda Martin, un manuale di epidemiologia uscito nel 1989 incredibilmente parlava di “cellule eterosessuali” (Martin 1992, 129), realizzando così uno slittamento sul piano semantico e, in defini- tiva, ideologico: l’associazione dell’AIDS all’identità omosessuale, in- fatti, non derivava dalla forzatura interpretativa di un dato statistico (la diffusione prevalente della malattia tra gli uomini omosessuali) ma pu- re di un dato segnico, la (presunta) compiuta femminilizzazione del

corpo che soffre di AIDS.23È difficile stabilire se, in un caso come que-

sto, si debba parlare di vizio ideologico di fondo della scienza medica ufficiale piuttosto che di deliberata volontà di diffondere un messaggio politico attraverso i dati scientifici. Più sensatamente, si può ipotizzare che i due piani di articolazione discorsiva si riverberino l’uno nell’al- tro, sostenendosi a vicenda e offrendosi reciprocamente tanto gli stru-

menti retorici di elaborazione discorsiva quanto il target, politico e me- diatico, al quale divulgare i risultati della ricerca.

Un riferimento ai condizionamenti della biologia in termini di gene- re è contenuto nel Modest_Witness di Donna Haraway, a proposito della trascrittasi inversa operata dall’RNA:

My metonymic substitution is warranted by the dominant molecular ge- netic story that still overwhelmingly leads unidirectionally from DNA (the genes) through RNA (the end product). […] molecular biologists early labeled this story the Central Dogma of molecular genetics. The Central Dogma has been amended over the years to accommodate some reverse action, in which information flows from RNA to DNA. “Reverse transcriptase” was the first enzyme identified in the study of this “backward” flow. RNA viruses engage in such shenanigans all the time. HIV is such a virus. (Haraway 1997, 151-2)

La successione DNA/RNA/proteine, considerata il dogma della biolo- gia, è concepita come il sistema di trasmissione delle informazioni ge- netiche per eccellenza. Il retrovirus infrange l’assolutezza di questo dogma, perché la molecola portatrice di informazione non è contenuta nel DNA, ma nell’RNA. Nel momento in cui il retrovirus infetta una cellula introduce, oltre all’RNA, le molecole di un enzima che sintetiz- za il DNA a partire dall’RNA. Se la malattia può essere letta come uno schema organizzativo che definisce, attraverso la sua stessa semiosi, la strutturazione del soggetto che ne è portatore, l’HIV, in quanto retro- virus, definisce lo schema organizzativo dell’AIDS come malattia ca- pace di ribaltare i tradizionali meccanismi di creazione della vita, pro- ducendo una catena distruttiva e mortifera di diffusione dell’informa- zione molecolare. È quindi anche a partire dalla codifica di questo da- to che si realizza la costruzione biopolitica del soggetto affetto da

AIDS come intrinsecamente saturo di potere mortifero.24

Appare chiaro, quindi, come due livelli ben distinti, quello micro- scopico e interno (la dimensione materiale del corpo e la sua fisiologia) e quello macroscopico/esterno (la produzione discorsiva ad esso con- nessa) arrivino a sovrapporsi, in termini sia retorici sia culturali. Inne- stati in un discorso complessivo che racchiude, nella medesima prati- ca, termini scientifici, ideologici e politici, i testi di Ghosh e Leavitt ne rappresentano un punto di frattura e di crisi. Il movimento retorico realizzato da entrambi tenta di ricalcare i diversi modelli di schematiz- zazione dei corpi, così come esemplificato da Martin, e di sondare i li- miti e le potenzialità della metaforizzazione della malattia stigmatizza- ta da Sontag, all’interno di un quadro politico e discorsivo successivo a entrambi i testi di quest’ultima. The Calcutta Chromosome e “Saturn Street”, infatti, traslano le costruzioni discorsive prodotte dalla malat-

tia su un versante semantico aperto, da una parte evidenziando la natu- ra storica dei processi di metaforizzazione della malattia stessa, dall’al- tra posizionando termini appartenenti a regimi discorsivi e normativi diversi all’interno di una medesima cornice semiotica.

Entrambi i testi definiscono la malattia in quanto schema organizza- tivo, mappa strutturale dei costrutti storici all’interno dei quali il testo si colloca e, così facendo, si inseriscono a pieno titolo nel dibattito sulla fine dei corpi cui Emily Martin fa riferimento, e che era in quel mo-

mento al suo punto di massima tensione.25La complementarità dei due

testi, e il loro porsi in maniera bifocale rispetto a una medesima pratica semiotica, va ricercata nella diversità degli apparati segnici utilizzati, specchio simbolico e al tempo stesso costrutto immanente a processi storici e discorsivi ben differenziati. Per questo motivo, la differenza tra il parassita, da cui nasce la narrazione di Ghosh, e il virus, che è in- vece origine dell’AIDS, diventa cruciale, proprio perché, allo stesso tempo, definisce e riassume le pratiche discorsive e le costruzioni ideo- logiche che da esse sono prodotte.

Il passaggio dalla narrazione di Ghosh a quella di Leavitt, da una di- stopia di matrice medica a una fantascientifica, trova un corrispettivo simbolico proprio nella differenza biologica tra il parassita e il virus. Mentre il virus necessita di una cellula per vivere, il parassita ha una propria vita autonoma che progredisce grazie allo sfruttamento di un altro organismo vivente. Dal punto di vista semiotico, di conseguenza, gli schemi organizzativi propri delle due malattie diventano sovrappo- nibili ai regimi di potere e sapere oggetto delle narrazioni. La realtà storica dell’impero britannico si poggiava sullo sfruttamento diretto di organismi subalterni, quali la classe proletaria inglese sfruttata nelle fabbriche oppure, come nella storia di Ghosh, la popolazione colonia- le asservita alle necessità economiche e simboliche dell’imperialismo. I diversi regimi di sfruttamento, tuttavia, erano fondati su entità indivi- duabili, quali la concretezza della merce e il potere disciplinare del go- verno imperiale. La politica di irreggimentazione e controllo dei corpi, propria della realtà biopolitica, abolisce al suo interno ogni forma di singolarità compiutamente isolabile, e, esattamente come il virus, si ri- produce innestandosi integralmente su un altro corpo.

Nel suo saggio sulla science fiction, Scott Bukatman si sofferma pro- prio sul concetto di virus, a proposito del romanzo Nova Express di Burroughs del 1964, offrendone una accurata ed efficace definizione:

The virus is a powerful metaphor for the power of the media, and Bur- roughs’s hyperbolic, and perhaps parodic, Manichaeism does not com- pletely disguise the accuracy of his analysis. There is some disagreement over the precise biological status of the virus. Whether the viral form is an actual living proto-cell or simply a carrier of genetic information, it

clearly possesses an exponentially increasing power to take over and control its host organism. The virus injects its genetic material into the host cell, seizing control of the reproductive mechanism. The cell now becomes a producer of new viral units, and so forth. The injection of information thus leads to control and passive replication: the host cell “believes” that it is following its own biologically determined imperati- ve; it mistakes the new genetic material for its own. (Bukatman 1993, 76) La vita del virus, a differenza della vita del parassita, non ha semplice- mente bisogno della corporeità altra per esistere; essa è la corporeità altra, la sua vita è la vita del corpo attaccato. La lettura parallela dei due testi in questione, di conseguenza, rende visibile lo slittamento se- miotico dal parassitismo coloniale alla contaminazione virale dell’e- poca biopolitica, e questa transizione si sviluppa per piani paralleli, attraversando le produzioni corporee a un livello micro e macroscopi- co: regimi di produzione e sfruttamento sociale ed economico equi- valgono, in parallelo, a regimi di produzione e sfruttamento (e conta- gio) corporeo.

NOTE

1 “By the end of the decade, the cyborg had lost the aura of science fiction and the

integration of new technology with the human body was increasingly normalised. Boo- sters spoke of enhanced capabilities rather than human-machine interfaces, and focu- sed their attention on the promise of biotechnology and genetic engineering” (Harri- son 2010, 192).

2 Donna Haraway ha sottolineato che già nel 1980 fu concesso il brevetto a un mi-