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BREVETTI ESSENZIALI: QUALE RUOLO PER L’ANTITRUST?

I. Il primo approccio muoveva dalla constatazione che l’azione a

3.6 Introduzione agli scenari interpretativi post-Huawei

3.6.4 L'applicazione del test Huawei ai Patent Assertion Entities (PAEs)

Un’ulteriore questione su cui la Corte di giustizia non si è ancora pronunciata ma che ha interessato gli esperti di diritto antitrust, riguarda il ruolo dei Non Practice Entities (NPEs) nel panorama della standardizzazione e l’applicabilità agli stessi del galateo negoziale della sentenza Huawei325.

Il termine NPEs è utilizzato per identificare le imprese che detengono un brevetto per un prodotto o un processo che non intendono produrre o sviluppare. Esse operano unicamente nei mercati delle licenze dei brevetti essenziali (i.e. il mercato a monte) e traggono i loro proventi per intero dai canoni di licenza versati dai licenziatari.

Queste imprese sono state da sempre oggetto di profonda attenzione da parte della dottrina che ne stigmatizza i potenziali rischi anticoncorrenziali derivanti dal loro business plan, influenzato dalla circostanza di non essere presenti nei mercati dei prodotti a valle326.

325 Sul punto Cfr. Colangelo G., Torti V., Filling Huawei’s gaps: the recent German

case law on Standard Essential Patents, cit.; Nazzini R., Level Discrimination and FRAND Commitments Under EU Competition Law, cit.; Jones A., Nazzini R., The Effect of Competition Law on Patent Remedies, cit.

326 Per uno studio empirico v. Fischer T., Henkel J., Patent trolls on markets for

technology – An empiric alanalysis of NPEs’ patent acquisitions, in Research Policy, 2012. Gli autori hanno rilevato come le probabilità che un brevetto in

commercio venga acquistato da un NPE aumentino in considerazione dei seguenti fattori: 1) l’estensione territoriale del brevetto (maggiore è l’estensione, maggiore risulta essere la probabilità che vi siano contraffazioni involontarie da sfruttare come leva finanziaria per estorcere royalty più elevate); 2) la densità brevettuale del settore tecnologico interessato e gli switching costs necessari per scegliere tecnologie alternative; 3) la qualità del brevetto, in termini di difendibilità dello stesso nel caso in cui i potenziali licenziatari ne eccepissero l’invalidità.

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Nulla quaestio si pone qualora i NPEs onorino gli impegni di licenza

contratti con le SSOs, sia nel caso in cui siano essi stessi ad aver partecipato attivamente alla definizione dello standard, sia nel caso in cui abbiano successivamente acquistato da un’impresa terza un portafoglio brevettuale gravato da impegni FRAND. Importanti criticità potrebbero sorgere invece se i NPEs decidessero di massimizzare i propri profitti estorcendo alle controparti royalty sovra-competitive, adottando condotte riconducibili all’hold up brevettuale.

La letteratura e gli esperti del settore denominano i NPEs che accumulano portafogli brevettuali a scopo strategico Patent Assertion

Entities (PAEs). Tali tipologie di imprese sono solite minacciare

azioni di contraffazione per aumentare il proprio potere negoziale nei confronti dei potenziali licenziatari327.

Come sappiamo, la sentenza Huawei non si è espressa sulla problematica relativa all’applicazione dell’abuso escludente atipico collegato al test del willing licensor/licensee, né avrebbe avuto ragione di farlo, atteso che le parti nel giudizio a quo non erano PAEs ma imprese concorrenti nel mercato a valle dei prodotti finali. Tuttavia, similmente a come è avvenuto per gli standard de facto, si impone

327 Sulle tipologie di condotte opportunistiche esperite dai PAEs cfr. Colangelo G., Il

Mercato dell’Innovazione: Brevetti, Standards e Antitrust, cit., pp. 21-23: “Le litigations strategicamente promosse sono sostanzialmente riconducibili a due tipologie, rispetto alle quali le vittime sono maggiormente indotte ad accettare una transazione anziché dover sopportare i costi e l’incertezza legati ad un processo: quelle c.d. nuisance value, dirette simultaneamente ad un numero elevato di società ed aventi ad oggetto richieste risarcitorie di modesta entità, e quelle riconducibili ad una forma di hold up posto in essere nel momento in cui la vittima è maggiormente esposta (ad esempio, poco prima che un nuovo prodotto venga lanciato sul mercato)”.

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una riflessione sull’applicabilità del principio del processo negoziale FRAND anche alle trattative che vedono coinvolti i PAEs.

Si ritiene che da un punto di vista sistemico, essi ben potrebbero essere assoggettabili agli oneri precontrattuali imposti dai giudici europei, anche in considerazione dei rilevanti vantaggi di cui godono nei confronti degli operatori verticalmente integrati.

Si pensi, a tal proposito, alla circostanza che un PAEs, attivo solo nel mercato delle licenze e non dei prodotti, può intentare una causa per contraffazione ma non può subirla328, con la conseguenza di ridurre significativamente i rimedi giurisdizionali funzionali a scoraggiare pratiche scorrette nei confronti dei partner commerciali329. Inoltre, il costo e l’incertezza del giudizio che spingono il contraffattore ad evitare una controversia legale per le condizioni “capestro” pretese per l’utilizzo del brevetto, rendono i procedimenti per contraffazione intentati dai PAEs una proficuo modello di business. Infatti, per i presunti contraffattori accade che la prospettiva di subire un provvedimento ingiuntivo che riduca in maniera più o meno drastica i ricavi provenienti dalla vendita dei prodotti finali che implementano lo standard, costituisce un’eventualità meno desiderabile rispetto al dover corrispondere royalty più elevate (quindi non FRAND) per l’utilizzo dei brevetti essenziali330.

Tanto giustifica la presenza, nel panorama della standardizzazione, di una corposa letteratura che considera l’applicazione della normativa

328 Così Colangelo G., Torti V., Filling Huawei’s gaps: the recent German case law

on Standard Essential Patents, p. 540, cit. 329 Ibidem, p. 22.

330Sul punto v., ex multis, Scott Morton F., Shapiro C., Strategic Patent Acquisitions, in Antitrust Law Journal, 2014.

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antitrust un efficace strumento deterrente alle descritte condotte opportunistiche331.

Ne deriva che esonerare i PAEs dalle prescrizioni della decisione

Huawei, riducendo così il perimetro di applicabilità dell’art. 102

TFUE, sosterrebbe ingiustificati vuoti di tutela incentivando, al contempo, la proposizione di azioni inibitorie aventi come unico scopo quello di realizzare extraprofitti.

Né vi sono elementi desumibili dal tenore letterale della sentenza che inducano a ritenere che la Corte di giustizia abbia voluto distinguere tra SEP holder verticalmente integrati e SEP holder operanti soltanto nel mercato delle licenze332, tanto che non sono mancate da parte della giurisprudenza tedesca e di quella inglese, pronunce che hanno

331Cfr., ex multis, Wright J.D., Ginsburg D.H., Patent Assertion Entities and

Antitrust: A Competition Cure for a Litigation Disease?, in Antitrust Law Journal,

2014. V. anche Geradin D., Patent assertion entities and EU competition law, in

George Mason University Law and Economics Research Paper Series, n. 16, 2016.

L’autore distingue ai fini dell’applicazione della disciplina antitrust tra PAEs “puri” ed “ibridi”, sostenendo che mentre per i primi il rischio maggiore risiede nella commissione di abusi di sfruttamento, per i secondi la minaccia da prevenire consiste nelle pratiche escludenti. Accanto ai PAEs “puri”, che puntano a far valere i propri SEPs contro ogni impresa giudicata come una proficua fonte di ricavi per le royalty, gli studiosi del fenomeno hanno infatti rilevato la diffusione di forme cc.dd. “ibride”, nelle quali i PAEs presentano incentivi allineati a quelli dell’impresa dalla quale hanno acquistato i brevetti fonte di extraprofitti. Nello specifico, sono state registrate sofisticate strategie da parte di operatori verticalmente integrati (perpetrate attraverso accordi cc.dd. di privateering), consistenti nel trasferimento dei propri SEPs ad un PAE in cambio dell’impegno di quest’ultimo ad esigere royalty non FRAND nei confronti delle imprese concorrenti dei primi nei mercati a valle.

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sindacato la condotta dei PAEs proprietari di brevetti essenziali proprio sulla base delle indicazioni fornite dalla sentenza Huawei333. L’approccio interpretativo maggioritario confligge tuttavia con una parte della dottrina che, sulla base della non operatività dei PAEs nei mercati a valle, ritiene che si debba escludere l’applicabilità del test

Huawei a tali imprese. in quanto si tratterebbe di un abuso escludente

(i.e. il rifiuto a contrarre opposto dal titolare di un’essential facility) e, come tale, implicherebbe la presenza dell’incumbent nei mercati dei prodotti che utilizzano lo standard334. L’impianto argomentativo posto alla base dell’interpretazione minoritaria deriva anch’esso dal tenore letterale della sentenza Huawei, nella parte in cui si afferma l’indispensabilità del brevetto essenziale per tutte le imprese “concorrenti” nel mercato dei prodotti finali335 e si definiscono i comportamenti opportunistici del SEP holder come condotte orientate ad appropriarsi della “fetta” di mercato dei competitor336, lasciando così intendere che licenziante e licenziatario debbano essere necessariamente concorrenti.

333A titolo esemplificativo, v. sulla giurisprudenza inglese Unwired Planet

International Ltd v Huawei Technologies Ltd [2017] EWHC 711 (Pat), cit. Per la

giurisprudenza tedesca si segnalano invece Dusseldorf District Court, casi 4a O 93/14 e 4a O 144/14, Sisvel v. Qingdao Haier Group; Dusseldorf District Court, Casi 4a O 73/14 e 4a O 126/14, Saint Lawrence Communications v. Vodafone.

334Cfr. Tsilikas H., Huawei v. ZTE in Context — EU Competition Policy and

Collaborative Standardization in Wireless Telecommunications, cit.; Brankin S.,

Cisnal de Ugarte S., Kimmel L., Huawei/ZTE: towards a more demanding standard

of abuse in essential patent cases, in Journal of Competition Law & Practice, 2016;

Petit N., Huawei v. ZTE: judicial conservatism at the patent-antitrust intersection, in

CPI Antitrust Chronicle, 2015.

335V. Corte di giustizia, sent. Huawei, par. 49.

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L’assunto sopra richiamato sembrerebbe tuttavia recessivo poiché, in primo luogo occorre considerare che la Corte di giustizia si è espressa in sede di rinvio pregiudiziale su una vicenda che vedeva contrapposte due imprese in concorrenza tra loro (segnatamente Huawei e ZTE). Pertanto, il riferimento letterale alle imprese “concorrenti” andrebbe esclusivamente correlato alla fattispecie concreta.

In secondo luogo, si ritiene che un’applicazione estensiva dei principi della sentenza Huawei ai PAEs appare coerente col canone di atipicità che, al fine di adattare il diritto positivo ai contesti mutevoli dei mercati, permea le disposizioni di cui all’art. 102 TFUE. Del resto, le stesse “circostanze eccezionali”, il cui verificarsi giustifica l’imposizione di un “dovere di licenza” in capo al titolare del diritto di esclusiva, rappresentano categorie non esaustive dell’essential facility

doctrine, che dal caso Magill (1995) al caso Huawei (2015) si sono

evolute adattandosi al settore oggetto di indagine antitrust. Peraltro, autorevole dottrina ha osservato che sebbene la maggioranza dei casi trattati dalla Corte di giustizia e aventi ad oggetto il refusal to deal abbia riguardato imprese verticalmente integrate, i giudici europei non hanno mai affermato che l’assenza dell’impresa dominante dai mercati a valle escluda in radice l’imposizione di un “dovere di licenza”337. Infine, la stessa Commissione europea, nella nota Comunicazione del novembre 2017 sull’approccio europeo ai brevetti essenziali, afferma espressamente che “[I] PAE dovrebbero essere soggetti alle stesse

regole che si applicano a qualsiasi altro titolare di brevetti SEP, anche dopo il trasferimento di tali brevetti dai titolari ai PAE”338.

337Così Nazzini R., Level Discrimination and FRAND Commitments Under EU

Competition Law, cit.

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