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APPLICAZIONI CARDIOVASCOLARI – STENT VASCOLARI

Nel documento LEZIONE 1 09/03/20 MATERIALI POLIMERICI (pagine 38-45)

Aterosclerosi: accumulo di cellule e colesterolo che occlude il lume del vaso e ostacola il flusso sanguigno formando la placca arteriosclerotica. Rappresenta la principale causa di morte in Nord America ed Europa (35-38% dei decessi totali) e colpisce 3 distretti principali: arterie coronariche, arteria femorale e arterie al di sotto del ginocchio.

Per risolvere la patologia si interviene dapprima con un trattamento farmacologico, volto a diminuire le dimensioni della placca, se questo non dovesse andare a buon fine si effettua allora un intervento chirurgico. Attualmente esistono 3 approcci chirurgici: angioplastica, sostituzione del baso (by-pass) e impianto di stent. L’intervento di by-pass è un’operazione invasiva e per questo negli ultimi decenni sono state ricercate procedure meno invasive e mininvasive, come l’impianto di stent.

Angioplastica: primo intervento mininvasivo sviluppato, attraverso un catetere inserito nell’arteria femorale si trasporta un palloncino fino all’arteria occlusa, una volta in posizione il palloncino viene

espanso con una soluzione salina o aria, gonfiandosi schiaccia la placca contro le pareti del vaso, che ritorna aperto. Anche se la placca viene compressa più volte, nel tempo è possibile che si rigeneri perché non viene eliminata ma solo compattata.

Per evitare la formazione di una nuova placca sono stati sviluppati stent metallici, che vengono crimpati sul palloncino ed espansi con esso, essi non vengono rimossi dopo l’operazione e continuano a schiacciare la placca per non farla tornare alla forma iniziale. Successivamente sono stati creati anche stent rivestiti per il rilascio di farmaci, che promuovessero la rigenerazione del tessuto, e stent biodegradabili (anche

polimerici).

Bare Metallic Stent (BMS)

Sono stati sviluppati come supporto strutturale per mantenere l’arteria pervia dopo l’angioplastica e prevenire un nuovo restringimento (--> reintervento).

Sono realizzati principalmente utilizzando:

- Acciaio inox: negli acciai inossidabili è presente nichel, che rende il metallo lavorabile, ma dà luogo a reazioni allergiche (biotossicità), inoltre se rilascia molti ioni porta al fallimento dello stent. Essendo un materiale ferromagnetico, quando viene sottoposto a campi magnetici come quelli della MRI può dislocarsi, per questo motivo i pazienti con questo tipo di stent vengono solitamente sottoposti ai raggiX e non alle risonanze.

- Lega di Nichel-Titanio (Nitinol): viene usata soprattutto negli arti inferiori dove l’arteria va incontro a possibili piegamenti. Sono leghe a memoria di forma, quindi potrebbe non essere necessaria l’espansione del palloncino, e sono super-elastiche ovvero hanno maggiore deformazione in campo elastico. La presenza di Nichel comporta una risposta infiammatoria locale, ma non viene rilasciato in grandi quantità come negli acciai inossidabili, quindi risulta più sicuro.

- Lega Cobalto-Cromo: deformazione plastica, nessuna trombosi subacuta - Tantalio: eccellente resistenza alla corrosione, bassa forza radiale

- Leghe Platino-Iridio: hanno eccellente resistenza alla corrosione, ma basse caratteristiche meccaniche, sono solitamente usati per piccoli vasi, non sottoposti ad alte sollecitazioni, poiché potrebbero non avere la forza adeguata a tenere pervio un vaso di grandi dimensioni

Limitazioni:

- Trombosi dello stent: viene somministrata al paziente una terapia antiaggregante

- Non congruenza tra la dimensione dello stent e quella del vaso: lo stent ha una deformazione massina possibile, non è detto che il diametro massimo raggiungibile permetta di imprimere una forza adeguata al vaso, lo stent non aderisce perfettamente e il lume si riduce perché è come se lo stent non andasse contro la parete. Tra vaso e parete si possono inoltre formare turbolenze che distaccano ulteriormente lo stent - Possibili artefatti con tecnologie di imaging (MRI)

- Restenosi: con un tasso del 20-30% è la principale causa di reintervento nel primo anno dall’impianto (dopo un anno non si presenta più). È causata da

un’intesa risposta infiammatoria (non fisiologica) che porta alla formazione di tessuto cicatriziale nello stent, le cellule muscolari della tunica media si spostano all’interno del vaso, proliferando in modo non controllato e

occludendo nuovamente il vaso.

Grafico A: si forma trombo dovuto all’impianto

Grafico B: richiamo di cellule della risposta infiammatoria (monociti di adesione alla superficie e monociti di

infiltrazione tessutale)

Grafico C: proliferazione di cellule muscolari lisce e monociti

Stent metallici rivestiti

Per ridurre la risposta infiammatoria si è pensato di rivestire gli stent, ciò comporta:

- Cambiamento delle caratteristiche di superficie (chimiche e morfologiche) senza interferire con le proprietà di bulk del metallo: le cellule non vedono il metallo che rimane la componente principale - Aumento significativo delle proprietà di superficie: la morfologia superficiale viene resa meno rugosa attraverso una lavorazione al laser (potrebbero rimanere frammenti)

- Influenza diretta sulla trombosi e sulla proliferazione di neointima: riduzione dei fenomeni di restenosi

Tipi di rivestimento:

- Coating inorganici: oro, carburo di silicio, ossido di iridio, carbonio diamond-like, ossido-nitruro di titanio --> materiali ceramici inerti, che non danno luogo a reazioni da parte dell’organismo

- Coating polimerici: polimeri biostabili (non biodegradabili), polimeri biodegradabili sintetici e polimeri di origine naturale, che si degradano a contatto con i fluidi biologici in modo non programmabile

Il coating viene applicato sulla superficie dello stent crimpato, quando lo stent viene espanso la superfice aumenta quindi si potrebbero formare fessurazione, cricche o pori in cui si possono infiltrare cellule del sangue, formando trombi. Se il rivestimento fosse danneggiato la forza di taglio applicata dal sangue al suo passaggio potrebbe staccare delle particelle di coating, causando risposta infiammatoria e quindi restenosi.

I coating inorganici inoltre potrebbero non seguire la deformazione dello stent.

Coating polimerici:

- Fosforilcolina (PC): fosfolipide della membrana cellulare dei globuli rossi, strutturalmente composto da componenti sia idrofilici che idrofobici. Il rivestimento in PC promuove una migliore interazione tra stent e cellule del sangue, quindi migliora l’emocompatibilità. Inoltre, previene la restenosi e diminuisce il rischio di trombosi. Lo stent viene rivestito attraverso una tecnica di deep coating: viene immerso in una soluzione con fosforilcolina, il solvente viene fatto evaporare per permettere alla fosforilcolina di rimanere stabile sullo stent e non formare cricche (coating deformabile)

- Acido ialuronico (HA): polisaccaride lineare, glicosaminoglicano, presente in vari tessuti del corpo, migliora l’emocompatibilità, aumenta la trombo-resistenza degli stent in quanto riduce la deposizione di piastrine. La presenza di poche piastrine e di piastrine non attivate fa si che la probabilità di restenosi diminuisca e con essa il fallimento dell’impianto. L’acido ialuronico si degrada in breve tempo, per prolungare le proprietà antiproliferative (formazione di neointima) e antitrombogeniche si è pensato di reticolare l’HA al fine di renderlo più stabile nel tempo.

 Questi rivestimenti riducono la restenosi, ma sono inerti rispetto all’arrivo di cellule della risposta infiammatoria

Drug Eluting Stent (DES)

Gli stent vengono caricati con farmaci, che possono essere adesi alla superficie metallica (rilascio non controllato), inseriti in pori presenti sugli struts o incorporati in un polimero impiegato come rivestimento dello stent. L’utilizzo di pozzetti permette di avere un rilascio controllato senza l’utilizzo di altri materiali, ma una volta che il farmaco viene completamente rilasciato i pori rimangono vuoti ed elementi corpuscolari del sangue possono entrarci. Se il polimero usato come rivestimento non è biodegradabile il rilascio avviene tramite diffusione, la quantità rilasciata nel tempo dipende dallo spessore del rivestimento.

Esistono diverse classi di farmaci, principalmente vengono utilizzati farmaci con effetto antiproliferativo, che agiscono bloccando il ciclo cellulare e impedendo la proliferazione nel vaso, altri farmaci sono antinfiammatori e immunosoppressivi (immunomodulatori).

Rivestimenti:

- Polimeri biodegradabili: acido polilattico, acido poliglicolico, copolimero PLGA

Attualmente non vengono utilizzati, ma sono sotto studio perché anche se sembrano sicuri a lungo termine, i prodotti accumulati durante la degradazione possono portare a significativa risposta infiammatoria della parete del vaso. Inoltre, la cinetica di degradazione è influenzata da pH, peso molecolare, cristallinità, che rendono difficile il controllo del profilo di rilascio del farmaco. Possono anche portare a trombosi tardiva in quanto si verifica deposizione di parti corpuscolari del sangue dopo molto tempo, che possono generare trombi, le cause potrebbero essere posizionamento non preciso dello stent (riduzione contatto per degradazione), stent troppo grandi che penetrano nella parete portando a morte cellulare, degradazione dello strato endoteliale. Sono in fase di studio anche stent solo in materiale polimerico biodegradabile.

- Polimeri non biodegradabili: PEVA/PBMA e SIBS (I generazione), fluoropolimero e PC (II generazione) - Altri materiali: lega titanio-ossido nitrico, acciaio SS microporoso, idrossiapatite nanoporosa,

nanoparticelle magnetiche

Gli struts degli stent sono di 120-150 micron, aumentare la dimensione/spessore dello strut influisce sulle turbolenze al passaggio del sangue, ciò può portare a formazione di trombi.

LEZIONE 9 – 01/04/20

BioResorbable Stent (BRS)

Sono stent polimerici o metallici bioriassorbibili o biodegradabili, rappresentano una modalità

alternativa di rivascolarizzazione: a breve termine la struttura deve avere buone caratteristiche

meccaniche al fine di mantenere pervio il vaso (struttura portante), a lungo termine bisogna evitare complicanze come i BMS fino a quanto non sparisce.

 POLIMERICI

Il materiale più studiato è il PLLA perché presenta un buon compromesso tra caratteristiche meccaniche e degradazione più o meno rapida. Il primo stent il PLLA fu impiantato sia in modello canino che in modello porcino, i risultati ottenuto furono molto diversi: nel modello canino lo stent mostrava minima evidenza di trombosi, crescita neointima moderata e risposta infiammatoria limitata, inoltre dopo 9 mesi era quai completamente degradato, al contrario nel modello porcino provocava estesa risposta infiammatoria e proliferazione neointimale.

- Igaki-Tamai: primo stent bio-riassorbibile impiantato in umani in PLLA con design a elica a zig-zag. Per aumentare le caratteristiche meccaniche è stato incrementato lo spesso degli struts (170 micron) al fine di ottenere una massa maggiore e di conseguenza una maggiore forza radiale. Essendo una struttura

innovativa si è deciso di non rivestirla con un farmaco in questo modo il fallimento può essere imputabile solo al materiale. Lo stent, montato su palloncino, si espande in automatico grazie alla temperatura. Il materiale polimerico non è visibile durante un esame radiologico, per questo motivo sono stati aggiunti due marker radiopachi d’oro alle estremità, che permettono anche al chirurgo di capire dove e come è collocato lo stent durante l’operazione. La degradazione avviene per erosione di massa, quindi lo stent mantiene la sua forma fino a degradazione avanzata. I risultati dei trial clinici evidenziavano un basso tasso di

complicanze, quindi si è pensato di utilizzare lo stesso stent in zone periferiche (gambe).

Problemi:

- Lento riassorbimento dello stent: dovuta probabilmente all’elevata quantità di cristallinità

- Possibile trombosi formata dai danni alla parte dovuti al calore prodotto dall’espansione dello stent iniziale: viene utilizzata una soluzione salina calda per aumentare localmente la temperatura e deformare maggiormente lo stent, che a 37°C ritorna rigido

- Possibile iperplasia derivante dal trauma alla parete del vaso dovuta allo swelling prodotto dalla continua espansione dello stent: il PLLA non è completamente idrofobico, assorbirà acqua aumentando il suo volume - Restenosi: > 50%

- REVA: stent in policarbonato tirosin-derivato, la tirosina rompe le catene del carbonato rendendolo biodegradabile con prodotti non tossici (biocompatibile) perché metabolizza in aminoacidi, etanolo e anidride carbonica, inoltre l’alta Tg del policarbonato viene ridotta. Non è necessario aggiungere marker radiopachi perché al materiale è legato covalentemente iodio, che lo rende radiopaco, risulta quindi adatto a MRI e TC. La sua geometria ‘a fascetta’ (design slide and lock) permette di espanderlo utilizzando solo aria nel palloncino perché gli struts (spessi 200 micron) riescono a scivolare gli uni sugli altri e a bloccarsi in posizione senza dover intervenire sulla Tg. La velocità di riassorbimento può essere modificata per esigenze diverse (coronaria, placca vulnerabile, lesioni diabetiche). I trial clinici sono stati effettuati in centri di tutto il mondo per osservare come individui con caratteristiche diverse rispondono all’impianto. Questo stent può essere usato sia nelle arterie periferiche che nelle coronarie.

- ART: stent bioriassorbibili periferici e coronarici in isomeri di PLLA, sfruttando specifici rapporti degli isomeri L e d del PLA è possibile ottenere buone caratteristiche meccaniche (rigidezza) e adeguati tempi di degradazione (minori rispetto solo PLLA). L’acqua dal sangue entra tra le catene polimeriche e

gradatamente le rompe.

Studi su diversi stent polimerici hanno mostrato che la percentuale di restenosi diminuisce se è presente un farmaco, che viene rilasciato quando le macromolecole si rompono (degradazione di massa, non di

superficie). È possibile anche sfruttare un coating

 METALLICI

I metalli si degradano attraverso un meccanismo di ossido-riduzione tale per cui vengono ceduti ioni, si usano metalli attivo-passivo (come acciai inossidabili) che si corrodono in tempi molto lunghi e con prodotti non tossici.

- Magnesio e leghe: il magnesio in forma di ione è largamente presente nel corpo umano, la quantità giornaliera necessaria a un adulto sano è di 300-400mg e l’organismo è in grado di eliminare tramite l’urina le quantità in eccesso. In ambiente fisiologico questi stent si degradano con velocità eccessive (< 6 mesi), rilasciando quantità di ioni tossiche per l’organismo. Durante la corrosione inoltre viene prodotto idrogeno che causa embolia. Quindi sebbene il magnesio abbia caratteristiche meccaniche elevate, non è adatto in ambito cardiovascolare, può essere usato in ortopedia come placche di osteosintesi.

Per diminuire la velocità di degradazione sono stati aggiunti al magnesio altri elementi come terre rare, zirconio e ittrio (Mg > 90%), che permettono di mantenere resistenza meccanica e proprietà simili a quelle degli SS e di ridurre la risposta infiammatoria (minor quantità di Mg --> meno idrogeno). La degradazione avviene per surface erosion e diminuisce gradualmente lo spessore degli struts. Per evitare restenosi è stato aggiunto un rivestimento in PLLA con incorporato un farmaco antiproliferativo, esso risulta molto più stabile del magnesio e inizia a degradarsi quando il metallo si è già completamente degradato (diffusione fluidi biologici)

- Ferro puro: il ferro puro al 99,5% o più presenta proprietà meccaniche simili a quelle degli acciai (duttilità e resistenza meccanica) e buona interazione biologica, ma la sua velocità di degradazione è troppo lenta (>

18 mesi) per essere usato in applicazioni biomediche perché il metallo dovrebbe rimanere poco tempo nel corpo. Per accelerare il processo di riassorbimento sono state sperimentate leghe a base di ferro e

manganese o nichel, che contenendo una minore quantità di ferro si corrodono in tempi inferiori e mantengono uno sforzo di snervamento simile. Un altro approccio possibile è utilizzare una tecnica di produzione diversa che modifichi la dimensione dei grani perché a parità di materiali la velocità di corrosione cambia a seconda della loro grandezza. Un’altra possibilità è creare dei compositi, ovvero materiali che presentano una matrice in ferro e caricati all’interno con altri materiali come nanotubi di carbonio, permettono di ottenere maggiori caratteristiche meccaniche con meno ferro. Oppure si possono

effettuare trattamenti di superficie per creare uno strato superficiale che promuova la corrosione nei tempi voluti.

- Zinco e leghe: lo zinco è presente nelle cellule, negli organi, nei fluidi, negli enzimi e nelle secrezioni, svolge funzioni quali mantenere l’integrità strutturale della membrana cellulare, influisce sul metabolismo degli acidi nucleici e sulla trasduzione dei segnali e ha un ruolo importante nella formazione delle ossa (86%

dello zinco si trova nei muscoli scheletrici e nelle ossa). In sé ha proprietà meccaniche non sufficienti per uno stent perché la deformazione a rottura è elevata (60-80%), ma lo sforzo a rottura è basso (30MPa), quindi viene usato insieme a elementi di lega come magnesio, alluminio, calcio e rame. È biocompatibile in quanto viene riconosciuto come self dall’organismo e la velocità di corrosione è intermedia tra quella del ferro e quella del magnesio (tasso degradativo nell’ordine di micrometri/anno)

ESEMPI

- Lega di magnesio: stent in magnesio con grani di diverse dimensioni rivestiti di PCL elettrofilato. È stata studiata la velocità di corrosione dei diversi stent ponendo i campioni in un fluido simile al plasma a 37°C per 7 giorni, una volta estratti, i campioni sono stati posti in acido cromico per rimuovere i residui sulla superficie: infatti se si pesassero subito i campioni non si noterebbe alcuna differenza in quanto sono presenti gli ossidi. La corrosion rate mostra che la velocità si riduce se sono stati effettuati trattamenti termici per modificare le dimensioni dei grani. Durante la corrosione il pH aumenta localmente, quindi è stato misurato il pH per verificare se il rivestimento stia proteggendo il magnesio sottostante dalla corrosione (pH molto basico --> no protezione)

- Lega magnesio: sono state studiate diverse tipologie di superfici del magnesio, che è stato rivestito con un polimero per migliorare la corrosione. La superficie del magnesio è stata resa più rugosa perché una superficie liscia potrebbe provocare delaminazione del polimero rispetto al metallo. Come rivestimento è stato utilizzato il PCL in quanto è più deformabile rispetto al PLA e ciò evita la formazione di cricche dovute all’espansione. Sono state effettuate caratterizzazioni meccaniche: attraverso peel test è stata misurata la forza necessaria a rimuovere il rivestimento dal metallo sottostante, in questo modo è possibile capire se lo sforzo di taglio a cui è sottoposto il polimero potrebbe portare alla sua delaminazione e quindi reazione infiammatoria causata da frammenti (forza di adesione maggiore se il metallo è rugoso perché il film penetra meglio sulla superficie). L’analisi EDS mostra un picco di magnesio esposto sulla superficie anche se il film polimerico sembra omogeneo.

- Ferro puro:

stent in ferro rivestito con PCL elettrofilato sottoposto a una prova di degradazione statica in vitro con soluzione physiological-like. È stata studiata la degradazione sia sul prodotto finito (ferro + PCL) che sui singoli componenti per verificare l’influenza del PCL sulla corrosione del ferro. . I campioni sono stati estratti dai falcon a diversi tempi e sono stati caratterizzati: per ogni materiale dopo un primo periodo di stabilizzazione il pH si assesta a livelli fisiologici. È stata poi visualizzata la struttura al SEM: fin dall’inizio sono presenti delle linee dovute all’estrusione, sul ferro si formano ossidi dovuti alla corrosione, mentre sul ferro + PCL sono presenti lievi modifiche ma non ossidi. L’analisi EDS mostra che sul ferro rivestito ci sono più carbonio e ossigeno dovuto alle tracce di PCL e inoltre è presente ferro, sono invece assenti

calciofosfati. Dopo 60 giorni sullo stent in solo ferro sono presenti molti calciofosfati, mentre sullo stent rivestito sono depositati carbonati. Il ferro interagendo con il PCL forma calciofosfati, ma essi non rivestono il ferro perché rimangono esterni sul PCL, gli ioni ferro rilasciati durante la corrosione promuovono la loro deposizione. Il processo di corrosione non viene quindi inibito

LEZIONE 10 – 07/04/20

MATERIALI PER PROTESI VALVOLARI CARDIACHE

Nel documento LEZIONE 1 09/03/20 MATERIALI POLIMERICI (pagine 38-45)