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Criteri di individuazione delle fattispecie di esercizio abusivo del voto

voto.

Al fine di individuare i caratteri essenziali della fattispecie dell’esercizio abusivo del diritto di voto dei creditori nel concordato, è necessario in prima battuta esaminare lo stato dell’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza in argomento.

Generalmente, i criteri utilizzati da dottrina e giurisprudenza per indi-viduare le ipotesi di abuso del diritto possono essere raggruppati in quattro

categorie: criteri intenzionali-soggettivi, criteri economici, criteri morali, criteri teleologici67.

Le teorie ‘intenzionali-soggettive’ dell’abuso del diritto, facendo perno sulla rilevanza dell’animus nocendi, affermano che un atto di esercizio di un diritto è abusivo se il titolare ha intenzionalmente recato un danno ad una controparte, approfittando dell’apparenza di legittimità della propria condotta68. In pratica, però, la possibilità di ricorrere a questo criterio si scontra con la difficoltà – che ne restringe oltremodo la portata applica-tiva – di provare l’esistenza di uno stato soggettivo. Per aggirare questo ostacolo, si ricorre spesso alla finzione giudiziale che l’atto è abusivo in quanto privo di una seria giustificazione razionale69. Pertanto, nell’ambito di questa impostazione, la mancanza di utilità non rappresenta un elemen-to essenziale della fattispecie, bensì costituisce unicamente un elemenelemen-to di prova presuntiva dell’esistenza dell’abuso, per superare la quale il titolare del diritto non può semplicemente dimostrare di avere beneficiato di un vantaggio qualunque, ma deve provare di aver ricevuto un vantaggio rite-nuto ‘meritevole’ dall’ordinamento nel contesto in cui si colloca l’esercizio del diritto70.

67 Per una compiuta disamina della tassonomia dei criteri utilizzati per classificare le ipotesi di abuso vedi G. Pino, L’abuso del diritto tra teoria e dogmatica (precauzioni per l’uso), in G. Maniaci (a cura di), Eguaglianza, ragionevolezza e logica giuridica, Milano 2006, p. 137 e ss.

68 È questo il criterio utilizzato ad esempio da Trib. Torino, 13 giugno 1983, in

Respon-sabilità civ. e prev., 1983, p. 815, secondo cui «In linea di diritto, per abuso del diritto si

intende l’esercizio o, come nel caso de quo, la rivendicazione di un diritto che in astratto spetta effettivamente a colui che lo esercita o rivendica ma che, in concreto, non com-porta alcun vantaggio apprezzabile e degno di tutela giuridica a favore di tale soggetto e comporta invece un preciso danno a carico di un altro soggetto (“contro” cui esso viene esercitato o rivendicato) e che viene esercitato o rivendicato proprio al solo, esclusivo fine di cagionare un danno all’altro soggetto».

69 Cfr. A. Torrente, voce Emulazione (diritto civile), in Noviss. Dig. it., vol. VI, Torino 1975, p. 521 e ss., il quale afferma che il criterio intenzionale-soggettivo si riferisce ne-cessariamente all’intenzione di nuocere in senso psicologico e soggettivo, perché viceversa si imporrebbe al proprietario un obbligo di esercitare il diritto a proprio vantaggio. L’A. ammette però è costretto ad ammettere che il giudice possa desumere «dal fatto obiettivo e certo del pregiudizio arrecato con l’atto, dalla scientia di esso nel proprietario e dalla animosità esistente tra lui ed il vicino la sussistenza dell’animus nocendi» (p. 523).

70 Un esempio della difficoltà di applicare il criterio intenzionale-soggettivo è l’art. 833 c.c., che indica come presupposto per sanzionare la condotta ‘emulativa’ del proprietario la circostanza che i suoi atti «non abbiano altro scopo» che danneggiare altri. A fronte della sostanziale inefficacia o inapplicabilità della norma, la dottrina la ha re-interpretata riferendo lo scopo non all’intenzione soggettiva e psicologica dell’autore dell’atto, ma agli effetti oggettivi dell’atto da questi compiuto, avvalendosi così di un criterio di compara-zione tra l’utilità (dell’atto) del proprietario e quella del terzo danneggiato. In argomento

La difficoltà di applicare in concreto le teorie intenzionali-soggettive ha suggerito l’utilizzo di criteri di valutazione maggiormente oggettivi. Tra questi, le teorie economiche dell’abuso del diritto valutano il disvalore dell’atto sulla base di un calcolo economico ispirato ad un criterio di effi-cienza di tipo paretiano. Secondo queste impostazioni, si ha una condotta abusiva quando si peggiora la situazione di un altro soggetto, senza con ciò migliorare la propria, realizzando una situazione che non soddisfa i criteri dell’efficienza paretiana. Nell’ambito dei rapporti obbligatori, sarebbero – in questa prospettiva – abusive le condotte di chi scarica in maniera inefficiente sui terzi i costi della propria attività, al di fuori di un accordo di mercato, incrementando in modo ingiustificato i costi di transazione. La predicata oggettività dei criteri economici è però solo apparente. Nono-stante l’utilizzo di formule matematiche per la comparazione degli interessi in conflitto, infatti, i risultati ottenuti non sono sempre univoci perché ri-sentono della discrezionalità del giudicante nella selezione delle variabili da prendere in considerazione per il calcolo dell’utilità del soggetto agente71.

Tra le teorie dell’abuso del diritto vi sono poi quelle che si fondano su criteri morali di valutazione delle condotte, le quali presentano però il ri-schio di attribuire al giudice un eccessivo arbitrio. È stato a questo riguardo osservato che l’utilizzo di standard valutativi di carattere morale attribuisce al giudice il potere di far ricorso a criteri di valutazione troppo personali (ad es., la propria morale critica), oppure di interpretare discrezionalmen-te la morale sociale della comunità o dell’ordinamento giuridico72. Ed è proprio la necessità di ricorrere a canoni eccessivamente soggettivi per la valutazione morale dell’atto abusivo che costituisce la principale critica che viene mossa alle teorie basate sui criteri morali.

In dottrina è infine frequente il ricorso a criteri di valutazione teleolo-gici, secondo i quali – in via generale – l’abuso del diritto viene considerato una deviazione del diritto rispetto alla sua funzione tipica o ai principi

vedi S. Romano, voce Abuso del diritto (diritto attuale), in Enc. dir., vol. I, Milano 1958, p. 166 e ss.; S. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano 1964, p. 100 e ss.; P. Perlingieri, Introduzione alla problematica della «proprietà», Napoli 1971, p. 200.

71 Si può giungere, ad esempio, a conclusioni opposte a seconda che nella valutazione del pregiudizio si includa o meno nel calcolo l’utilità del soggetto agente consistente nel poter monetizzare con la controparte la propria desistenza dalla condotta ‘abusiva’. A questo riguardo, vedi P.G. Monateri, Abuso del diritto e simmetria della proprietà (un saggio di Comparative Law and Economics), in Diritto privato, 1997, p. 89 e ss. Nell’analisi eco-nomica del diritto è peraltro frequente la tendenza a monetizzare valori di questo genere: cfr. R. Sacco, L’esercizio e l’abuso del diritto, in G. Alpa et al., Il diritto soggettivo, Torino 2001, p. 281 e ss.

fondamentali dell’ordinamento. Si è però visto, con riferimento al diritto di voto, che è da negare la necessità di una sua funzionalizzazione rispetto all’interesse della collettività, sicché sembra più opportuno fare riferimento a quella visione dell’argomento teleologico che, rintracciando nell’ordina-mento il principio che giustifica l’attribuzione del diritto, valuta se, alla luce di quel principio, l’esercizio del diritto possa essere considerato legit-timo: se rientra, cioè, nell’ambito di “copertura” che quel principio offre al diritto73. La ricerca del principio giustificativo, però, può non essere agevo-le: da un lato, perché un diritto soggettivo può trovare la propria giustifi-cazione allo stesso tempo in principi diversi; dall’altro, perché si tratta pur sempre di effettuare un giudizio di ponderazione tra principi diversi posti a fondamento dei diversi interessi di cui sono titolari l’abusante e l’abusato.

L’insufficienza dei criteri appena esposti, anche in combinazione tra loro, conduce a ritenere che la valutazione della sussistenza dell’abuso è sempre frutto di un giudizio comparativo tra diritti o interessi contrap-posti, in base al quale la condotta del titolare del diritto può essere con-siderata contra legem solo se il sacrificio imposto alla controparte risulta sproporzionato rispetto al vantaggio del titolare, non trovando più alcuna giustificazione alla luce di dei criteri che l’ordinamento, in quel determina-to setdetermina-tore, considera come rilevanti74.

Nel concordato, la varietà di articolazioni che può assumere il piano rende assai complessa l’individuazione di ipotesi tipiche di abuso (che – per quanto in numero limitato – nel diritto delle società sono state enu-cleate)75. Il compito dell’interprete è poi reso più difficile dal fatto che, a differenza di quanto accade nelle società, nella disciplina concorsuale è già prevista un’ipotesi tipica di abuso: quella del mercato di voto di cui all’art. 233 l. fall., che sanziona il comportamento del «creditore che stipula col fallito o con altri nell’interesse del fallito vantaggi a proprio favore per dare il suo voto nel concordato». La norma, infatti, identificando deviazioni,

73 Con espresso riferimento alla clausola di buona fede, relativamente alla clausola di buona fede, vedi L. Nivarra, Ragionevolezza e diritto privato, in Ars Interpretandi, 2002, 7, p. 373 e ss.

74 Cfr. U. Natoli, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento

giuridico italiano, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1958, p. 18 e ss.; Rescigno, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, p. 205 e ss.; C. M. Mazzoni, Atti emulativi, utilità sociale e abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1969, II, p. 601 e ss.; Perlingieri, Introduzione alla problematica della «proprietà», cit., p. 196 e ss.; U. Ruffolo, Atti emulativi, Abuso del diritto e «interesse» nel diritto, in Riv. dir. civ., 1973, II, p. 23 e ss.; S. Patti, voce Abuso del diritto, in Dig. Disc. Priv. – Sez. civ., vol. I, Torino 1987, p. 7.

75 V. Gambino, Il principio di correttezza …, cit., p. 274 e ss.; Angelici, Le società per

penalmente rilevanti, dalle regole che presidiano l’esercizio del diritto di voto sulla proposta di concordato, non fa altro che ridurre in modo signi-ficativo la possibilità di ricorrere alla categoria dell’abuso, per sua natura destinata a supplire all’assenza di una espressa disciplina legislativa.

Nella consapevolezza che è compito assai delicato quello di sindacare la legittimità del voto nel concordato, si può però ugualmente provare a individuare i contorni delle fattispecie di un suo esercizio abusivo in viola-zione dei principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. ricorrendo ai criteri individuati dalla giurisprudenza statunitense per decidere se annullare, ai sensi della sec. 1126(e) BC, un voto (favorevole o contrario al piano), il cui esercizio non sia (o che non sia stato sollecitato o raccolto) ‘in good faith’ nel rispetto delle regole della procedura.

Come osservato nel principio della trattazione, secondo le corti ameri-cane, un voto deve essere annullato in applicazione della richiamata dispo-sizione, previa audizione del creditore nel rispetto del principio del con-tradditorio76, se si accerta che il creditore ha votato sulla base di un «ulterior motive», allo scopo di conseguire un vantaggio del quale altrimenti non avrebbe avuto titolo di beneficiare in ragione della sua posizione di credi-tore del debicredi-tore proponente77. Nell’elaborazione giurisprudenziale sono state in merito individuate alcune ipotesi nelle quali il voto di un creditore va considerato abusivo e deve essere per questo annullato (designated) in quanto, anziché essere fondato sulla valutazione della fattibilità del piano di riorganizzazione, è influenzato da un interesse economico esterno78.

Una prima ipotesi presa in considerazione dalla giurisprudenza è quella del voto espresso dall’acquirente di crediti che, in violazione del principio di parità di trattamento tra creditori appartenenti ad una medesima classe, fa una discriminazione tra coloro che aderiscono all’offerta di acquisto e quelli che, invece, non cedono i loro crediti. Nel caso In re P-R Holding

Corp.79, era stato proposto da un terzo un piano di riorganizzazione ‘ostile’ per acquisire il controllo sul debitore che prevedeva la soddisfazione dei creditori in parte in denaro e in parte (invero la maggiore) mediante l’at-tribuzione di strumenti finanziari, per un ammontare complessivo pari al 50% del valore nominale dei crediti. Quando apparve chiaro che il piano non avrebbe raggiunto le maggioranze, il proponente procedette all’ac-quisto dei crediti di coloro che avrebbero votato contro il piano e la SEC

76 In re Motel Associates of Cincinnati, cit.

77 In re Allegheny Int’l, Inc., cit.

78 Cfr. in argomento Frost, Bankruptcy Voting and the Designation Power, cit., p. 190.

propri crediti in quanto i primi avrebbero ricevuto una combinazione di denaro e strumenti finanziari, mentre i secondi avrebbero beneficiato di un pagamento immediato.

In questo caso la Corte ha osservato che, sebbene l’acquisto di crediti, pure se motivato dalla volontà di conseguire il controllo del debitore, non integra in sé e per sé un comportamento in mala fede, quando tale acquisto ha per effetto un’ingiustificata discriminazione tra i creditori in violazione del principio di parità di trattamento, esso deve essere considerato abusivo, con la conseguenza che il diritto di voto esercitato dall’acquirente deve es-sere annullato ai sensi della sec. 1126(e) BC. Il trattamento discriminatorio di pretese aventi medesima posizione giuridica e fondate su interessi eco-nomici omogenei, infatti, può avere effetti coercitivi sui comportamenti dei creditori, che rimangono intrappolati dal dilemma se accettare l’offerta o scommettere sulla riuscita del piano80. Inoltre, l’acquirente acquisisce i voti determinanti per l’approvazione del piano per un importo minore, dando vita a una corsa all’acquisto e alla vendita e, avendo acquisito la maggioranza, è in grado di proporre un’offerta concorrente che sottovaluta l’attivo del debitore rispetto ai valori che si sarebbero potuti ottenere in un contesto realmente competitivo.

Nel più noto caso in cui il voto di un creditore è stato oggetto di

desi-gnation da parte della corte ai sensi della sec. 1126(e) BC 81, un terzo aveva acquisito crediti nei confronti del debitore in due fasi successive. In un primo momento, prima del deposito del piano da parte del debitore, aveva acquistato un piccolo ammontare di crediti subordinati, che le avrebbero consentito di presentare una proposta concorrente, ritenendo che la corte avrebbe previsto una votazione congiunta sui due pani. Quando la corte fissò due separate udienze per la votazione disattendendo, così, le previsio-ni dell’acquirente, questi – con una strategia defiprevisio-nita come da «chutzpah with a vengeance»; letteralmente, ‘insolente e vendicativo’ – iniziò ad ac-quistare ulteriori crediti (fino al 33,87% dei crediti al 95% del loro valore nominale) con l’intento di ottenere un potere di veto sull’approvazione di qualunque piano. Anche in questa ipotesi si è riconosciuta, in via generale,

80 Cfr. R.D. Thomas, Tipping the Scales in Chapter 11: How Distressed Debt Investors

De-crease Debtor Leverage and the Efficacy of Business Reorganization, 27 Emory Bankr. Dev. J.

(2010), p. 213, in part. pp. 237-39, che compara l’acquisto di crediti in circostanze come quella descritta nel testo con la disciplina delle offerte pubbliche di acquisto obbligatorie.

la legittimità delle operazioni di acquisizione di crediti con la finalità di ottenere il controllo del debitore, ma quando alla base di tale pratica vi è la realizzazione di un interesse diverso da quello tipicamente connesso alla posizione di creditore, come quello di manipolare e aggirare le regole del procedimento, l’acquisto deve considerarsi effettuato ‘in bad faith’ e l’eser-cizio dei diritti di voto a questo conseguenti abusivo.

Dall’analisi delle decisioni sopra riportate, emerge che nel concordato, come in ambito societario, i diritti della minoranza possono subire una lesione, nella neutralità dell’interesse del gruppo dei creditori chiamati a votare sul concordato perché, a causa dell’abuso del diritto di voto da parte della maggioranza, viene violato il principio di parità di trattamento fra i creditori82. Nel concordato, com’è noto, il principio di parità di trattamen-to opera – nella normalità dei casi – in relazione al trattamentrattamen-to che viene previsto dal piano per i creditori raggruppati nella medesima classe sulla base dei criteri di omogeneità della posizione giuridica e degli interessi eco-nomici omogenei. Vi potrebbero essere quindi casi in cui all’interno di una classe vengono collocati creditori che sono solo apparentemente titolari di una medesima posizione giuridica e di interessi economici omogenei ma che, in realtà, in ragione di vantaggi non derivanti dalla valorizzazione de-gli asset del debitore, fondano l’esercizio del voto sull’interesse a percepire vantaggi economici estranei alla riorganizzazione.

Anche in questo caso, come nelle ipotesi rilevanti di conflitto ex art. 2373 c.c., il tribunale potrà annullare il voto, eliminandolo anche dal-la base di calcolo e rideterminando il calcolo delle maggioranze ai sensi dell’art. 177 l. fall.83.

82 Per queste considerazioni nel diritto delle società vedi Gambino, Il principio di

corret-tezza …, cit., p. 285; Angelici, Le società per azioni. Principi e problemi, cit., p. 115 e ss.

83 Sulla necessità, anche nel caso di abuso, di sterilizzare il voto eliminandolo sia dal numeratore, sia dal denominatore, vedi Centonze, Qualificazione e disciplina del rigetto