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Tecnologie utilizzate per la produzione di rivestimenti PVD Arco catodico

Il sistema di deposizione tramite arco catodico è stato sviluppato negli anni ’70 in Unione Sovietica, ma le sue origini sono molto più antiche. Il primo articolo pubblicato sugli archi catodici, è di Arthur Wright, negli anni ’70 dell’ottocento. Wright fu uno dei primi tre Ph.D. in scienze degli Stati Uniti, al college di Yale, e studiò con il primo professore di scienze statunitense, prof. Sloan. Wright collegò un generatore a scintilla a una coppia di elettrodi in un tubo in vuoto, e notò la formazione di un film vicino al catodo, di cui studiò anche le proprietà ottiche. Nel 1882 Thomas Edison richiese già un brevetto per la deposizione da arco catodico in vuoto. Edison non era al corrente del lavoro di Wright, che fu riscoperto dal personale dell’ufficio brevetti deputato alla verifica della richiesta. Edison fu costretto, dato il lavoro di Wright, a brevettare solo l’arco continuo e non il pulsato. Intento di Edison era già l’uso dei rivestimenti prodotti dall’arco per ricoprire gli stampi master dei tubi rivestiti di cera dei fonogrammi (il primo sistema di registrazione dei suoni, altro brevetto di Edison). Il proposito di Edison, che è stato reso realtà solo molti decenni dopo per altre applicazioni, era di prendere un o di questi tubi rivestiti di cera con inciso il fonogramma che si voleva riprodurre, usare la tecnologia dell’arco per depositare uno strato di rame perfettamente conforme con lo strato di cera, e poi usare tecniche di deposizione elettrochimica per ispessire lo strato metallico. A quel punto con un piccolo riscaldamento sarebbe stato possibile fondere via la cera e sarebbe rimasto lo stampo per i fonogrammi. Edison non riuscì a realizzare i suoi propositi, e questa tecnologia rimase una curiosità di laboratorio sconosciuta ai più fino agli anni ’60 del novecento, quando al Tokyo Institute of Technology fu ripreso il lavoro di Edison, con però otto decadi di sviluppo scientifico-tecnologico di differenza; in particolar modo il know-how sviluppato per la tecnologia delle valvole termoioniche , dei tubi a raggi catodici e dei sistemi di distribuzione dell’energia elettrica. Ma la prima implementazione industriale dell’arco catodico come detto fu un decennio dopo in Unione Sovietica, i cui ricercatori svilupparono indipendentemente la tecnologia senza conoscere i risultati scientifici passati.

Definizione di arco catodico

L’arco catodico è una scarica elettrica a bassa tensione e grande corrente tra due elettrodi in un ambiente a bassa pressione, medio-alto vuoto. Il vuoto di per sé non supporta una scarica di alta corrente e bassa tensione (limiti di carica spaziale) ma il mezzo conduttore nell’arco catodico è il metallo ionizzato del materiale del catodo vaporizzato. Una migliore definizione di questo fenomeno potrebbe chiamarsi “arco di vapori metallici creato in vuoto”.

Normalmente se l’arco ha una corrente complessiva inferiore a qualche kA, la produzione di plasma è limitata a un punto solo, noto come spot catodico. Questo spot estremamente luminoso è il marchio di questa tecnologia ed è l’aspetto scientificamente più studiato. Questa concentrazione di potenza elettrica, temperatura e carica permette la creazione dello spot di plasma che altrimenti sarebbe impossibile se la corrente fosse diffusa su tutto l’elettrodo.

102 Impianto sovietico tipo “Bulat” (in alto) e particolare del catodo (in basso)

103 Il plasma di vapori metallici prodotto è quasi del tutto ionizzato, con la presenza di ioni molteplicemente carichi (sono documentati valori significativi di ioni anche sei volte ionizzati, specie se si usano catodi di metalli refrattari). Gli ioni sono molto energetici, con energie comprese tra 50 e 150 eV, pur essendoci solo 20 V di caduta di potenziale tra gli elettrodi, emergendo dal catodo con una velocità di circa 10 km/s . Questa tecnica è anche efficiente. Infatti più del 10% della corrente (e quindi della potenza) che i generatori sostengono è il flusso di ioni del getto di plasma che poi produce il rivestimento. Il plasma è emesso in tutte le direzioni, e una frazione che dipende dalla geometria e posizione relativa degli elettrodi raggiunge l’anodo chiudendo il circuito. Scegliendo opportunamente i parametri è possibile produrre vaporizzazione dell’anodo, producendo il cosiddetto arco anodico.

La produzione di questi archi richiede certi accorgimenti tecnologici: il vuoto è un isolante elettrico, quindi per iniziare l’arco vanno presi opportuni accorgimenti: si può usare un impulso ad alta tensione, o porre quasi in contatto gli elettrodi con un elettrodo ausiliario ad ago (il trigger), oppure inviare un impulso di plasma o creare artificialmente uno spot di plasma con un impulso laser. Paradossalmente l’apertura del circuito, la soppressione dell’arco, può essere difficoltosa. Allontanare i due elettrodi in vuoto ha tipicamente il solo effetto di allungare l’arco, se questo è presente. Dato che è la corrente che sostiene essa stessa l’arco, lo spegnimento dell’alimentazione o l’uso di un campo magnetico trasverso possono interrompere l’arco per un tempo sufficiente a impedirne il riformarsi.

I vapori di plasma metallico prodotti dall’arco condensano su qualsiasi superficie abbastanza fredda producendo un rivestimento; il flusso intenso, ad alta energia e alta ionizzazione produce tipicamente rivestimenti di alta qualità, utili nelle applicazioni della lavorazione meccanica, come i rivestimenti duri in TiN, CrN o altro che possono allungare anche di 100 volte la vita utile di alcuni utensili da taglio.

L’ignizione degli archi

Nello studio della tecnologia dell’’arco catodico si rimane perplessi nel constatare le tensioni ridotte (20-30 V) necessarie per il funzionamento; la causa di questo fenomeno è da ricercarsi nella disomogeneità a scala microscopica delle superfici, che amplifica il fenomeno dell’emissione elettronica a effetto di campo. Questo fenomeno è direttamente collegato al cosiddetto “potere delle punte”. Quando si ha una superficie con un raggio di curvatura molto basso (punta aguzza) il campo elettrico sulla superficie può raggiungere localmente valori molto elevati; si può dire che il problema è che la capacità elettrica locale è molto piccola. In questi casi anche piccole differenze di potenziale possono creare campi elettrici sufficientemente elevati da favorire l’espulsione di elettroni dalla superficie. Sulla superficie del catodo ci sono localmente asperità che emettono elettroni e chiudono il circuito, favorendo la nascita dell’arco. Infatti benché queste correnti sono piccole, le aree interessate dal fenomeno sono così limitate che la potenza elettrica per unità di superficie è elevata, generando vaporizzazione e ionizzazione del materiale del catodo.

Dal punto di vista strumentale, per utilizzare questo effetto in modo controllato e accendere l’arco a volontà sono necessari degli artifici tecnici specifici; I più diffusi sono:

104 1. L’arco da contatto;

2. L’arco da filo sacrificale; 3. L’arco acceso con un trigger; 4. L’arco acceso via laser.

Nel primo caso, gli elettrodi sono posti a contatto, corrente viene fatta passare, e poi vengono allontanati; concettualmente è il più semplice ma è il meno usato, sia per la necessità di supporti mobili per gli elettrodi nella camera da vuoto, sia per il rischio di fusione tra gli elettrodi quando, posti in contatto, viene fatta scorrere la corrente.

Nel secondo metodo, un filo sottile collega i due elettrodi, e quando viene fatta passare corrente questo filo vaporizza e crea l’arco iniziale di vapori metallici che poi si autosostiene. E’ lo stesso principio del fusibile, ma dove l’interesse era quello di aprire il circuito, qui è di chiuderlo. Questo sistema è scomodo se si prevedono frequenti accensioni e spegnimenti e non è praticamente usato industrialmente.

Il terzo metodo, molto diffuso in macchine commerciali, prevede l’uso di un terzo elettrodo, vicino al catodo (ma senza toccarlo, con un gap tra le superfici) che viene alimentato con un impulso a una tensione elevata, qualche centinaio di Volt a seconda della geometria degli elettrodi, formando un arco iniziale che fa da seme all’arco principale. E’ un sistema molto usato perché non richiede parti in movimento nel sistema da vuoto, il costo del generatore dell’impulso elettrico di accensione è contenuto, ed è affidabile e ripetibile nel comportamento.

Il quarto metodo è semplice concettualmente, ma piuttosto costoso per via dell’uso del laser. Prevede l’uso di impulsi laser della potenza di 10E+8 W/cm2 per accendere spot di plasma metallico. A queste potenze l’accensione è affidabile, aldilà delle condizioni e dal materiale usato per il target (Laser U.V. possono generare fotoelettroni). E’ usato prevalentemente in attrezzature da laboratorio.

Rivestimenti producibili con l’arco catodico

L’evaporazione mediante arco catodico è uno strumento pratico molto usato industrialmente per la deposizione di rivestimenti metallici e ceramici. Le proprietà del film possono essere controllate ponendo ad alta tensione negativa il substrato da rivestire, accelerando così gli ioni del plasma metallico prodotto. La deposizione di film sottili mediante arco catodico è usata industrialmente per la produzione di rivestimenti protettivi antiusura in nitruri come il Ti, il CrN, il TiAlN o l’AlCrN. L’uso di catodi in carbonio permette la deposizione del cosiddetto carbonio tetragonale amorfo, Ta-C, con una durezza 80% del diamante. Il principale difetto di questa tecnologia è la copiosa produzione di macroparticelle, oltre un milione per joule di energia utilizzata. Esistono schemi di archi cosiddetti filtrati che permettono di separare macroparticelle e plasma e impiegare solo quest’ultimo nella deposizione con ottimi risultati; tuttavia la riduzione del tasso di deposizione è così grande (anche 90%) che industrialmente è molto raro trovarlo.

La tecnologia dell’arco catodico è stata impiegata con successo per la deposizione di film metallici monocristallini di Tungsteno e rivestimenti di Niobio superconduttivo. Con successo è stata effettuata anche la deposizione di acciaio inossidabile. Se la deposizione di ossidi con l’arco catodico è stata solo parzialmente di successo, sono i film di nitruri che con la loro qualità hanno

105 assicurato un futuro a questa tecnologia. Il primo nitruro di successo commerciale è stato il TiN, grazie alla sua durezza, elevata temperatura di fusione, bassa resistenza elettrica e struttura cristallina FCC. E’ molto utilizzato nell’utensileria da taglio. Il suo colore oro lo rende anche utile come rivestimento decorativo. Il grande range di pressioni, temperature e composizioni dei gas in camera di processo che producono un buon TiN fa si che la quantità di materiale rivestito inaccettabile per la commercializzazione sia basso. Sono stati inoltre sviluppati composti ternari costituiti da combinazioni di Ti, Al, V o Cr e N. In tutti i casi i rivestimenti utili sono quelli che hanno la struttura FCC. Altri composti depositati sono il TiC e il TiCN, il ZrN e in particolare il CrN, che ha maggior resistenza all’ossidazione del TiN, un gradevole color Argento, e la proprietà di crescere con bassi stress intrinseci, permettendo la produzione dei film PVD più spessi.

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Magnetron sputtering

Lo sputtering è l’effetto di eiezione di atomi dalla superficie di un solido o di un liquido causato dall’impatto su questa di particelle energetiche. Tali particelle sono solitamente ioni positivi di un un gas nobile (solitamente) o nobile misto ad altro gas. Il fatto che le particelle siano energetiche significa che sono dotate di una certa energia cinetica ⁄ che dipende dalla massa della particella e dalla velocità della particella incidente la superficie che subisce sputtering, conferita in vario modo alla particella dall’esterno (spesso la particella viene accelerata in un campo elettrico opportuno).

Il fenomeno dello sputtering dipende in maniera imprescindibile dalla energia cinetica delle particelle incidenti la superficie dal momento che lo sputtering può avvenire solo se tale energia cinetica è superiore a quella di legame tra gli atomi costituenti lo strato superficiale del solido bombardato. Se l’urto rispetta questa condizione allora ha luogo l’espulsione di uno o più atomi dalle posizioni reticolari in cui sono posti. Viene dunque danneggiata la superficie del solido e macroscopicamente il risultato è l’erosione della superficie. L’energia di legame che deve essere superata nell’urto tra le particelle proiettile e la superficie bersaglio è la “threshold energy” (energia di soglia) del processo di sputtering e al di sotto di questa possono avvenire altri effetti quali che fisisorzione e chemisorzione ma non l’espulsione degli atomi dalla superficie colpita. Ad energie cinetiche delle particelle incidenti abbastanza più alte dell’energia di soglia per lo sputtering, superiori rispetto a questa di circa 4 volte (quindi 4 volte il calore di sublimazione del materiale bersaglio) l’eiezione di atomi da parte della superficie coinvolge molti atomi dalla superficie del solido (vero e proprio effetto di sputtering) e l’effetto macroscopico è la sublimazione del solido. Il solido bersaglio del bombardamento da parte degli ioni è detto target.

La massa delle specie bombardanti è importante per il momento e l’energia trasferiti agli atomi del film durante la collisione. Dalla legge di conservazione dell’energia e della conservazione della

107 quantità di moto , l’energia Et trasferita (t=target) mediante la collisione fisica tra sfere idealmente

rigide è data da:

( ) {

La massima energia, a parità di energia cinetica della particella incidente, viene trasferita alla particella bersaglio quando l’angolo di incidenza è nullo ed . Dato che quasi mai capita che le masse degli ioni bombardati e degli atomi bersaglio siano uguali, accoppiare opportunamente la massa atomica dello ione bombardante con quella del bombardato è importante per la resa di sputtering. Atomi di elementi pesanti, qualitativamente parlando, hanno bisogno di ioni di atomi più pesanti (massa atomica maggiore) perché avvenga sputtering più facilmente. Per completamento del discorso si ritiene necessario riportare la massa atomica di alcuni elementi di interesse nel seguito: Ar (40 a.m.u.), O (16 a.m.u.), N (14 a.m.u.), Al (27 a.m.u.), Cr (52 a.m.u.), Ti (48 a.m.u.).

Il processo di sputtering descritto è definito come processo di evaporazione per via meccanica e non termica giacchè la superficie del target passa in fase gassosa attraverso un processo meccanico di urto tra particelle cariche ed atomi a mezzo del trasferimento di quantità di moto (momento) tra le prime e i secondi e non a mezzo di fornitura di calore dall’esterno per contatto o irraggiamento (come invece avviene nel processo di evaporazione termica) e non sfrutta l’energia di impatto di un fascio di elettroni o l’energia associata all’arco elettrico. Non esiste il passaggio attraverso la fase liquida e quindi si dovrebbe parlare, a rigore, di sublimazione anziché di evaporazione.

Il fatto che lo sputtering sia un processo non termico non significa che il solido bombardato non venga scaldato durante il bombardamento ionico. Questo subisce sicuramente un riscaldamento ma minore che nel caso del riscaldamento convenzionale per via del fatto che parte dell’energia degli ioni incidenti è spesa per accelerare gli atomi lontano dalla superficie del target dalla quale sono espulsi. La restante parte, sostanzialmente, è dissipata in calore in ultima analisi.

Lo sputtering è un effetto molto interessante per una lavorazione industriale di superfici di molti materiali, metallici e non, dal momento che è sfruttabile per:

 pulire le superfici dei materiali da sostanze residuali da lavorazioni tecnologiche precedenti (ion scrubbing). Queste sostanze spesso sono funzionali a certe lavorazioni ma sono indesiderate per lavorazioni successive (esempio: olio che rimane sull’acciao temprato in olio, distaccanti che rimangono sulle superfici di pezzi pressofusi, decapaggio con acidi per eliminare gli ossidi di acciai laminati a caldo, ecc). Per la loro rimozione tradizionalmente vengono usate sostanze chimiche detergenti o chimicamente aggressive. Lo sputtering ha

108 la possibilità di porsi come alternativa per la pulizia di superfici funzionali di alcuni materiali riducendo il problema dello smaltimento delle sostanze inquinanti;

 provocare l’evaporazione di un materiale target che si desidera depositare come rivestimento sulla superficie (substrato) di un altro materiale di interesse (sputtering deposition). E’ possibile fare evaporare per mezzo dello sputtering anche materiali per cui è difficile l’evaporazione convenzionale (metalli che hanno alta temperatura di fusione come il titanio e il tungsteno o materiali ceramici per esempio);

 promuovere l’adesione su superfici di alcuni materiali a bassa energia superficiale (bassa adesione, quali per esempio i materiali polimerici) nei confronti di rivestimenti o coloranti o trattamenti superficiali protettivi senza dover ricorrere a promotori di adesione di tipo chimico (appretto) o riducendone la quantità utilizzata.

Ruolo della scarica a bagliore e degli sheaths

Il problema principale per alimentare e rendere continuativo il fenomeno dello sputtering e dunque poterlo sfruttare in una lavorazione di rivestimento e/o di trattamento superficiale di alcuni materiali, è quello di disporre in qualche modo una sorgente abbondante di ioni a ridosso della superficie del target (superficie del materiale bersaglio) e rendere questa sorgente continuamente ripristinabile (devo cioè fare in modo che la perdita di ioni estratti dal plasma per bombardare la superficie di interesse sia continuamente compensata da creazione di nuovi ioni). Un altro problema, non trascurabile, è disporre di una drag force che permetta l’estrazione degli ioni e la loro accelerazione verso la superficie di interesse.

Per quanto riguarda il primo dei due problemi, una sorgente abbondante e continuativa di ioni per effettuare lo sputtering potrebbe essere fornita in diversi modi. Quello che interessa la lavorazione PVD sputtering è mediante una scarica a bagliore. La scarica a bagliore viene innescata e sostenuta tra due elettrodi piani paralleli affacciati.

Sull’elettrodo catodico, mantenuto a potenziale negativo rispetto a terra, viene alloggiato il target. Il target è solitamente un disco del metallo di cui si vuole ottenere il rivestimento sul substrato dello spessore di 1 cm intimamente in contatto con il piatto catodico di supporto (backing plate). Il piatto di supporto è raffreddato per smaltire il calore prodotto nel target durante il bombardamento ionico.

Sull’elettrodo anodico, connesso a terra e dunque mantenuto a potenziale nullo, viene posta la piastra/barra porta campioni sulla quale vengono fissati i substrati (le superfici sulle quali si vuole effettuare la deposizione del materiale del target).

Gli elettrodi con substrato e target sono posti in un ambiente confinato dall’esterno e a pressione inferiore a quella atmosferica. La camera nella quale avviene la scarica di gas che alimenta il processo di sputtering è detta camera di processo e il gas di lavoro immesso dall’esterno attraverso un alimentatore a portata controllata è detto gas di processo. Può essere un gas nobile oppure un gas nobile misto ad una certa percentuale di altro gas reattivo, quale per esempio ossigeno o azoto o altro ancora. Le pareti della camera di processo sono metalliche e connesse anch’esse al potenziale di terra.

109 La scarica a bagliore viene instaurata con una adeguata differenza di potenziale che tenga conto della distanza tra gli elettrodi e della pressione nella camera di processo ed il sistema di alimentazione provvede al mantenimento stabile della scarica.

La scarica a bagliore tra gli elettrodi individua macroscopicamente tre zone nelle quali avvengono fenomeni diversi.

Dove è possibile identificare il bagliore della scarica, ovvero l’emissione di radiazioni nel campo del visibile, lì avviene la maggior parte delle reazioni che portano alla ionizzazione continua del gas di processo e contemporaneamente di ricombinazione/neutralizzazione con rilascio di fotoni visibili. E’ lì che è localizzato il plasma. Questa zona viene a trovarsi nel mezzo tra anodo e catodo. Il volume del plasma è molto conduttivo e pressoché equipotenziale (il suo potenziale è positivo rispetto a terra data la minore mobilità degli ioni rispetto a quella degli elettroni ed è solitamente dell’ordine di qualche decina di Volt).

Tra la zona dove è localizzato il plasma e gli elettrodi vengono formate due zone scure:

 tra anodo e plasma viene formato il dark space anodico o sheath anodico;

 tra catodo e plasma viene formato il dark space catodico o sheath catodico.

Evidentemente queste due zone non sono interessate dalla ricombinazione e costituiscono vere e proprie zone di separazione tra plasma ed elettrodi. Generalmente lo sheath anodico ha spessore più sottile mentre lo sheath catodico più ampio. Mentre nel plasma molto conduttivo la caduta di potenziale è nulla o pressoché tale, in queste due zone avviene una certa caduta di potenziale tra plasma e anodo e tra plasma e catodo. La differenza di potenziale instaurata tra il plasma e l’anodo coincide con il potenziale di plasma (anodo è a potenziale nullo) ed è molto più bassa della differenza di potenziale che viene ad instaurarsi tra plasma e catodo (catodo a potenziale negativo). Questa seconda quantità è anche detta “self bias voltage”.

La zona interessata dal volume del plasma è una zona in cui coesistono ioni, radicali, elettroni e neutrali del gas di processo e continuamente ioni ed elettroni, per esempio, si ricombinano ed alla stessa velocità vengono ricostruiti. Questa zona è carica generalmente con potenziale positivo, e quindi il plasma in realtà non è volumetricamente neutro ma ha un eccesso di ioni positivi. Si può