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ECONOMIE DISCORSIVE DELLA MORTE NEGLI ANNI ’80 Durante gli anni ’80, negli Stati Uniti si assiste a una ridefinizione com-

GLI ANNI ’80 E LE TECNOLOGIE DEL CADAVERE

3.2. ECONOMIE DISCORSIVE DELLA MORTE NEGLI ANNI ’80 Durante gli anni ’80, negli Stati Uniti si assiste a una ridefinizione com-

plessiva dell’identità legale e politica del corpo morto, sul cui status giuridico cominciano a essere sollevati interrogativi che gradualmente producono la sua appropriazione e risignificazione all’interno di nuovi regimi biopolitici di definizione e consolidamento del potere. In parti- colare, il dibattito sull’utilizzabilità dei corpi nella scienza medica sol- leva questioni particolarmente controverse per quanto riguarda l’auto- psia, pratica che, al di là dei vantaggi prodotti sul piano medico e scien- tifico, mette in gioco una complessa serie di questioni economiche, culturali e relative all’appartenenza di classe.

Nel 1989 diventa operativa una nuova modalità con cui vengono re- datti e compilati i certificati di morte, con l’obiettivo dichiarato di ar- ricchire i dati relativi alla salute pubblica della popolazione degli Stati Uniti e farne tesoro per il decennio successivo. Pur non essendo in al- cun modo esplicitata né minimamente accennata, la paranoia successi- va all’esplosione del fenomeno AIDS non può non aver giocato un ruolo determinante nella necessità di produrre una tassonomia della morte quanto più possibile dettagliata, perfettamente in linea con una tradizione scientifica risalente a qualche secolo addietro che conside- rava i cadaveri mezzi produttivi di conoscenza e fonti autorevoli di dati e indici statistici. Alla base della riforma del 1989 si cela l’auspicio che la pratica di redigere i certificati di morte possa divenire più diffusa e uniforme su tutto il territorio nazionale. Le modalità di redazione del certificato stesso vengono per questo motivo semplificate, non richie- dendo più ai medici, tra le altre cose, di stilare lunghe relazioni, ma semplicemente di rispondere a una serie di domande a risposta chiusa, così da velocizzare notevolmente la compilazione. È inoltre significati- vo che, per la prima volta, il certificato di morte richieda in maniera esplicita di indicare esattamente l’appartenenza etnica del defunto e la

sua condizione sociale.3La necessità di modificare e semplificare i cer-

tificati di morte deriva, pure, dalla sempre minore accuratezza con la quale nel tempo si era arrivati a redigerli, problema che nel corso degli anni ’80 si rivela sempre più evidente, così come è palpabile che alla

pratica dell’autopsia si attribuisca un’importanza sempre minore.4

Proprio in questi anni le modalità con cui le pratiche autoptiche vengono effettuate subiscono una lenta ma radicale trasformazione. Negli Stati Uniti l’autopsia aveva conosciuto un momento di diffusio- ne e utilizzo capillare negli anni ’50, quando era stata ritenuta, in ma- niera non molto dissimile da quanto era avvenuto nei secoli preceden- ti, uno dei requisiti più essenziali nella formazione della figura profes- sionale del medico, tanto che, non casualmente, agli studenti di medi- cina era richiesto, negli ospedali universitari, di praticare l’autopsia su

ogni caso di decesso.5Alla fine degli anni ’80, al contrario, l’autopsia

arriva a essere praticata soltanto sul 12% dei defunti negli ospedali co- muni e sul 30% negli ospedali universitari, e le ragioni di questo calo vertiginoso sono molteplici: la diffidenza verso i medici si è accresciu- ta, tanto che non capita di rado che il parere medico ufficiale venga messo in discussione; la volontà di indagare sulle cause del decesso non pare essere una priorità né una necessità assoluta; e infine, grazie alle nuove scoperte che si stanno gradualmente affermando nell’ambi- to delle tecnologie mediche e della medicina forense (che ad esempio porteranno nei primi anni ’90 all’utilizzo del DNA nelle indagini), l’au- topsia è diventata a detta di molti un’attività del tutto inutile e destina- ta a essere sempre più subalterna a pratiche mediche che cominciano a diffondersi proprio in quegli anni, e che, più che al corpo nella sua in- terezza, prestano attenzione alle componenti minime in cui esso si arti- cola (gli studi sul genoma e sul DNA affermeranno il loro primato al- l’interno della scienza medica e del suo utilizzo in ambito legale solo pochi anni dopo).

In uno studio pubblicato nel 1982, le ragioni del complessivo calo di interesse nella pratica dell’autopsia sono così riassunte:

The limitations of the autopsy in achieving these stated objectives may arise as a consequence of national disinterest in the purposeful and ima- ginative exploration of its potential utility and of failing to understand more precisely the factors underlying the selection of patients for post- mortem examination. The unknown selection factors preclude the ge- neralizability of our observations as a measure of the accuracy of certifi- cation in hospitalized and nonhospitalized deaths that do not come to autopsy. (Schottenfeld 1982, 788)

Sono anche altri i fattori che determinano una graduale scomparsa del- l’autopsia in quanto pratica scientifica diffusa. Se fino agli anni ’60 era

stata la finanza pubblica a occuparsi delle spese mediche, la progressi- va scomparsa dello stato dalla gestione delle pratiche mediche deter- mina il completo asservimento del sistema sanitario alle regole del mercato, che, essendo per loro natura fondate su un meccanismo di costi e benefici, rendono l’autopsia una delle pratiche meno remunera- tive, per la quale è generalmente previsto nient’altro che un rimborso dei costi sostenuti, senza nessun guadagno ulteriore per gli ospedali e

le strutture mediche che se ne fanno carico.6

C’è, infine, un altro elemento di cui tenere conto nella lettura di queste complesse e spesso non immediatamente visibili trasformazioni che si producono nelle tecnologie (mediche e giuridiche) della morte negli Stati Uniti tra gli anni ’80 e gli anni ’90, ed è l’aspetto culturale e simbolico legato all’autopsia, per certi tratti perfino indipendente dal- le concrete questioni economiche e sociali a essa correlate. L’autopsia, infatti, è stata a lungo percepita come il “great democratizer” della scienza medica, la fase in cui i corpi erano restituiti a una originaria materialità indifferenziata e non marcata sul piano di una qualsivoglia forma di individuazione: “For the pathologist, the patient has a name, a date of birth and death, and a medical history; knowing more than that is often counterproductive” (Quigley 1996, 116). Il calo subitaneo delle pratiche autoptiche è, per certi aspetti, la spia di una necessità, evidentemente prima avvertita in misura notevolmente inferiore, di differenziare le tipologie di morte e la natura dei cadaveri, introducen- do criteri che hanno a che fare con le cause del decesso e con l’identifi- cazione del corpo in base a connotazioni di razza, classe, genere e orientamento sessuale, che in questi anni stanno acquisendo un peso notevole.

Questo discorso diventa immediatamente comprensibile se si pen- sa, d’altra parte, che non è solo il sempre più limitato ricorso all’auto- psia a rivelare, negli anni ’80, una trasformazione rilevante nell’atteg- giamento della società americana nei confronti della morte e dei cada- veri, della loro utilizzabilità a fini medici, e delle modalità con le quali essi vengono trattati. Infatti, in seguito all’esplosione della crisi del- l’AIDS proprio in questi anni, le imprese funebri cominciano a solleva- re riserve talvolta molto forti sulle pratiche mortuarie da riservare a quanti siano deceduti per malattie generate dall’AIDS. Dal punto di vista culturale, l’emergenza AIDS ha prodotto una vera rivoluzione al- l’interno della tradizionale immagine che l’industria funeraria statuni- tense ha da sempre cercato di riservare al cadavere. In passato tutti gli accorgimenti e le cure riservate al corpo morto hanno mirato a rimuo- vere quanto più possibile l’evidenza della morte, attraverso un’opera di meticolosa cura chirurgica e cosmetica dei cadaveri, tale da trasfor- marli in oggetti privi di ogni connotazione lugubre e luttuosa, dotan- doli, al contrario, di una gradevolezza e accettabilità sul piano visivo, e

conseguentemente simbolico. Al contrario, la paranoia collettiva pro- dotta dal fenomeno AIDS e dagli innumerevoli e quasi sempre ingiu- stificati allarmismi che ne sono conseguiti ha fatto in modo che la peri- colosità del corpo morto sia percepita in maniera sempre crescente, tanto da produrre un aumento delle richieste di cremazione, evento abbastanza insolito nella storia delle pratiche funebri statunitensi. Gary Laderman riassume in maniera assai efficace il rapporto tra la questione dell’AIDS, le pratiche funebri, e le ripercussioni sulla perce- zione culturale e simbolica del fenomeno, così come si caratterizzano nella società americana degli anni ’80:

some morticians refused to work on bodies – often young, horribly disfi- gured bodies […] Individuals suspected or known to have died of AIDS were singled out by many within the industry as potentially harmful source of the deadly contagion and, coupled with common association between the disease and homosexuality, social contamination. (Lader- man 2003, 143)

In senso lato, la diffusione di un nuovo atteggiamento da parte della scienza medica si traduce in una nuova epistemologia del cadavere. At- traverso una progressiva trasformazione delle pratiche mediche e giu- ridiche, il corpo morto perde progressivamente il ruolo di testimone autorevole e indiscusso della verità scientifica, prerogativa che aveva acquisito nei secoli precedenti e che ne aveva caratterizzato, in termini simbolici, una funzione predominante all’interno dell’immaginario co- mune. Gradualmente, infatti, esso diventa un oggetto eccedente e su- perfluo, che la scienza tende a considerare sempre più inessenziale ai fini del proprio avanzamento, e che l’immaginario comune rigetta in quanto potenziale minaccia per la salute pubblica e per l’incolumità morale, oltre che fisica, dell’intera popolazione. Il potenziale signifi- cante del cadavere cessa di essere un mezzo di conoscenza privilegiato per la medicina, per ridursi a semplice scarto del quale sbarazzarsi in maniera rapida e quanto più possibile asettica. A conferma ulteriore di una trasformazione parallela occorsa anche sul piano dell’immaginario comune, è proprio in questi anni che le pratiche funerarie alternative

alla tradizionale sepoltura cominciano a essere sempre più richieste.7

In pochi anni si compie un fenomeno che può essere definito di pri- vatizzazione della morte. Da evento che godeva di una certa risonanza pubblica, sia per la visibilità che, nella tradizione funeraria americana, i cadaveri hanno sempre avuto, sia per la loro utilizzabilità in un di- scorso esterno alla dimensione esclusivamente domestica, come quello medico e giuridico, la morte si trasforma in un evento intimo, al quale solo i congiunti prendono parte, cessando, sostanzialmente, di essere

che più si sono occupati della morte e delle pratiche a essa connesse, scriveva: “Americans are very willing to transform death, to put make- up on it, to sublimate it, but they do not want to make it disappear” (Ariès 1974, 100); trent’anni dopo, in un saggio sulla legislazione con- tro la necrofilia negli Stati Uniti, John Troyer invece argomenta: “The corpse, as it exists within US statutes, is both an exceptional and ex- ceptionally ignored juridico-biological monster, a monster of both na- ture (its decomposing realities) and of people (the law)” (Troyer 2008, 147). Il passaggio da feticcio a mostro sembra sancire uno slittamento compiuto dell’utilizzabilità del cadavere in quanto oggetto codificato all’interno di un sistema simbolico chiuso, che segna la sua fine in quanto dispositivo di conoscenza e il suo possibile riutilizzo come stru- mento ammonitore di indicizzazione statistica e tassonomica, finalizza- to non tanto ad accrescere le conoscenze scientifiche sulla fisiologia umana, quanto a realizzare una completa e dettagliata schedatura so- ciale, a scopi puramente repressivi e profilattici.

American Psycho, inserendosi nel vivo di queste profonde trasforma-

zioni che caratterizzano la cultura della morte negli Stati Uniti, consen- te di individuare i costrutti nei quali, in termini di semiosi e di significa- zione, si traduce la mostruosità del cadavere di cui parla John Troyer, che ne evidenzia l’anomalia costitutiva dal punto di vista giuridico. La lenta trasformazione dello status simbolico del cadavere mette in luce il suo ruolo di oggetto residuale che, eroso di buona parte del suo surplus sovrasignificante, è riconfigurato, nelle pratiche discorsive nelle quali si inserisce, come luogo metaforico ormai esausto, impossibilitato a rea- lizzare appieno il suo potenziale simbolico proprio a causa dei muta- menti che si stanno producendo in questi anni all’interno della scienza medica e delle sue ripercussioni e concause sociali e giuridiche.

3.3. LA STORIA CHE MUORE. IL CASO DI AMERICAN PSYCHO