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nell’unione sempre più stretta e più santa delle due facoltà, quella sperimentale e quella razionale, unione che non si è finora realizzata.

3.2 La didattica laboratoriale

Per quanto riguarda la fisica, permane la tendenza ad insegnare in maniera “letteraria”, a “raccontare la fisica” più che a sperimentarla con i ragazzi. Certamente, per molti docenti risulta più agevole e semplice, sia per la loro formazione che per l’impegno che richiede l’organizzazione di materiali e percorsi sperimentali efficac i. Ma in tal modo i discenti apprendono meccanicamente, spesso dal solo testo, senza essere guidati a cogliere l’essenza del pensiero scientifico, né a saper trasformare in competenze le conoscenze apprese.

Troppo spesso la fisica “è vissuta allora come una disciplina che parla di cose che non esistono (il punto materiale, il gas perfetto ecc.), mediante leggi difficili, che non si sa quando usare. La bellezza, l’utilità e il vasto impiego della disciplina non emergono nei corsi di fisica” (Michelini, 2002).

Le direttive educative in Italia, recependo le indicazioni della Comunità Europea, auspicano una modalità interattiva di insegnare le scienze ed in particolare la fisica, che coinvolga in prima persona chi si accinge ad apprendere.

In particolare, le Indicazioni Nazionali per il profilo culturale, educativo e professionale dei Licei recitano: “i percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze”27.

Per raggiungere questi risultati occorre la piena valorizzazione di tutti gli aspetti del lavoro scolastico:

• lo studio delle discipline in una prospettiva sistematica, storica e critica; • la pratica dei metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari;

• l’esercizio di lettura, analisi, traduzione di testi letterari, filosofici, storici, scientifici, saggistici e di interpretazione di opere d’arte;

• l’uso costante del laboratorio per l’insegnamento delle discipline scientifiche; • la pratica dell’argomentazione e del confronto;

• la cura di una modalità espositiva scritta e orale corretta, pertinente, efficace e personale;

27 Art. 2 comma 2 del regolamento recante “Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei”

• l‘uso degli strumenti multimediali a supporto dello studio e della ricerca.

Abbiamo già sottolineato che la nuova legge di riforma scolastica, la 107 del 2015, ha la didattica laboratoriale come elemento centrale: essa è indirizza a “realizzare una scuola aperta, quale laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazio ne didattica”. Nell’attuazione del regime dell’autonomia la metodologia dei laboratori può diventare uno strumento di base di una scuola; essa va organizza ta (con scelte didattico-educative conseguenti l’analisi delle esigenze formative dell’ute nza) sfruttando al meglio le risorse sia interne che esterne previste dalla normativa; il sistema può mettere a disposizione spazi, materiali, attrezzature, metodologie, esperti ecc. ma non può prescindere da una competenza specifica del docente.

Pur tuttavia, se analizziamo la pratica, la metodologia dei laboratori non risulta essere ancora una modalità di lavoro sufficientemente diffusa nella scuola italiana: notiamo che, con il procedere della scolarità e delle conoscenze, il gioco di scoperta e immaginazione che molti insegnanti delle scuole dell’obbligo propongono - soprattutto nelle scuole elementari, cede il passo ad una carenza di laboratori, che quando esistono sono quasi solamente laboratori di addestramento e di verifica, intesi letteralmente allo scopo di convincere gli studenti che la teoria corrisponde alla realtà sperimentale.

Ma vediamo cosa intendiamo per “laboratorio”: il laboratorio, possiamo dire, dovrebbe essere "un'officina di metodo", dove non è possibile offrire apprendiment i preconfezionati, dove si progettano e sperimentano i progetti didattici a base interdisciplinare, dove, si ricercano e ritrovano le motivazioni infantili e adolescenzia l i depauperate dai media. Nel laboratorio si privilegia l'aspetto euristico (Frabboni, 2004). In laboratorio l’esperienza individuale dovrebbe essere alla base di una ricostruzione culturale: le teorie assumono significato in quanto servono per rispondere ai perché, diventando significative e motivanti.

Una didattica siffatta è basata sulla relazione educativa, sulla motivazione, sulla curiosità, sulla partecipazione, sulla problematizzazione; sull'apprendime nto personalizzato e sull'uso degli stili cognitivi e della metacognizione; sul metodo della ricerca; sulla socializzazione e sulla solidarietà. I riferimenti teorici di tale modalità di insegnamento sono ancora una volta l’interconnessione tra apprendere e fare (J. Dewey 1938); l'inseparabilità tra riflessione, linguaggio e azione (J. B. Bruner 1969); l’elaborazione delle conoscenze, l’imparare ad imparare nel laboratorio quale sede

privilegiata per la scoperta, l'osservazione, la ricerca-azione intorno ai fatti cultura li (F. Frabboni 2004); l’integrazione delle opportunità offerte dalla scuola con quelle offerte dal mondo esterno, possiamo dire fra formale ed informale.

La storia della didattica della fisica sperimentale moderna ha come pietra miliare il progetto PSSC (Physical Science Study Committee), Comitato formato nel 1957 negli Stati Uniti da circa 60 tra i più eccellenti fisici teorici, ricercatori, esperti di problemi didattici, insegnanti di fisica dell’epoca, che ha lavorato per circa un anno per produrre un corso di fisica per le scuole secondarie superiori. Lo scopo era fornire materia li completi che facessero conoscere agli studenti le idee fondamentali della fisica classica e moderna e desse loro le conoscenze fisiche indispensabile nella cultura di un uomo “moderno”. Tale opera, oltre che voler fornire una summa di argomenti e contenuti, ha affermato per sempre la necessità di un cambiamento profondo nell' insegname nto della fisica nelle scuole secondarie: la necessità di fare sperimentazioni. Assieme al libro di testo, furono resi disponibili una guida per gli insegnanti, molti filmati, test standardizzati per la verifica, e soprattutto istruzioni per la costruzione di apparati sperimentali con materiali poveri, progettati dal PSSC stesso28.

Un uso diffuso del laboratorio serve per investigare il quotidiano, per porre problemi, per progettare nuovi esperimenti, per giocare con le regole della ricerca o per ripercorrere esperimenti storici, costituendo così uno dei perni intorno al quale ruotano le scienze moderne. Le scienze naturali non a caso vengono spesso chiamate “scienze sperimentali” per ricordare, anche nel nome, che l’osservazione, gli esperimenti, il laboratorio sono strumenti essenziali per la loro costruzione.

Sul peso rilevante nella ricerca scientifica dei modelli e delle teorie rispetto all’osservazione e all’esperimento c’è dunque tuttora un grande dibattito fra gli scienziati. Ma si può accettare la tesi che se i modelli e le teorie forniscono un’organizzazione dei fenomeni in un sistema logico coerente, gli esperimenti e il laboratorio forniscono strumenti essenziali per costruire la conoscenza scientifica.

L’intelligenza, sappiamo, non è solo cognitiva; la componente di manualità con quella di immaginazione costruttiva che accompagna gli esperimenti sono in grado di far emergere competenze che spesso nella scuola non vengono sviluppate Gli esperimenti e il laboratorio contribuiscono, dunque, a costruire una immagine più

28 Zanichelli scuola 1963

critica e al tempo stesso più corretta della scienza attuale, che non è dogmatica e noiosa ma è “creativa” e coinvolgente.

Gli esperimenti, non solo raccontati ma anche ‘agiti’ (Goldstein 1979, Swezey 1973, Walker 1975, Zanetti 1980), permettono di risolvere due problemi in una volta: da una parte contribuiscono infatti a costruire un’immagine più critica e al tempo stesso più corretta della scienza attuale, mentre dall’altra contribuiscono a rinnovare l’istituzio ne educativa, e a farne un luogo in cui si confrontano le conoscenze, anche acquisite altrove, oltre a costruirne di nuove.

L’apprendimento delle scienze deve integrare le conoscenze teoriche con le applicazioni a casi concreti delle stesse (“knowing and doing”): il coinvolgimento in attività pratiche consente infatti di sviluppare una comprensione concettuale in maniera molto più efficace rispetto ad una didattica basata sulla memorizzazione delle nozioni (Clark, 2006; Driver et al., 1996, NAP 2015). Nell’insegnamento delle scienze deve entrare l’approccio learning by doing e learning by experience, abilitato dal laboratorio e dalle tecnologie digitali, al posto di quello passivo e nozionistico.

Il laboratorio quindi dovrebbe essere diffuso durante tutta l’attività di insegname nto. Ma ciò non basta, bisogna evitare che il laboratorio diventi un’attività di routine, incapace di produrre domande, vere competenze e abilità. (Mayer 1989; Vicentini e Mayer 1996).

Bisogna dunque chiedersi quando un laboratorio risulta significativo e quando invece diventa solo un’attività di routine, che nulla aggiunge all’apprendimento. Di certo non ha molto senso utilizzare il laboratorio esclusivamente come mera verifica di leggi già presentate. Vi sono infatti molteplici altre tipologie di laboratori didattici proponibili come schematizzato in Tabella 6.

Tabella 6

Principali tipologie di laboratorio didattico

Laboratorio Povero (con le cose di tutti i giorni) Laboratorio con Kit di pronto utilizzo

Laboratori “Hands on” (con Exhibits, apparecchiature interattive) Laboratori storico (con collezioni di strumenti museali)

Laboratorio multimediale: 1) simulazioni (Interactive physics) ; 2), video Laboratorio di robotica educativa

laboratorio di misure – (con teoria e calcolo degli errori di misura) Laboratori di ricerca (Apparecchiature scientifiche)

L’ordine scelto in tabella è indicativamente crescente in base alla complessità media di strumenti ed attrezzature utilizzate. Benché un esperimento “ex cathedra” permetta comunque di isolare un fenomeno dalla molteplicità di fenomeni che lo circonda e per indicarne gli elementi problematici e caratteristici, ritengo molto più significativi gli esperimenti che identificano il problema da affrontare. Ad esempio, un corpo che cade è un dato di fatto, non un problema: diventa un fenomeno da studiare solo all’inter no di un contesto di conoscenze che li identifica come interessanti e/o problemat ic i (Joshua e Dupin, 1993). Gli esperimenti interattivi poi, più o meno guidati dal docente e svolti dagli allievi, possono costituire un’esperienza di scoperta, per “imparare giocando”; si può inoltre richiedere di fare osservazioni (“cosa succede se…”), e anche previsioni e controllo dei risultati. Una modalità sperimentale di tale natura, che attiva particolarmente la partecipazione diretta29, è quella cosiddetta hands-on (Cerreta,

2005), ossia che fa passare l’osservazione attraverso la manipolazione diretta del fenomeno stesso con materiali poveri, appositi kit didattici30 o anche artefatti (exhibits31) che lo rappresentano.

Sicuramente è costruttivo anche proporre laboratori progettuali, nel quale i ragazzi stessi possono passare a ritroso dalla formalizzazione dei concetti e delle idee al progettare le esperienze basate su tali concetti invertendo il “se faccio capisco” al “se capisco, faccio”. In laboratorio si possono poi anche riproporre degli esperimenti storici, per capire meglio il nesso della pratica empirica con la teoria e i procediment i euristici del passato.

Per comprendere meglio lo spirito dello scienziato e per sviluppare capacità di astrazione è utile poi sviluppare esperimenti mentali, che le nuove tecnologie rendono possibile anche grazie ad un laboratorio virtuale, con la possibilità di simulazioni o anche “soltanto” di utilizzare l’enorme disponibilità di risorse, soprattutto video, con esperimenti già svolti. La possibilità di effettuare esperimenti con la Robotica educativa32 riserva poi un’ampia gamma di possibilità didattiche creative e divertent i. Le tipologie di laboratorio che si possono proporre durante la didattica della fisica

29 UNESCO (Compiled by ) 700 science Experiments for everyone Foreword by Gerald Wendt -UNESCO

SOURCE BOOK FOR SCIENCE TEACHING Doubleday 1956, 1962 (USA)

30Tale modalità è alla base del progetto “Nuove idee per la didattica laboratoriale" cui il Dipartimento

partecipa come partner; Ernesta De Masi, http://didatticalaboratoriale.altervista.org/

31 Tale modalità è alla base della mostra interattiva DivertiEsperimenti del Dipartimento di Fisica “Caianiello” dell’Università di Salerno

32 L’idea di far gestire i computer ai ragazzi, fornendo loro oggetti che potessero manipolare facilmente e

con i quali sperimentare, è nata al Massachusetts Institute of Technology (MIT). Computer e Software, motori, telaio e sensori sono racchiusi in piccoli e maneggevoli oggetti didattici.

possono essere dunque diverse, a seconda delle modalità, degli strumenti e delle finalità con cui si propongono.

Durante le sperimentazioni svolte nel presente lavoro sono state utilizzate tutte tali modalità: alcune solo marginalmente (come gli esperimenti storici e la robotica); altre, come il laboratorio multimediale e quello di misure, in taluni casi significativi, mentre il laboratorio interattivo, fatto di materiali poveri e soprattutto hands on, è stato alla base delle attività proposte. Come anticipato e come descriverò meglio in seguito, i laboratori di ricerca universitari sono stati poi il valore aggiunto a molte delle sperimentazioni fatte con le scuole. Accanto al tipo di “laboratorio” utilizzato, la metodologia usata nella ricerca è stata prevalentemente di tipo IBSE (che può essere definito come un processo di scoperta dove ogni allievo formula ipotesi, conduce esperimenti e fa osservazioni); ad essa dedicherò dunque un paragrafo in seguito.

Il laboratorio, possiamo dire in definitiva, è “l’opportunità della quale la scuola deve avvalersi per tornare alla realtà e ai suoi problemi” (De Bartolomeis, 1978).