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Preferiamo affrontare questo momento conclusivo riproponendo la motivazione che ci ha spinto ad iniziare questo percorso che era rappresentata dalla convinzione sempre più radicata che determinate periferie metropolitane dessero luogo a una nuova tensione tra globalizzazione e localizzazione che non poteva essere compiutamente spiegata nei termini più consuetudinariamente concepiti di contrapposizione o talvolta integrazione di due processi sociali opposti: l‟uno lanciato verso la rottura dei confini economici, culturali e spaziali di una struttura sociale basata sulle vecchie gerarchie degli stati-nazione e nell‟inglobamento del mondo tecnologico, l‟altro rappresentato da forme di attaccamento e recupero di tradizioni culturali e sistemi sociali che sembrano celare la paura di una nuova identità globale.

Il nostro approccio al tema, alla luce dei nuovi conflitti urbani e dell‟affermazione, più che negazione, di una specifica identità territoriale delle periferie metropolitane odierne tende progressivamente ad accostarsi al pensiero di teorici come Enzo Scandurra, che, nell‟ambito dei propri studi sulle periferie, ha riconosciuto in esse “il volto vero delle nuove metropoli contemporanee; non il loro lato in ombra, non la loro parte ancora da qualificare (come sostiene una certa urbanistica nostalgica e inutilmente riformista), ma l‟anima vera delle città del XXI secolo, dove avvengono episodi di cronaca che diventano le nuove rappresentazioni simboliche dell‟epoca, dove si insediano le nuove cattedrali del consumo, dove persino gli stili di vita si diffondono da qui verso il centro”127.

La riscoperta dell‟esistenza di condizioni ambientali come la residenzialità, la stanzialità, la comunitarietà di alcuni spazi urbani studiati e l‟interesse alla base di questa ricerca che ci ha spinto proprio a verificarne la sussistenza in altre aree metropolitane, non è stata da me vissuta come un percorso a ritroso nel tempo e nello studio sociologico, ma come il tentativo di comprendere come questi fattori si mettessero in relazione tra loro e con altre realtà della vita urbana periferica dando vita a nuove entità urbane.

127 E.Scandurra, G.Caldiron, M.Ilardi, “La democrazia oltre il raccordo anulare”, sezione “Culture”,

In questo percorso di ricerca l‟incontro con tre realtà periferiche di Roma, Milano e Parigi ha arricchito senza dubbio le mie conoscenze offrendomi alcuni spunti di riflessione.

Se uno dei primi interrogativi di questa ricerca era quello di verificare se nei quartieri analizzati persistesse un vissuto comunitario tra gli abitanti, la risposta a questo quesito sembra confermare la sussistenza di forme di coesione sociale esistenti in condizioni di residenzialità comune, di stanzialità di lunga permanenza, di consuetudinarietà dei rapporti di vicinato, di presenza di legami solidali accompagnata all‟esistenza di rapporti conflittuali tra collettività, gruppi e singole persone in tutti i territori analizzati.

Certamente, ognuna di queste condizioni si manifesta con modalità e per motivazioni diverse a secondo del territorio analizzato.

La condizione di residenzialità comune sembra essere stata una strada obbligata per le popolazioni di tutti i casi, o per via dell‟assegnazione di un alloggio pubblico, in particolare nei casi di Clichy Sous Bois e Tor Bella Monaca, o per motivi di grave disagio abitativo che hanno portato migliaia di persone ad investire le proprie risorse economiche in alloggi economicamente accessibili per via delle gravi condizioni di degrado in cui si trovavano, nel caso di Milano.

Cosi come la stanzialità degli abitanti è in certi casi dovuta alle difficoltà di spostamento, ci riferiamo in particolare al caso di Parigi e quello di Roma, o a un doppio legame con il territorio, abitativo e lavorativo, come può essere per il caso di Milano.

Alla stessa stregua, i rapporti conflittuali tra gli abitanti si manifestano sia attraverso lotte di potere tra bande basate sull‟appartenenza etnica o territoriale, fenomeno esistente in tutti e tre i casi analizzati, sia attraverso il rifiuto di una reciproca diversità culturale tra due collettività locali, come nel caso di Milano, sia attraverso forme di prevaricazione tra singoli e piccoli gruppi e tra singole persone, come nel caso di Tor Bella Monaca.

Anche l‟ipotesi di fondo di questa ricerca sembra aver trovato una riposta affermativa potendosi constatare dall‟analisi dei dati raccolti che in tutti e tre i casi è esistito un processo di coesione sociale basato sulla comune appartenenza a un luogo. Gli approfondimenti storici, biografici e l‟analisi delle relazioni sociali esistenti nei contesti studiati, mi hanno aiutata ad individuare gli aspetti di vita che hanno contribuito a creare queste forme di forte attaccamento al territorio.

A mio avviso alla base di questo processo vanno individuati due soggetti principali: gli abitanti e il territorio128, l‟interrelazione attiva e passiva di questi due soggetti nella formazione di una società locale da luogo a un connubio di vissuti, rappresentazioni e reciproche contaminazioni.

Il territorio, come supposto in precedenza, rappresenta una “trappola di esclusione”129

, soprattutto nella fase iniziale di insediamento di una popolazione locale.

Ciononostante, si è avuto modo di constatare come molteplici processi che conseguono alla segregazione territoriale restituiscano a questo luogo ulteriori valori. Così, la stanzialità degli stili di vita porta con sé la creazione di spazi sociali, di relazioni assidue e costanti, di un ricco bagaglio di esperienze di vita vissute nel territorio.

Da qui derivano le osservazioni dell‟abitante “z” che parlando di Tor Bella Monaca la definisce “una famiglia allargatissima”, e quella dell‟abitante di Via Padova che parlando del Parco Trotter riferisce “qui si crea una dimensione simile al paese, dove quello conosce l‟altro che ti può aiutare, e le pagine gialle di Milano non servono più”.

Sempre di questo contesto esperienziale fanno parte i ricordi degli abitanti di più antica residenza di Via Padova che del territorio hanno interiorizzato le rappresentazioni sociali ad esso correlate nel passato e il ruolo assunto dai propri genitori e parenti più lontani nei processi di attivazione spontanea della cittadinanza locale.

Ulteriori forme di attaccamento vengono rafforzate dalla conformazione stessa del territorio.

Il suo isolamento spaziale, il suo stato di degrado, la carenza di servizi e infrastrutture, sono condizioni che hanno motivato gli abitanti in più circostanze storiche a dar vita ad iniziative di lotta per la rivendicazione dei diritti abitativi, civili, sanitari e a stabilire relazioni di mutuo aiuto tra vicini di casa e comunità territoriale in generale, per sopperire alla mancanza di generi e servizi di prima necessità; come risulta dalle testimonianze degli abitanti di Tor Bella Monaca e di Clichy Sous Bois.

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A cui restituiamo una valenza soggettiva che chiaramente rappresenta solo il risultato di una proiezione agita dalla società, dai politici e dagli abitanti stessi.

Anche i frequenti stati di emergenza che le popolazioni locali vivono contribuiscono a rafforzare sentimenti di solidarietà tra gli abitanti e di attaccamento al territorio: il progetto di abbattimento del quartiere di Tor Bella Monaca previsto per il 2012, il coprifuoco durato quattro mesi e mezzo presso il quartiere di Via Padova nei mesi consecutivi agli scontri di Febbraio130.

In questi contesti vengono ad evidenziarsi quei “processi di identificazione affettiva con il luogo” dove “ci si sente parte di una comunità spazialmente definita” e “affettivamente coinvolti con le vicende che la riguardano” rimanendo “colpiti positivamente o negativamente dai giudizi che vengono espressi a suo riguardo”131. Accertato che il territorio rappresenta per tutti i casi analizzati una forma di identità collettiva, possiamo ora chiederci se questo fenomeno risulti in qualche maniera correlato o abbia assunto un ruolo nei movimenti di rivolta e nelle iniziative di autopromozione del quartiere.

Prima di approfondire questa questione è opportuno premettere che la constatazione dell‟esistenza di un‟identità collettiva basata sull‟appartenenza territoriale non ha escluso la sua coesistenza con altre fonti di senso e di riconoscimento sociale.

L‟autoidentificazione degli abitanti in diverse forme di minoranze discriminate è un vissuto che è stato riscontrato in tutti i territori analizzati.

Inoltre, l‟affermazione di più forme di identità collettive non è mai risultata l‟unico processo sociale esistente, presentandosi di frequente realtà territoriali caratterizzate anche da forme anomiche di vita - ricordiamo il caso del gruppo di stranieri emarginati di Clichy Sous Bois - o di diffuse forme di individualizzazione e precarizzazione dei percorsi lavorativi, che riguarda tutti i casi analizzati, che testimoniano la copresenza di dimensioni di vita disgreganti ed aggreganti.

Premesso ciò, per comprendere se la dimensione territoriale avesse ricoperto un ruolo negli episodi di rivolta e nelle iniziative della cittadinanza abbiamo compreso che questo aspetto andava associato alle forme di auto identificazione degli abitanti in minoranze discriminate.

Come abbiamo fatto presente nell‟ambito di riflessioni presentate precedentemente, i beneficiari dell‟assegnazione di alloggi pubblici e i destinatari di commerci

130 Il Sindaco di Milano, a seguito delle rivolte di Febbraio, nel mese di Marzo 2010, ha emesso un

provvedimento urgente che riguardava la chiusura anticipata dei servizi commerciali del quartiere associato a un ordinanza di presidio di numerose unità mobili di Polizia lungo la via principale.

immobiliari basati sulla locazione di abitazioni fatiscenti in territori degradati rappresentano categorie sociali frequentemente stigmatizzate.

Ci stiamo riferendo ai cittadini extracomunitari, ai tossicodipendenti, ai portatori di handicap, alle ragazze madri, ai senza fissa dimora, agli ex-detenuti, agli indigenti. L‟appartenenza a queste minoranze è spesso accompagnata da un vissuto soggettivo di discriminazione sia in ambiti lavorativi che sociali.

Le popolazioni dei territori analizzati sono prevalentemente rappresentate da queste categorie di individui; lo stigma e la discriminazione sono vissuti che spesso segnano le loro esperienze sociali nel corso di tutta la loro esistenza.

Abbiamo rilevato che l‟appartenenza a minoranze discriminate o in certi casi a categorie “invisibili” è un vissuto centrale nelle dinamiche di scontro con le Forze dell‟Ordine, negli episodi di rivolta e nelle iniziative di cittadinanza attiva se non, in buona parte dei casi, la motivazione principale alla base di queste iniziative.

Insieme a questa constatazione si è compreso che l‟appartenenza a luoghi degradati costituisce essa stessa un motivo di discriminazione che non fa che rafforzare e contribuire a costruire un complesso stato di disagio che vivono molti abitanti delle periferie analizzate.

Lo stato di abbandono, di degrado, il senso di insicurezza che nel degrado stesso di questi luoghi trova una delle ragioni originarie della sua esistenza132, l‟isolamento spaziale dell‟area, la presenza di agglomerati urbanistici fatiscenti, sono caratteristiche che rendono un territorio indesiderabile, pauroso, sgradevole.

L‟insieme di percezioni negative e di reazioni di allontanamento da territori degradati farebbero davvero pensare a processi di “stigmatizzazione” a loro correlati se questi enti di ordine fisico fossero animati.

Ciononostante, possiamo ritenere che la stretta correlazione tra minoranze discriminate e territori degradati da vita a una vera e propria forma di „stigmatizzazione territoriale‟133

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Il territorio abbandonato e i suoi abitanti diventano un unico oggetto di discriminazione, nell‟ambito del quale riesce difficile scindere dove si colloca lo stigma originario, e l’impressione è che la marcata differenziazione spaziale dei

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F. Battistelli, Fabbrica della Sicurezza, FrancoAngeli, Roma, 2008. F. Battistelli, studioso di micro e macro processi di costruzione del senso di insicurezza percepito dagli individui negli spazi simbolici e sociali, ha rilevato che il senso di insicurezza percepito dagli abitanti nei confronti di determinati contesti urbani spesso deriva dall‟associazione di percezioni negative legate a: lo stato di degrado degli spazi esterni di un quartiere, il timore di aggressioni, manifestazioni di inciviltà ambientale.

133Per maggiori approfondimenti sui processi di stigmatizzazione territoriale : A. Mela. 2006, Sociologia

diversi strati sociali nelle città metropolitane odierne sembra quasi portare a far prevalere la provenienza territoriale come criterio di discrimine più che l’appartenenza ad una certa categoria sociale.

Prevedibilmente, se la società tende a identificare i territori degradati con i suoi abitanti a questo processo consegue uno stretto legame percepito dall‟abitante con il territorio in cui vive.

Il desiderio di rimarcare la presenza di spazi verdi da parte degli abitanti di Tor Bella Monaca, di sottolineare la presenza di parchi e strutture pedagogiche storicamente celebri da parte degli abitanti di Milano, il sentimento di orgoglio manifestato nel dichiarare la propria appartenenza a questi luoghi, sono manifestazioni di difesa dell‟immagine di un luogo a cui si è legati affettivamente.

Alla luce di queste considerazioni, non sorprendono le iniziative di promozione sociale per un‟immagine più positiva del quartiere realizzate dagli abitanti di Via Padova (“Via Padova è meglio di Milano”), le manifestazioni di solidarietà espresse dai ragazzi di Seine Saint Denis nei confronti dei giovani morti a Clichy Sous Bois “ loro provengono dalle citè, quindi, anche se non li conosciamo, sappiamo che sono ragazzi come noi” o gli affronti dei giovani di Tor Bella Monaca agli agenti municipali “..qui voi non siete nulla”.

Una volta compreso questo processo, è risultato difficile distinguere i singoli motivi che hanno portato le popolazioni di questi territori a mobilitarsi o ribellarsi, più congruo ci è sembrato credere che l‟insieme di disagi legati a vissuti stigmatizzanti, in circostanze e momenti storici determinati, abbiano dato luogo a reazioni di scontento o iniziative di cambiamento.