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Elementi della fattispecie regolata dall’art. 2373 c.c

Muovendo dall’assunto che l’interesse tutelato attraverso il concordato preventivo non corrisponde a quello del quale è titolare la massa dei cre-ditori nel fallimento (e nelle altre procedure di natura liquidatoria), ma va valutato, in un’ottica pluralista, quale interesse alla riorganizzazione dell’impresa in crisi e alla partecipazione, sul piano collettivo, a un surplus di vantaggi rispetto all’alternativa liquidatoria fallimentare, si può adesso provare a prendere in considerazione questo interesse (in un certo senso) ‘comune’ quale parametro per valutare la conformità della deliberazione sulla proposta di concordato secondo lo schema delineato dall’art. 2373, 1° comma, c.c., norma che – come già si è osservato all’inizio della tratta-zione – è ritenuta espressiva di un principio generale, suscettibile di appli-cazione diffusa a diverse collettività organizzate18.

Per valutare la fattibilità di tale opzione interpretativa, occorre in pri-mo luogo individuare gli elementi della fattispecie descritta dalla norma e, in seguito, valutarne la compatibilità con la vicenda deliberativa che ha luogo nell’ambito del concordato.

Dalla disciplina societaria del conflitto di interessi del socio contenuta nell’art. 2373, 1° comma, c.c. si desume innanzitutto che, nell’ambito del procedimento deliberativo assembleare, l’esercizio del diritto di voto è, in via di principio, rimesso alla discrezionalità del socio, incontrando l’uni-co limite nel divieto di causare una situazione di potenziale danno patri-moniale alla società in presenza di un interesse in conflitto con quello di quest’ultima. Se questo limite viene rispettato, la maggioranza assembleare può liberamente determinare la volontà dell’assemblea ed è quindi precluso ogni sindacato dell’autorità giudiziaria sul merito delle deliberazioni e, in particolare, sulla convenienza e sull’opportunità delle decisioni della mag-gioranza. Coerentemente con questa impostazione, la norma non pone (più) a carico del socio un obbligo di astensione (o un divieto di voto), limitandosi a sancire che le deliberazioni assembleari conformi alla legge e allo statuto sono annullabili solo se adottate con il voto determinante di un

socio ispirato da interessi extra-sociali e se idonee a determinare un danno (anche solo potenziale) per la società19. Ne deriva che l’interesse sociale costituisce solo un limite alla libertà dei soci di esprimere il proprio voto, non potendosi invece affermare la necessità di una funzionalizzazione del voto ad un interesse collettivo oggettivamente ed astrattamente predeter-minato20.

Un divieto di voto è invece posto a carico degli amministratori per le deliberazioni che riguardano la loro responsabilità e per i componenti del consiglio di gestione nelle deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza. La norma va letta insieme a quella contenuta nell’art. 2368, ult. comma, 2° periodo, c.c. secondo cui le azioni per le quali il diritto di voto non è stato esercitato a seguito della dichiarazione del soggetto al quale spetta il diritto di voto di astenersi per conflitto di interessi non sono computate ai fini del quorum deliberativo, né al numeratore, né al denominatore.

L’art. 2373 c.c., quindi, in relazione a diverse tipologie di conflitto tra l’interesse del votante e l’interesse della società reagisce in modo dif-ferente: da un lato, individuando fattispecie tipiche (quelle delle delibere attinenti a nomine, revoca e responsabilità di componenti degli organi) e imponendo, in queste ipotesi, un espresso divieto di voto21; dall’altro lato, enunciando una regola generale, a carattere residuale, che riguarda tutte le fattispecie di conflitto ‘innominate’, rispetto alle quali la reazione dell’ordinamento consiste nell’impugnabilità della delibera in presenza di determinate condizioni.

Elementi di questa fattispecie a carattere ‘residuale’ sono: (i) la titola-rità, per conto proprio o di terzi, in capo a uno dei soggetti legittimati al voto, di un interesse in conflitto con quello della società; (ii) la necessità che il voto del soggetto titolare dell’interesse in conflitto con quello della società sia rilevante ai fini del raggiungimento della maggioranza per

l’ap-19 Si trova in conflitto di interessi il socio che, in una determinata delibera, ha per conto proprio o altrui un interesse personale contrastante con l’interesse della società. Non è invece necessario che si trovi in posizione di controparte contrattuale della società in una data operazione, ma è sufficiente che egli possa ricavare dalla delibera un vantaggio par-ticolare. In luogo di molti, vedi Gambino, Il principio di correttezza …, cit., p. 188 e ss.; Preite, Abuso di maggioranza …, cit., p. 123 e ss.

20 In luogo di molti, vedi Gambino, ivi, p. 69 e ss.; G. Grippo, L’assemblea nella società

per azioni, in P. Rescigno (diretto da), Tratt. dir. priv., vol. 16, Torino 1985, p. 383 e ss.

provazione (o per il rigetto) della deliberazione; (iii) la possibilità che la deliberazione cagioni un danno alla società22.

Dalla descrizione della vicenda regolata dall’art. 2373 c.c. emerge con chiarezza che l’idoneità della deliberazione medesima a produrre un dan-no, anche meramente potenziale, al patrimonio della società è elemento necessario per potere pronunciare l’invalidità della deliberazione assunta con il voto determinante di un socio in conflitto di interesse. Il socio, infat-ti, esercitando il voto, può legittimamente perseguire un interesse partico-lare incompatibile con l’interesse sociale e ciò non determina di per sé che la deliberazione adottata con il contributo determinante di tale voto sia annullabile, perché potrebbe ben accadere che non sia in concreto ipotiz-zabile un pregiudizio (neppure potenziale) per il patrimonio della società. Anzi, potrebbe persino verificarsi che l’operazione oggetto di deliberazione, pur essendo idonea a realizzare un interesse particolare del socio, si riveli vantaggiosa anche per la società e, quindi, conforme all’interesse sociale23.

La sussistenza di un conflitto, quindi, non rileva autonomamente ai fini dell’annullamento della deliberazione ma, in aggiunta, va accertata la possibile lesione sul piano collettivo del patrimonio sociale e il requisito del danno potenziale non è una semplice condizione esterna di rilevanza di un conflitto d’interessi suscettibile di apprezzamento autonomo, ma costituisce elemento strutturale della fattispecie dal quale dipende la stessa possibilità di attribuire rilevanza giuridica al conflitto. La deliberazione, in altri termini, anche in presenza del voto determinante di un socio in con-flitto di interessi, è salva e non può essere annullata se non viene accertato il pregiudizio, anche meramente potenziale, a danno della società. In que-sto ambito, la valutazione del giudice chiamato a verificare la validità

del-22 Sugli elementi costitutivi della disciplina dettata dall’art. 2373 c.c. vedi, in luogo di molti, Angelici, Le società per azioni. Principi e problemi, cit., p. 107 e ss.; Gambino, sub art. 2377, in D. Santosuosso (a cura di), Delle società – Dell’azienda – della concorrenza.

Artt. 2247-2378. Commentario del Codice Civile, diretto da Gabrielli, cit., p. 1625 e ss.;

Preite, Abuso di maggioranza …, cit., p. 114 e ss.; V. Meli, sub art. 2373, in Abbadessa, Portale (diretto da), La società per azioni. Codice civile e norme complementari, Milano 2016, t. I, p. 999 e ss.; Cirenei, sub art. 2373, in F. d’Alessandro (diretto da),

Commenta-rio romano al nuovo diritto delle società, cit., p. 757 e ss.; C. Montagnani, sub art. 2373,

in G. Niccolini, A. Stagno d’Alcontres (a cura di), Società di capitali. Commentario, vol. I, p. 511 e ss.

23 Sulla storia della disposizione che richiede la sussistenza di un danno patrimoniale a carico della società, vedi Gambino, Il principio di correttezza …, cit., p. 245 e s., il quale osserva che l’introduzione del requisito del danno potenziale, accogliendo il suggerimento formulato da autorevole dottrina nel vigore del codice di commercio, allineava la discipli-na codicistica a quella prevista dal § 197 Abs 2 AktG 1937.

la deliberazione per violazione dell’art. 2373, 1° comma, c.c. non attiene tanto alla opportunità o alla convenienza del compimento dell’operazione deliberata dall’assemblea e quindi alla mera conformità della deliberazione all’interesse sociale, bensì – accertata la titolarità in capo a uno dei votanti di un interesse incompatibile con quello della società e la decisività del voto di costui per il raggiungimento della maggioranza – alla sola possibi-lità che si produca un pregiudizio al patrimonio sociale24.

24 In argomento, vedi Guerrera, Abuso del voto e controllo «di correttezza» sul

procedimen-to deliberativo assembleare, in Riv. soc., 2002, p. 203.