nell’unione sempre più stretta e più santa delle due facoltà, quella sperimentale e quella razionale, unione che non si è finora realizzata.
3.3 Apprendimento formale e informale: una scuola che si apre al mondo
La società, oggi, offre innumerevoli fonti di informazione e di scambio, alle quali può accedere oramai la grande maggioranza delle persone. La varietà delle occasioni e delle offerte formative costruiscono quello che è stato definito un ecosistema dell’apprendimento. In tale nuovo contesto sociale, è indubbio che anche l’apprendimento detto non formale (organizzato, intenzionale, ma non curricolare) e quello informale (casuale e non intenzionale) sono diventati elementi fondamenta l i, talvolta prevalenti, nella formazione dell’individuo. Apprendimento non formale e informale vengono definiti di solito per contrapposizione alla didattica tradiziona le, nella quale l’insegnante ha il ruolo di fornire informazioni e conoscenze allo studente, prescrivere compiti di studio e di esercitazione, ovvero la cosiddetta “didattica trasmissiva” (Houle, 1980, Smith, 2003) 33. In Tabella 7 sono schematizzate le
principali caratteristiche dell’apprendimento formale ed informale.
Tabella 7
Caratteristiche delle modalità di apprendimento informale e formale (J. Wellington, 1990)
33http://www.wilderdom.com/e xperientia l/ExperientialLearningWhatIs.html
Informale Formale
Volontario Obbligatorio
Casuale, non strutturato, non sequenziale
Strutturato e sequenziale Non valutato e non certificato Valutato e certificato
Senza restrizioni di tempo Delimitato
Guidato da chi apprende Guidato da chi insegna Centrato su chi apprende Centrato su chi insegna
Extrascolastico Basato sulla classe e sul tipo di
scuola
Non programmato Programmato
Molti risultati non previsti (risultati più difficili da valutare)
Pochi risultati non previsti
Aspetto sociale centrale (ad es.: apprendimento cooperativo)
Aspetto sociale marginale
Non diretto e senza legislazione Istituzionalizzato e diretto (controllato)
Già dagli anni ’90, accanto all’apprendimento formale, la modalità informale assume una valenza educativa dichiarata. Le due modalità vengono rappresentate in maniera schematica, semplificando le sfumature intermedie esistenti nella realtà, e in tal modo appaiono l’una in contrapposizione dell’altra: tale definizione esprime chiaramente il contrasto dei metodi educativi praticati nella nostra società. Tra le competenze da potenziare, raccordate con quelle stabilite a livello europeo, è chiaro dunque che ha priorità il “potenziamento delle metodologie laboratoriali e delle attività di laboratorio”.
Attualmente si parla anche di un apprendimento non formale quale stadio intermed io. Secondo la terminologia VET “Terminology of Euopean education and training policy” 34 possiamo dare infatti le seguenti definizioni:
Tabella 8
Apprendimento formale, non formale, informale
Apprendimento formale
Si intendono quei processi educativi attivati in un contesto organizzato e strutturato (scuola, Università, istituti di formazione accademica e post- scolare), esplicitamente progettati e i cui esiti, ottenuti attraverso un percorso curricolare, siano misurabili e possano dunque essere in qualche modo certificati. Tale modalità di apprendimento è dunque intenzionale dal punto di vista del discente e di norma sfocia in una convalida e/o in una certificazio ne.
Apprendimento non formale
Anche denominato “apprendimento semi-strutturato”, si intende quello collegato ad attività che, seppure formalizzate e definite (ambienti di lavoro, musei ecc.), non sono esplicitamente progettate per il raggiungimento di specifici obiettivi di apprendimento. L’apprendimento non formale è intenzionale e teso a migliorare l’esercizio di precise attività e l’acquisiz io ne di competenze specifiche; il sapere che viene acquisito è prevalenteme nte
34Fonte Glossario della terminologia VET “Terminology of Euopean education and training policy” - Official
Publications of the European Communities”, CEDEFOP (Centro Europeo per lo Sviluppo della Formazio n e Professionale) 2008]
volto all’agire pratico e dà luogo ad esito immediatamente visibile. Esso è caratterizzato da una libera volontà, ed è accessibile a tutti, partecipativo e centrato sull’apprendimento, fondato sull’esperienza e sulla relazio ne, impostato sulle esigenze del soggetto che apprende. L’apprendimento si realizza nell’ ambito di attività pianificate, non specificamente concepite come apprendimento in termini di obiettivi e di tempi e di risultati. L’apprendime nto non formale non sfocia di norma in una certificazione.
Apprendimento informale
Non organizzato né strutturato, che si protrae lungo tutto l’arco della vita e risultante dal flusso delle esperienze e delle attività connesse con la quotidianità, con il lavoro, la famiglia, lo svago, l’associazionismo; in tali contesti le persone apprendono comportamenti, valori, competenze e conoscenze. I contenuti di questo apprendimento non sono sistematici né organizzati: caratteristica essenziale è che in questo caso l’apprendimento è spesso connesso alla soluzione di problemi. Non è strutturato (in termini di obiettivi di apprendimento, di tempi o di risorse) e di norma non sfocia in una certificazione. L’apprendimento informale può essere intenzionale, ma nella maggior parte dei casi non lo è. La modalità di apprendimento attraverso la riflessione sulle esperienze quotidiane, apprendimento “esperenziale” che l’individuo sviluppa e organizza da solo. Imparare dall’esperienza diretta è per l’individuo “la via naturale all’apprendimento” o anche “la formazione che deriva dalla partecipazione diretta negli eventi della vita”.
Fino a qualche decennio fa, la comunità scientifica riconosceva quasi esclusivame nte la validità dei metodi formali; attualmente, invece, le alternative all’apprendime nto tradizionale vengono ampiamente accolte. Ciò è avvenuto per prima in quei paesi dell’Europa e dell’America del Nord in cui un appassionato dibattito ha coinvolto i maggiori esponenti della società: scienziati, artisti, insegnanti, psicologi, industriali e politici (Schroeder 1992). Attualmente questo nuovo indirizzo è stato accolto in pieno anche nel nostro paese con la riforma dell’istruzione, prevista dalla Legge 107/2015, la quale auspica l’utilizzo delle modalità informali accanto a quella tradizionale per attuare le proprie finalità educative. In particolare, nel già citato comma 7, si parla in riferimento agli “obiettivi formativi prioritari” di:
- sviluppo di comportamenti responsabili,
- sviluppo delle competenze digitali degli studenti, con particolare riguardo … ai legami con il mondo del lavoro,
- potenziamento delle metodologie laboratoriali e delle attività di laboratorio, - incremento dell’alternanza scuola-lavoro nel secondo ciclo d’istruzione,
Infatti la stessa legge, per introdurre momenti non formali nell’apprendime nto scolastico, introduce anche la possibilità di aprire le scuole anche nei periodi di sospensione dell’attività didattica (c. 22), di inserire insegnamenti opzionali nel triennio (c. 28), e impone di costruire un Curriculum dello studente che consenta “una trasparente lettura della progettazione e della valutazione per competenze”. Essa introduce l’obbligo di percorsi di alternanza scuola-lavoro anche nei licei per 200 ore nel triennio (400 ore negli istituti tecnici e professionali) per “incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti”. In tali modi la scuola si apre all’extrascuola, proponendo una cultura del fare scuola “quale canalizzatore di processi educativi che hanno luogo al suo esterno”.
Dunque, il quadro di riferimento per una nuova scuola, aperta al mondo esterno, è stato delineato, ma restano molti nodi da sciogliere, in primis la modalità operativa e, non secondariamente, il problema della valutazione. È evidente che solo una valutazione delle competenze, e in particolare delle competenze chiave di cittadina nza, potrà consentire alla scuola di descrivere e misurare tutto l’insieme di apprendimenti ‘nuovi’, fondamentali per la persona e per il mondo del lavoro, che lo studente acquisirà nell’incontro fra formale e non formale.
Nella legge 107 questa nuova idea di scuola si sostanzia di strumenti concreti: dal Piano Nazionale Scuola Digitale, al Portale unico, ai Laboratori territoriali per l’occupabilità. Questi strumenti rappresentano la possibilità di concretizzare le disposizioni di legge tramite finanziamenti, dopo molti anni di riforme rivolte sostanzialmente ad ottimizzare le risorse.
Nella traduzione in pratica didattica esiste inoltre il rischio di una netta separazione fra la dinamicità e lo spirito innovativo delle pratiche non formali, con la sostanzia le staticità metodologica e organizzativo/struttura le dell’istruzione formale. Adottare le nuove metodologie di apprendimento significativo (indagine, problem solving, laboratorialità, flipped class ecc) richiede una messa in discussione dell’orario scolastico e dell’organizzazione delle classi. “Per favorire lo sviluppo della didattica laboratoriale, le istituzioni scolastiche possono anche dotarsi di laboratori territoria l i
per l'occupabilità attraverso la partecipazione, anche in qualità di soggetti cofinanziatori, di enti pubblici e locali, camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, Università, associazioni, fondazioni. Ciascuna istituzione scolastica, agendo la propria autonomia, può individuare tempi, contenuti, modalità, orientame nt i educativi e pedagogiche che facilitino l'apprendimento pratico e situato per costruire esperienze in grado di coniugare il sapere con il fare”35. Il laboratorio, oltre ad essere
una dimensione didattica, può essere realizzato infatti sia in spazi fisici di apprendimento/relazione posti nella scuola stessa (atelier, biblioteche, mediateche, ludoteche, palestre, ecc.), che al di fuori di essa, in luoghi specializzati (i parchi, i musei, ecc.).
La sfida che si prospetta è dunque quella di riuscire a raccordare molteplici spinte e fattori, nella loro complessità: la dimensione conoscitivo/trasmissiva della scuola va salvaguardata, ma rileggendola alla luce di tutte le nuove esigenze illustrate. Affinc hé questo traguardo sia raggiunto, è necessaria, a nostro avviso, la sinergia di diversi fattori: innanzitutto le “teste ben fatte dei docenti” (Morin, 2000) e dunque la loro formazione; il supporto dell’Amministrazione: la tempestività e la snellezza dei decreti in applicazione della legge sono importanti; l’interesse del mondo del lavoro e della società civile: disponibilità a costruire percorsi integrati col mondo del lavoro, coinvolto nella formazione del lavoratore e nella diffusione di un’etica e di una cultura del lavoro.
È evidente che nasce la necessità di elaborare nuove strategie che consentano da un lato di stabilire protocolli di validazione delle fonti di apprendimento, e dall’altro di valutare le competenze acquisite fuori dai contesti istituzionali dell’istruzione e della formazione, soprattutto in vista di una loro efficace integrazione con il sistema dell’apprendimento formale. Lo scopo è realizzare quello “spazio europeo dell’apprendimento permanente” che, secondo quanto indicato dalla Comunicazio ne della Commissione Europea [COM (2001) 678], consentirà al nostro Continente di continuare ad essere competitivo e dinamico. All’interno di uno scenario molto complesso, articolato e in continua mutazione come questo, la scuola, oltre a conservare il ruolo fondamentale di trasmissione e conservazione del sapere (canone), deve saperne assumere anche quello di catalizzatore di processi educativi che hanno luogo al suo esterno (“la scuola fuori dalla scuola”)36.
35Articolo 60 Legge 107/2015
36 L’outschooling e l’unschooling di area anglosassone: "What we want to see is the child in pursuit of
In definitiva aprirsi all’educazione non formale e informale significa acquisire la consapevolezza di trovarsi all’interno di un “Learnin Ecosystem” (“Ecosistema di apprendimento”)37, cioè di un sistema complesso ed eterogeneo, in cui i percorsi
formali della scuola convivono, si intrecciano e si confrontano con le occasioni di apprendimento esterne. Tali ecosistemi di apprendimento non sono realtà astratte, ma operano nel concreto della nostra quotidianità, laddove istituzioni e persone interagiscono, anche se in modo non sempre lineare e coordinato. Ottimizzar l i, migliorarli e ricondurli a sistema, senza tuttavia perderne la complessità, la ricchezza e la flessibilità che li caratterizzano e che ne costituiscono a risorsa fondamenta le, definisce un importante quanto difficile obiettivo38.
Luigi Berlinguer ha inquadrato questo passaggio nell’ambito del necessario cambiamento verso una scuola più flessibile, più ispirata dal piacere di apprendere e meno prigioniera delle griglie curricolari, disciplinari, temporali.
Le sperimentazioni e le buone pratiche in tale direzione sono sempre più numerose e dunque tracciano un itinerario a cui fare riferimento39. Di seguito, in Tabella 9, vi è
uno schema delle principali tipologie.
Tabella 9
Modelli di buone pratiche per l’apprendimento informale e non formale a scuola
Un primo modello a cui siamo invitati a ispirarci propone esperienze autosufficienti di apprendimento non formale, esterne alla scuola e offerte da un ente. Esso è convalidato da numerose ricerche e dall’esempio di esperienze nazionali di successo, tra cui il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano (che ha costruito nel tempo un grande numero di laboratori e moduli formativi) e le mostre itineranti, come la mostra GEI40 dell’Università di Udine.
37 STEM Learning Is Everywhere: Summary of a Convocation on Building Learning Systems, in http://www.nap.edu/catalog.php?record_id=18818
38 Documento di lavoro del Congresso nazionale Experimenta 4 “Scuola e apprendimenti non formali
della scienza e della tecnologia” F. Fierli, M. Fierli, F. Rocca, C. Salone, M. Ricciardi e L. M. Catena http://www.experimenta-
pensarefarescienza.it/Experimenta_Pensare_e_fare_scienza/Home_files/DOCUM ENTO%20DI%20L AVORO%20EXPERIM ENTA%204_1.pdf
39 Convegno Miur “Experimenta 4” Firenze 2015
http://www.experimenta-pensarefarescienza.it/ Experimenta_-_Pensare_e_fare_scienza/Home.html
Un secondo modello è quello che contiene esperienze extrascolast ic he circoscritte nel tempo, intorno alle quali le scuole costruiscono un percorso curricolare. È il caso dei progetti proposti alle scuole dall’Università. Spesso i percorsi non realizzano solo un passaggio dal non formale al formale, ma anche un percorso circolare: programmazione di docenti e ricercatori, lezioni preliminari agli studenti, visita guidata o visita più attività laboratoriale, con ritorno al curricolo. In esso rientrano anche le attività offerte dalle scuole estive.
Il terzo modello si concretizza nei progetti organizzati e gestiti dalla scuola, preferibilmente con la collaborazione di un ente esterno. Il progetto prevede spesso la costruzione di apparati complessi di vario genere: robotica, ottica, astronomia, fisica dei materiali. Altre volte si tratta di indagini tematiche multidisciplinari con una forte componente laboratoriale. Rientra in questo modello la creazione e gestione di un museo scolastico.
Le sperimentazioni oggetto di questo lavoro (che descriverò nei capitoli successivi) ricoprono tutti i tre modelli di riferimento sopra descritti: la mostra Divertiesperime nt i si ispira al primo modello; le diverse attività progettuali proposte alle scuole rientrano nel secondo e nel terzo.
Sono, queste da noi svolte, sperimentazioni di coordinamento fra formale, non formale e informale che possono essere utilizzate nella pratica didattica avendo, ritengo, le principali caratteristiche di una buona pratica, ossia: un impatto qualitativamente e quantitativamente significativo; la replicabilità, ovvero la continuità delle esperienze; la trasferibilità in altri contesti; la sostenibilità in relazione alle risorse disponibili.
Questo lavoro di ricerca si basa sulla convinzione che enti esterni alla scuola, e in particolare l’Università, possano fornire supporto e partecipazione a percorsi di apprendimento scolastico, anche non formale. Tale compito istituzio na le dell’Università rientra, del resto, nella cosiddetta “Terza Missione” che sancisce un’apertura verso il contesto socio-economico mediante la valorizzazione e il trasferimento delle conoscenze, raccomandata da tutti gli organismi internazionali41.
41 Il decreto legislativo 19/2012, che definisce i principi del sistema di Autovalutazione, Valutazione
Periodica e Accreditamento, e successivamente il DM 47/2013, che identifica gli indicatori e i parametri di valutazione periodica della ricerca e della terza missione, hanno riconosciuto a tutti gli effetti la terza missione come una missione istituzionale delle Università, accanto alle missioni tradizionali di insegnamento e ricerca.