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CHIRURGIA PLASTICA DELLA MAMMELLA

Nel documento LEZIONE 1 09/03/20 MATERIALI POLIMERICI (pagine 55-62)

Il numero degli impianti è elevato e in continuo aumento, solo negli anni ’90 ci fu una fase di ribasso dovuta al fatto che le protesi erano state tolte dal mercato perché si pensava al bleeding del silicone fuori dal guscio e venivano impiantate solo protesi con soluzione salina, che sono meno performanti. Ad oggi la maggior parte degli interventi (60-80%) viene eseguito a scopo estetico, il testante 20-40% è a scopo ricostruttivo.

La ricostruzione della mammella è una procedura a due stadi:

1 - Espansore tissutale: guscio espandibile in silicone con superficie texturizzata e con una valvola di iniezione integrata o remota contenete un magnete permanente che consente di graduare il riempimento con soluzione fisiologica. Periodo di impianto di 6-18 mesi

2 - Protesi: è costituita da un guscio e da un riempimento. Negli anni sono stati provati diversi riempimenti, ma molti sono falliti (olio di soia si degradava, idrogelo era soggetto a continuo rigonfiamento), ad oggi si usa un gel silicone o una soluzione salina. Anche il guscio esterno è in silicone, ma è reticolato.

Modalità di inserzione: a) dietro ghiandola mammaria: inserzione anteriormente al muscolo pettorale b) inserzione submuscolare: inserzione posteriormente al muscolo pettorale c) dual plane: inserzione dietro il muscolo pettorale (superiormente) e dietro la ghiandola mammaria (inferiormente)

Inizialmente si usava l’olio di soia come riempitivo con un micro-ricetrasmettitore per identificazione non invasiva della protesi durante le visite. Ma presentava innumerevoli svantaggi: l’olio col tempo si degradava e i prodotti di degradazione erano diversi da quelli ipotizzati, spesso (>10%) il guscio si rompeva

provocando la fuoriuscita di liquido, inoltre aumentava l’incidenza della contrattura capsulare.

In seguito, sono state progettate protesi PVP-based che avevano un guscio in elastomero siliconico e un gel bio-oncotico di idroccoloidi. La prima generazione di queste protesi presentava aumento del volume per swelling e si creava un gradiente osmotico a causa dell’assorbimento di liquido. Questi problemi furono ridotti nella seconda generazione, ma non completamente eliminati, inoltre aumentò l’incidenza di contrattura capsulare.

Poi furono create delle protesi con guscio esterno in silicone e riempimento in soluzione salina, che venivano inserite in sede senza soluzione di riempimento e riempite fino al volume finale tramite una valvola. La prima generazione di queste protesi ebbe problemi relativi alla diminuzione di volume a cause di perdite nella valvola di riempimento, il design della valvola fu quindi migliorato nella seconda generazione, che perdeva il 4-8% di volume, ma aveva una vita media minore se paragonate alle protesi in silicone e la soluzione salina poteva muoversi formando pieghe sul guscio.

Dagli anni ’70 ad oggi si usano quasi esclusivamente protesi in silicone. La prima generazione era costituita da un guscio esterno spesso con superficie liscia, un gel viscoso e un rinforzo in dacron, ma andava incontro a contrattura capsulare. Nella seconda generazione il guscio diventò più sottile con superficie texturizzata e il gel meno viscoso (quasi liquido), ma la struttura era fragile e spesso il guscio si forava. Nella terza

generazione, in uso tutt’oggi, il guscio è multilayer, è presente un rivestimento anti-bleeding in copolimero fluoro-silicone e il gel è coesivo (alta densità, maggiore viscosità), in questo modo mantiene la forma contro gravità e se sottoposto a forze esterne, inoltre la probabilità di fuoriuscite è minore. Anche il guscio esterno è reticolato, ma maggiormente rispetto al gel. La forma è più regolare, presenta meno pieghe, il gel migra

meno (minor bleeding), l’incidenza di contrattura capsulare è minore e la vita media è maggiore rispetto a tutti gli altri impianti.

SILICONE SOLUZIONE SALINA

 Inserimento con incisione più estesa

 Vita media più alta

 Meno pieghe

 Maggior mantenimento di forma

 Risultato più naturale

 Più costose

 Inserimento con incisione limitata

 Rottura più frequente

 Rimozione e sostituzione più agevoli

 Più economiche

Texturizzazione: processo industriale per rendere irregolare la superficie delle protesi volto a limitare la formazione di capsula fibrotica. Prima il coating era in poliuretano, ma suscitava risposta infiammatoria non fisiologica, oggi il rivestimento presenta una struttura a pori aperti ottenuta applicando pressione sul guscio ricoperto di uno strato sottile di sale (bombardamento con cristalli di NaCl). Nei pori si forma tessuto che previene la mobilizzazione e rotazione della protesi (macrotexture), nel caso di schiuma poliuretanica il movimento è limitato dall’elevato coefficiente di attrito (microtexture).

La superficie esterna della protesi può essere liscia o texturizzata, nel primo caso viene immersa la protesi in un bagno di silicone che la rende liscia (rugosità non nulla, ma molto piccola), nel secondo la

texturizzazione viene usata per non far muovere la protesi. Un’altra soluzione proposta è quella di rivestire la protesi con un rivestimento di poliuretano espanso (schiuma), che risulta più biocompatibile.

Inizialmente questo tipo di rivestimento era risultato promettente in quando il tasso di formazione di capsula fibrotica era stato ridotto del 30%, ma poi le protesi furono ritirate dal mercato perché i prodotti di degradazione risultavano carcinogenici. Infatti come diisocianato veniva usato il toluene che è tossico e quando il poliuretano si degradava rilasciava ammine. Oggi si usa il metilendiisocianato che non è tossico e non rilascia prodotti tossici, utilizzando queste protesi il tessuto cresce attivamente nella schiuma e la contrattura delle fibre di tessuto molle non causa indurimento o deformazione dell’impianto. Inoltre, analisi istologiche con emetossilina ed eosina mostrano che il tessuto è ben vascolarizzato e la capsula intorno all’impianto ha una superficie liscia e una struttura spessa e densa. Questo tipo di impianto ha una percentuale di insorgenza di contrattura capsulare molto inferiore agli altri tipi di impianti.

Le protesi texturizzate sono molto più utilizzate rispetto quelle lisce.

Caso PIP: il silicone utilizzato era di grado industriale e non biomedico, questo portava alla rottura del guscio. Le protesi sono state richiamate e tolte dal commercio.

Esistono molte varianti sia di protesi in silicone che riempiti con soluzione salina, per scegliere la più adeguata si deve tener conto di volume, proiezione (larghezza), altezza, larghezza o base e rapportarle alla paziente per ottenere un adeguato disegno operatorio.

Complicazioni:

- A breve termine: ci possono essere infezioni a causa di scarsa sterilizzazione o chiusura del sito, ematoma - A medio termine: dolore prolungato sito di impianto, rottura del guscio, bleeding del riempimento, migrazione del gel (anche oltre la capsula fibrotica), perdita di sensibilità al sito di impianto, movimento dell’impianto e asimmetria, risposta infiammatoria acuta

- A lungo termine: contrattura capsulare, infezione, calcificazione

Contrattura capsulare

Formazione di una capsula di tessuto fibrotico attorno all’impianto come parte della risposta fisiologica all’impianto di un corpo estraneo. La zona intorno alla protesi (zona fibrosa decellularizzata) si contrae formando una massa sferica dura, l’indurimento può essere moderato o estremo e può portare alla distorsione del sito di impianto e all’espianto del dispositivo.

La contrattura capsulare è collegata alle infezioni, se si tratta il sito di impianto con una terapia antibiotica si riduce del 50% il rischio di formazione di capsula.

Rottura dell’impianto

La rottura del guscio comporta la fuoriuscita del riempimento e la sostituzione dell’impianto. Le cause di rottura possono essere la contrattura capsulare, l’utilizzo di protesi con superficie liscia o di vecchia generazione o l’utilizzo di una specifica marca.

Invecchiamento

Il silicone è inerte, ma nel tempo la protesi invecchia, il contatto con l’ambiente fisiologico e i fluidi possono portare a una certa degradazione. L’invecchiamento causa un cambio di forma perché il gel di riempimento cambia la viscosità, che diminuisce, facendo perdere consistenza alla protesi. Causa anche calcificazione e aumenta la probabilità di rottura.

Bleeding

Essudazione di macromolecole di silicone e migrazione di gel, che causano una risposta infiammatoria non fisiologica.

Reazione al silicone

Il silicone è un materiale immunogenico, ma potrebbe scaturire un’infiammazione cronica che modifica in modo non fisiologico cellule e tessuti circostanti.

Infezione

Principalmente dovuta alla colonizzazione di Staphylococcus, il rischio è maggiore per pazienti sottoposti a radioterapia

Calcificazione

Deposizione di calcio fosfati sulla superficie della protesi, porta una degradazione del guscio e a un irrigidimento del materiale, che di per sé ha basse caratteristiche meccaniche. È diagnosticabile tramite mammografia e comporta complicazioni a lungo termine

Oltre all’impianto di protesi, viene utilizzato il lipofilling, ovvero una tecnica chirurgica complementare all’utilizzo di protesi mammarie applicabile quando si verifica formazione di cicatrici o ammassi fibrosi.

A volte mettere una protesi può essere un trauma per i tessuti circostanti che non sono in grado di sostenerla, viene quindi tolto dell’adipe da altre zone come cosce o pancia, che viene centrifugato. La centrifugazione porta alla divisione secondo densità del tessuto adiposo aspirato, rottura degli adipociti e fuoriuscita delle cellule staminali presenti all’interno. Le cellule, impiantate mediante iniezione nelle zone circostanti alla protesi, promuovono la rigenerazione del tessuto che deve mantenere la protesi nel sito di impianto. Svantaggio: le cellule potrebbero migrare nei tessuti circostanti quindi la paziente deve essere sottoposta a più cicli di iniezione. Il lipofilling limita i disturbi causati dalla retroazione capsulare, ovvero la contrazione delle miofibre del tessuto capsulare che si forma intorno all’impianto.

ESEMPI:

1- Protesi espiantate e sterilizzate

Analisi volte ad approfondire la conoscenza degli effetti dell’impianto in vivo sui materiali con cui le protesi sono realizzate, rendere possibile una correlazione tra lo stato dei materiali ed i dati clinica dei pazienti, chiarire quale sia il ruolo della variazione delle proprietà dei materiali e del dispositivo sui meccanismi di fallimento più comuni.

Osservazione macroscopica: - mantenimento della forma

- colore: cambia all’aumentare del tempo di impianto

- cambio di consistenza: presenza aria fa si che il gel non aderisca al guscio, riduzione dimensioni del gel

- macchie: calcificazione - topografia superficiale

Osservazioni al SEM e EDS: osservazione lato interno ed esterno del guscio protesico, le macchie sono depositi di NaCl, che è il sale usato per bombardare la protesi e dare la texturizzazione, quindi possono essere rimasti dei depositi che sono aumentati nel tempo.

Caratteristiche meccaniche: prove meccaniche a trazione su provini ricavati da diverse zone del guscio. La correlazione tra modulo secante e tempo di impianto mostra che la rigidezza aumenta nel tempo, ciò potrebbe essere dovuto all’interazione con i fluidi biologici circostanti perché anche se il silicone è inerte, è permeabile quindi i fluidi possono diffondere e interagire con le catene macromolecolari.

Correlazione con dati clinici: correlando sforzo a rottura con il tempo di impianto si vede che per bassi tempi di impianto lo sforzo è medio-elevato quindi il fallimento sarà dovuto a contrattura capsulare. A tempi maggiori lo sforzo diminuisce, quindi la protesi subirà rottura, in due casi lo sforzo è maggiore a tempi intermedi perché sono state irradiate (radioterapia).

Problemi: mancanza di dati per protesi e pazienti, mancanza di più protesi dello stesso modello

2- Influenza radioterapia

Effetti indotti dalla radiazione X possono ripercuotersi su alcune grandezze caratteristiche delle protesi di interesse clinico: - variazioni morfologiche della protesi --> imaging TAC

- variazioni meccaniche del guscio --> prove meccaniche a trazione - variazioni della viscosità del gel --> prove reologiche

Analisi di imaging TAC: per aver valori oggettivi sulle variazioni morfologiche e sul volume, prima e dopo irraggiamento, mantenendo come controllo una protesi non trattata. La radioterapia modifica la protesi:

aumenta la proiezione, cambia il volume e anche il peso. Dalla TAC è possibile notare che aumenta il vuoto dopo 60 giorni, ciò potrebbe essere dovuto a un gel difettoso o potrebbe essere entrata aria che ha modificato l’assetto del gel.

Prove a trazione uniassiale a rottura sul guscio: vengono analizzati modulo elastico, moduli secanti, sforzo e deformazione a rottura. Buona riproducibilità del comportamento meccanico, ma osservando fronte e retro della protesi si nota un comportamento diverso

Prove reologiche su gel: prove con transient shear stress e flow ramp per analisi di viscosità complessa e sforzo di taglio, analisi in oscillation frequency (modulo oscillatorio e f costante) per valutazione del storage modulus e loss modulus. Per valutare se la viscosità rimane costante, prove fatte su campioni presi in zone e profondità diverse, si vede che la radiazione agisce principalmente sulla superficie e sul primo strato di gel. La radioterapia potrebbe promuovere reticolazione e quindi aumento della viscosità.

Le protesi potrebbero avere caratteristiche diverse già in partenza, non è garantita riproducibilità, quindi l’effetto finale dipende sia dalla paziente che dalla protesi.

3- Effetto risonanza magnetica su espansori mammari

Valutazione degli effetti di risonanza magnetica nucleare su espansori mammari provvisti di valvola

magnetica di riempimento. Il guscio è in elastomero siliconico con superficie texturizzata, mentre la valvola di iniezione è un magnete permanente per graduare il riempimento con soluzione fisiologica. Gli espansori vengono riempiti gradualmente per dar tempo ai tessuti di abituarsi al peso, dopo un anno vengono sostituiti con la protesi che sarà sorretta dai tessuti circostanti.

A seguito di RM su donne con espansori, sono stati riportati problemi dovuti a bruciore, migrazione valvola, inversione di polarità della valvola e sensazione di peso sul petto con successiva mancata localizzazione della valvola.

Possibili problemi: riscaldamento, attrazione magnetica, coppia magnetostatica, artefatti che rendono il tessuto vicino alla valvola risulta meno visibile

È stato valutato il possibile aumento di temperatura sia dell’espansore semipieno che pieno, non vuoto perché quando inserito viene subito riempito, gli aumenti di T sono stati valutati in aria o in gel, che imita tessuti molli circostanti la protesi. Con una termocamera è possibile osservare un aumento di T durante la risonanza (per un tempo pari a quello del ciclo di risonanza della paziente). Aumento non rilevante, non varia tra aria e fantoccio.

Poi è stata misurata la deflessione magnetica, ovvero l’attrazione magnetica verso il centro dello scanner subita dagli espansori (vuoti, semipieni e pieni) per effetto del gradiente di campo. A tal scopo è stata costruita una struttura in materiale polimerico, che non interagisce con il campo magnetico, ma offre supporto alla protesi. È stato misurato l’angolo di deflessione, che aumenta con l’ingresso nel magnete, quindi è presente un effetto sulla valvola.

Gli artefatti sono stati valutati qualitativamente osservando gli aloni intorno alla valvola dell’espansore.

Per capire se la valvola si disloca o inverte la polarizzazione si può usare un finder, che serve per capire dov’è la valvola, in questo caso non sono stati rilevati cambiamenti

SEMINARIO 4 – 17/04/20 ADESIONE BATTERICA

Le cellule si distinguono in 2 tipologie:

- Procariote: organismi costituiti da un’unica cellula, che non presenta un nucleo vero e proprio, mitocondri o organelli circondati da membrana, si possono ritrovare in vari ambienti.

- Eucariote: organismo che contiene strutture membranose complesse

Entrambe le tipologie di cellule sono costituite dalle stesse molecole di base e biopolimeri (carboidrati, proteine, acidi nucleici, minerali, grassi e vitamine), sono circondate da una membrana cellulare, contengono ribosomi, hanno bisogno di nutrirsi e producono rifiuti (cataboliti), hanno un complesso sistema metabolico (uso metaboliti e riproduzione), possono sviluppare un sistema di comunicazione complesso per lavorare insieme e svolgere la stessa azione e sono regolate da un sistema elaborati di sensing che le rende consapevoli delle reazioni che avvengono in loro e dell’ambiente circostante.

Una caratteristica che differenzia i due tipi di cellule è la dimensione, c’è circa un fattore 10 di differenza (eucarioti = 100m, batteri = 5-10m), i virus hanno dimensioni ancora più piccole (300nm), ma il fatto che la struttura sia più semplice non significa che siano più innocui, anzi tendono a essere più tossici. Le

infezioni dovute a batteri causano anche morti, quindi sono più semplici ma riescono a mettere in atto una serie di operazioni per danneggiare e attaccare una cellula eucariote.

Mitocondri e batteri hanno le stesse dimensioni, secondo la teoria endosimbiontica originariamente i mitocondri erano dei batteri, che sono stati inglobati in microorganismi più grandi, questa simbiosi portava vantaggi a entrambi: l’organismo grande garantiva scambio di nutrienti, mentre i mitocondri energia.

Differenze tra batteri e virus: i virus a differenza dei batteri non sono organismi viventi, sono particelle costituite da acidi nucleici racchiusi in una capside (guscio proteico, costituito da capsomeri), sono parassiti perché non hanno una macchina interna per replicarsi ma possono replicare solo se infettano una cellula ospite. Il virus una volta internalizzato nella cellula ospite, rilascia DNA virale che viene trascritto e tradotto in proteine che vanno a costituire la progenie virale o RNA che è già pronto per riprodurre il virus.

I virus che infettano le cellule animali solitamente presentano anche una struttura lipidica perché gemmano dalla membrana cellulare.

Batteriofagi o fagi --> infettano batteri

Glicoproteine fungono da recettori per riconoscere determinate cellule e infettare quelle.

Procarioti

Anche i batteri possono avere diverse forme che ne caratterizzano la tipologia:

- Cocci: hanno forma sferica (straphylococcus aureus) - Bastoncelli (escherichia coli)

- Spirale: responsabili di infezioni del sistema riproduttivo - Vibri: hanno forma a virgola (colera).

Nei batteri il genoma si trova come un unico gene/cromosoma circolare disperso a formare un nucleoide a cui manca la membrana. il plasmide è un piccolo pezzo di DNA, che contiene 5-100 geni non essenziali, ma che consentono al batterio di avere caratteristiche particolari come resistenza agli antibiotici, ovvero di produrre enzimi che sono in grado di scindere gli antibiotici/idrolizzare dei legami per renderli inefficaci, e fattori di virulenza (molecole che permettono al patogeno di crescere). Il plasmide può essere trasferito tramite coniugazione: un batterio si può coniugare attraverso i pili e creare gallerie per trasferire il plasmide replicato.

Anche i batteri hanno un citosol che si chiama protoplasma, che è una struttura gelatinosa formata da acqua, enzimi, nutrienti, rifiuti e gas, all’ interno del quale ci sono sostanze nutritive, ribosomi ecc..

I ribosomi dei batteri sono costituiti da due subunità leggermente diverse da quelle degli eucarioti ma con le stesse funzioni. Ricerche recenti hanno riscontrato che tutti i procarioti hanno un citoscheletro, anche se più primitivo rispetto agli eucarioti. La membrana plasmatica è costituita da un doppio strato fosfolipidico, senza ha steroli (quindi è più rigida), e da proteine. Essendo fosfolipidica è carica negativamente quindi c’è polarità, la parte lipidica è impermeabile alle molecole cariche me ci sono proteine transmembrana per il passaggio di ioni, nutrienti e rifiuti. È anche presente una parete cellulare (esoscheletro protettivo) che dà resistenza ed è costituita da una mesh polimerica di peptidoglicani (zuccheri + amminoacidi). Gli

amminoacidi sono di tipo D che noi non siamo in grado di produrre. Alcuni nostri enzimi (in saliva) sono in grado di scindere il legame del peptidoglicano per renderli inattivi. Un monomero di peptidoglicano è costituito da: 2 amino-zuccheri uniti (NAG = N-acetilglusammina e NAM = acido N-acetilmuramico) e una catena peptidica di 3-5 amminoacidi.

Possiamo distinguere i batteri a seconda del tipo di parte cellulare:

- Gram positivi: hanno una parete spessa costituita da una mesh fitta di peptidoglicani e acido teicoico.

Durante la colorazione Gram trattengono il colore e appaiono viola al microscopio grazie all’elevata quantità di peptidoglicani presenti nella parete (es. streptococco, strafilococco).

- Gram negativi: hanno una parete cellulare sottile formata da pochi strati di peptidoglicani circondata da una membrana di lipopolisaccaridi (LPS fungono da endotossine e sono tossici per il corpo) e lipoproteine.

Durante la procedura di colorazione Gram non trattengono il colore (safranina - fucsia) grazie agli LPS e appaiono rosa al microscopio (es. salmonella, escherichia coli).

Molti batteri presentano anche una capsula relativamente impermeabile, composta da polimeri come polisaccaridi e proteine, intorno alla parete cellulare. La presenza di una capsula esterna rappresenta un fattore virulento in quanto evita la fagocitosi perché fa scivolare il macrofago che non riesce a mangiarlo, inoltre in condizioni estreme rappresenta un fattore di nutrimento per le cellule batteriche.

Altre strutture che possono essere presenti sulla superficie del batterio sono i flagelli, strutture cilindriche semi rigide responsabili della motilità del batterio, le fimbrie, ovvero strutture filamentose (appendici proteiche) che servono per aderire ad altre superfici e formare il biofilm, e pili (simili a fimbrie ma più lunghi e in minor numero) che consentono la coniugazione dei batteri per trasferire il plasmide o l’adesione alle superfici. Batteri che hanno il flagello si trovano nel fenotipo plantonico, non vivono adesi ma si

trovano sospesi in un fluido.

Ambiente batterico: si trovano ovunque ci siano nutrienti base e acqua, non tutti i batteri però possono vivere ovunque. Spesso sono trasportati in bioareosol (particelle sospese) che veicola la trasmissione di patogeni.

Ciclo di vita: la scissione binaria è la divisione di un batterio in due cellule figlie. La crescita batterica in laboratorio avviene in un brodo di cultura e può essere rappresentata da 4 fasi.

1. Fase di lag/ritardo: all’inizio il numero di cellule non cresce molto perché si devono adattare al nuovo ambiente ricco si nutrienti in cui trovano. È caratterizzata da alti tassi di biosintesi perché vengono prodotte le proteine necessarie per una rapida crescita.

1. Fase di lag/ritardo: all’inizio il numero di cellule non cresce molto perché si devono adattare al nuovo ambiente ricco si nutrienti in cui trovano. È caratterizzata da alti tassi di biosintesi perché vengono prodotte le proteine necessarie per una rapida crescita.

Nel documento LEZIONE 1 09/03/20 MATERIALI POLIMERICI (pagine 55-62)