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Applicazione analogica della disciplina del conflitto di interessi nel

concordato

Così delineati gli elementi essenziali della disciplina societaria del conflitto di interessi, va adesso verificato se essa possa essere ritenuta compatibile con il procedimento deliberativo sulla proposta di concordato.

Per potere applicare la disciplina dettata dall’art. 2373, 1° comma, c.c. al concordato, occorre innanzitutto individuare un interesse rispetto al quale valutare la conformità del voto del creditore ‘in conflitto’ e, di conseguenza, della deliberazione adottata. Nel caso del concordato, esso si identifica con l’interesse alla realizzazione di una ristrutturazione impren-ditoriale attraverso l’approvazione del piano o nel conseguimento di una minore dispersione di risorse rispetto alla liquidazione fallimentare. Infatti, pur non essendovi nell’ambito qui considerato – come si è provato già a dimostrare – un ente o un soggetto di diritti cui sia imputabile un interesse collettivo, l’attuazione del programma concordatario si colloca pur sempre nella prospettiva dell’attività d’impresa e il procedimento di approvazione della proposta costituisce una fase, eventuale e regolamentata, dell’organiz-zazione imprenditoriale. Nel caso dell’esercizio collettivo dell’attività d’im-presa attraverso l’ente societario e al di fuori della procedura di concordato, gli organi della società (assemblea e organo amministrativo) devono agire in conformità all’interesse sociale (artt. 2373 e 2391 c.c.); quando si avvia il concordato, che traghetta l’impresa societaria attraverso la crisi verso una nuova fase organizzativa, l’organo cui è affidato il potere di incidere sul-le sorti dell’attività (l’adunanza dei creditori), deve operare in conformità all’interesse alla cui realizzazione è orientata la procedura, come selezionato

dal legislatore, dando corso all’approvazione di proposte che, nel rispetto di questo interesse, siano funzionali al superamento della crisi attraverso la realizzazione di una ristrutturazione imprenditoriale ovvero a liquidare il patrimonio aziendale evitando l’apertura del fallimento25.

Applicando la disciplina societaria nell’ambito della procedura concor-suale, si deve poi concludere che, in assenza di una norma che introduca un divieto di voto, non sarebbe legittimo ipotizzare un’esclusione preventiva del relativo diritto del creditore che fosse portatore di un interesse per conto proprio o per conto terzi incompatibile con quello collettivo alla realizza-zione della programmata riorganizzarealizza-zione. Ciò per due ordini di ragioni: in primo luogo perché, prima ancora che i creditori abbiano deliberato sulla proposta di concordato, non è possibile effettuare la c.d. ‘prova di resisten-za’, cioè verificare se il voto del creditore in conflitto sia o meno determi-nante ai fini del raggiungimento delle maggioranze; in secondo luogo, per-ché ciò significherebbe attribuire valenza autonoma alla titolarità da parte del creditore di un interesse incompatibile con quello alla riorganizzazione o alla liquidazione extra-fallimentare, prescindendo dalla verifica in con-creto della sussistenza di un danno, anche solo potenziale, a carico della collettività. Diversamente ragionando, si configurerebbe il conflitto come contrapposizione preesistente ed obiettiva fra interesse collettivo ed interes-se particolare, suscettibile di esinteres-sere desunta da indici formali e situazioni ti-piche. Ma questa impostazione, com’è stato osservato in ambito societario, è entrata in crisi sia sul piano operativo, sia su quello dogmatico26.

Nell’ambito del concordato, infatti, l’art. 177, 4° comma, l. fall., nella parte in cui dispone l’esclusione preventiva «dal voto e dal computo del-le maggioranze» dei soggetti ivi indicati, assume una funzione analoga a quella che, nelle società, riveste l’art. 2368, ult. comma, 2° periodo, c.c. in relazione all’art. 2373, 2° comma, c.c. Il giudice delegato, come il pre-sidente dell’assemblea, può impedire l’esercizio del diritto di voto solo a coloro che rientrano nelle fattispecie tipiche di conflitto (nel concordato: il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, la società

25 Cfr. Cass., SS.UU., 23 gennaio 2013, n. 1521, secondo cui l’«obiettivo di fondo perse-guito dal legislatore [con il concordato] è univocamente e incontestabilmente individua-bile nel superamento dello stato di crisi dell’imprenditore, obiettivo ritenuto meritevole di tutela sotto il duplice aspetto dell’interpretazione della crisi come uno dei possibili e fisiologici esiti della sua attività e della ravvisata opportunità di privilegiare soluzioni di composizione idonee a favorire, per quanto possibile, la conservazione dei valori azienda-li, altrimenti destinati ad un inevitabile quanto inutile depauperamento».

26 Così Guerrera, Abuso del voto e controllo «di correttezza» sul procedimento deliberativo

che controlla la società debitrice, le società da questa controllate e quelle sottoposte a comune controllo, nonché i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta; nelle società: gli ammi-nistratori nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità e i compo-nenti del consiglio di gestione nelle deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza), ma non possono invece escludere dalla votazione il socio o il creditore in conflitto d’inte-ressi o che possa abusare del proprio diritto, dovendosi limitare a verificare la legittimazione formale del votante (che spetta al socio o al creditore in conflitto), ma non anche la liceità della causa del voto o il rispetto di un limite sostanziale al corrispondente potere27.

Anzi, proprio con riferimento al requisito del danno potenziale, se si guarda alla nozione di interesse collettivo dei creditori che si è ipotizzata nel capitolo precedente (cioè di interesse alla loro migliore soddisfazione), si deve concludere che, ogniqualvolta un creditore esprime un voto favo-revole rispetto a una proposta di concordato che ha passato il vaglio di ammissibilità da parte del tribunale, sta in realtà contribuendo alla realiz-zazione di una fattispecie conforme all’interesse collettivo.

Nel caso della deliberazione di concordato, infatti, vi è una differenza sostanziale rispetto alla fattispecie della deliberazione assembleare nelle so-cietà. Mentre nelle società il tribunale è chiamato a verificare l’eventuale invalidità della deliberazione per violazione dell’art. 2373 c.c. e a valutarne gli effetti in termini di idoneità a ledere – anche solo potenzialmente – il patrimonio sociale solo dopo che quest’ultima è stata assunta dall’assem-blea, nel concordato vi è una fase di verifica preventiva della conformità della proposta oggetto di deliberazione al migliore interesse dei creditori. Il tribunale, infatti, nell’ambito del giudizio di ammissione, è chiamato – tra l’altro – a verificare, nel caso di concordato ‘in continuità’, la coerenza in-terna (in termini di fattibilità giuridica) dell’attestazione dell’esperto ai sensi

27 Con riguardo ai poteri del presidente dell’assemblea, cfr. F. Massa Felsani, Il ruolo del

presidente nell’assemblea della s.p.a., Milano 2004, p. 251 e ss.; S. Alagna, Il presidente dell’assemblea nella società per azioni, Milano 2005, p. 149, p. 152; G.A. Rescio, Assemblea e patti parasociali, in N. Abriani et al., Diritto delle società. Manuale breve, Milano 20125, p. 201 e ss.; M. Cian, La deliberazione negativa dell’assemblea nella società per azioni, Torino 2003, p. 136; F. Pasquariello, in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, vol. I, Padova 2004, p. 498 e ss.; prima della riforma, in luogo di molti, Preite, Abuso di

maggioranza …, cit., p. 118 e ss.; per ulteriori riferimenti, vedi anche R. Lener, A. Tucci, L’assemblea nelle società di capitali, in M. Bessone (diretto da), Tratt. di dir. priv., Torino

2000, p. 224, nt. 34; in giurisprudenza, Cass. 5 novembre 2004, n. 21233, in Giur. it., 2005, p. 981; Trib. Milano, 26 giugno 2004, in Corr. giur., 2005, p. 546.

dell’art. 186-bis, 2° comma, lett. b), l. fall., che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di continuità aziendale è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori; nel caso di concordato liquidatorio, «l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponen-te si obbliga ad assicurare a ciascun creditore» (art. 161, 2° comma, lett. d, l. fall), rispetto alla liquidazione fallimentare. Ne deriva che nel concordato – a differenza di quanto accade nelle società – vi è tendenzialmente certezza che, essendo la deliberazione conforme all’interesse collettivo in quanto ha ad oggetto una proposta che consente la realizzazione del «miglior soddi-sfacimento dei creditori», dalla sua adozione, di regola, non può derivare un danno patrimoniale per i creditori, ai quali è garantita, sulla base della verifica che effettivamente la proposta consente la loro migliore soddisfa-zione, la partecipazione al surplus di ricchezza alla cui distribuzione mira la riorganizzazione imprenditoriale o la liquidazione extra-fallimentare.

Dunque, se il vaglio positivo di ammissibilità da parte del tribunale su una proposta di concordato ne implica la (almeno presumibile) conformi-tà all’interesse comune e la mancanza di un danno patrimoniale ai creditori in termini di mancata partecipazione, sul piano collettivo, al surplus di ric-chezza generato dalla riorganizzazione o la liquidazione extra-fallimentare, allora non è possibile ipotizzare che il voto di un creditore, per quanto por-tatore di un interesse a percepire un vantaggio particolare e determinante ai fini dell’adozione della deliberazione, sia idoneo a produrre conseguenze sul piano della validità del voto e, a cascata, della deliberazione.

Sulla base di quanto precede si può dunque affermare che, in caso di approvazione della proposta, è in concreto irrilevante la titolarità in capo ai creditori, per conto proprio o per conto di terzi, di interessi incompatibili con quello collettivo alla realizzazione del piano, perché nel concordato il tribunale è chiamato a verificare ex ante che dalla sua esecuzione non è ra-gionevolmente possibile ipotizzare un danno patrimoniale per i creditori.