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Questo sistema basato sulla dismisura ci porta in un vicolo cieco […]. Dire che una crescita infinita è incompatibile con un mondo finito e che le nostre produzioni e i nostri consumi non possono superare le capacità di rigenerazione della biosfera sono ovvietà su cui non è difficile trovare consensi. Ma molto più difficile è trovare consensi sui fatti altrettanto incontestabili che quelle produzioni e quei consumi devono essere ridotti63.

Con queste parole Serge Latouche introduce la sua ricerca con cui si propone di dimostrare che è diventato indispensabile ripensare criticamente

62

Ibidem. 63

l’ideologia dominante della crescita illimitata e che occorre proporre un cambiamento radicale degli stili di vita64.

Lo studioso riprende le argomentazioni di studiosi autorevoli, in particolare quelle di Cornelius Castoriadis65, di François Flahaut66 e di Paul Ariès67, e

collega i suoi studi alle riflessioni dei movimenti ecologisti.

Con quella parte della comunità scientifica impegnata a studiare gli effetti di ciò che comunemente viene chiamato sviluppo, lo studioso condivide la convinzione che le conseguenze della ricerca di massimizzazione dei profitti da parte del capitale finanziario sta comportando il rischio di estinzione della vita del pianeta, la riduzione della società a mero strumento della produzione e dei consumi e il relegare gran parte dell’umanità nell’esclusione.

Se si vuole evitare di arrivare ad un punto di non ritorno, occorre smascherare l’inganno di quel che viene indicato come sviluppo sostenibile e dotarsi di un’altra logica, che l’autore indica nella decrescita, cioè di una idea e di conseguenti comportamenti di vita […] nella quale si vivrà meglio

lavorando e consumando di meno68.

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I primi ad occuparsi del tema della compatibilità fra la crescita illimitata e la vita sulla terra furono i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology che, su incarico del Club di Roma, nel 1972 produssero un Rapporto che individuava nella crescita, con le caratteristiche che si sono venute affermando in particolare nel corso del ’900, la principale responsabile dell’alterazione delle condizioni del pianeta: consumo delle risorse non rinnovabili, inquinamento, distruzione degli ecosistemi.

65

C. Castoriadis (2005), Une socété à la derive entretiens et dédats 1974-1997, Paris, SEUIL. 66

F. Flahaut (2005), Le paradoxe di Robinson. Capitalisme et societé, Pari, Mille et une nuits. 67

P. Ariès (2005), Décroissance ou barbarie, Lyon, Golias. 68

Secondo lo studioso, il concetto di sviluppo sostenibile, enfatizzato dalle multinazionali e dalle pressioni a livello delle politiche internazionali di cui Henry Kissinger fu il profeta, confonde, cerca di distogliere l’attenzione dal dato evidente che la crescita, secondo il modello fin qui conosciuto, non è più sostenibile.

Si tratta di un’intuizione abbozzata già da Thomas Malthus69, dimostrata

scientificamente dalla seconda legge della termodinamica di Sadi Carnot70

e sviluppata da Sergej Podolinskj71, che fu il primo ad individuare nella relazione fra le leggi della termodinamica e l’economia il rischio ecologico. Dopo questi primi studi, occorrerà attendere un secolo perché, alla fine degli anni '70, per merito in particolare dell’economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen72, si giungesse a chiarire che il processo di produzione

non è un processo reversibile, ma di natura entropica, cioè un processo che esclude la possibilità di una crescita senza limiti, essendo le risorse naturali limitate ed essendo i rifiuti e l’inquinamento un prodotto irreversibile dell’attività economica. Di qui l’urgenza di superare l’irresponsabile separazione fra sistema produttivo e natura, trascurata dalla scienza

69

T. R. Malthus pubblicò nel 1798 un Saggio anonimo sul principio della popolazione per quanto riguarda il futuro cambiamento della società con le speculazioni e le osservazioni degli scrittori W. Godwin, M. Condorcet, che verrà poi ripubblicato con indicazione dell’autore da Oxford University Press nel 1803 col titolo Saggio sul principio della popolazione con un punto di vista sull’effetto del passato e del presente sulla felicità dell’uomo.

70

S. Carnot (1824), Réflexions sur la puissance du feu et sur les machines propres à développer cette puissance, Paris, Bracheliere Librari.

71

S. Podolinskjcj (1880), Il lavoro umano e la sua relazione con la distribuzione di energia, saggio pubblicato nella rivista Slovo, San Pietroburgo, che venne poi tradotto e pubblicato nel 1885, con il titolo Il socialismo e l’unità delle forze fisiche, dalle riviste La revue socialiste in Francia, LA Plebe in Italia e Neue Zeit in Germania.

72

economica tradizionale, e di adottare un riferimento concettuale e conseguenti comportamenti bioeconomici, cioè non dimenticare che le attività economiche sono situate all’interno della biosfera.

La nostra sovracrescita economica si scontra con i limiti della finitezza della biosfera. La capacità rigeneratrice della terra non riesce più a seguire la domanda: l’uomo trasforma le risorse in rifiuti più rapidamente di quanto la natura sia in grado di trasformare questi ultimi in nuove risorse73.

Essendo il sistema economico capitalistico condannato ad aumentare costantemente la produzione ed i consumi poiché, se questi rallentano, ne conseguono crisi, disoccupazione e nuove povertà, occorre cercare un’altra strada.

I conservatori hanno in più occasioni proposto politiche di riduzione delle nascite74. Si tratta di una falsa soluzione, perché nasconde il vero problema

che è la dismisura del nostro sistema economico e una soluzione inaccettabile se viene imposta e non è invece il risultato di una scelta delle persone.

Una prospettiva realistica può determinarsi solo con un radicale cambiamento del sistema economico e degli stili di vita, scelta che, per non

73

S. Latouche (2008), Op. cit., p. 34. 74

Jean-Pierre Tertrais (2004), Du dévellopement à la décroissance. De la nécessité de sortir de l’impasse suicidare du capitalisme, Paris, Monde libertarie, riferisce che M. King, uno dei responsabili delle strategie demografiche americane, negli anni '70, suggeriva: Tentate la pianificazione familiare, ma se non funziona, lasciate morire i poveri poiché costituiscono una minaccia ecologica.

configurarsi come una utopia da sognatori, dovrà essere tradotta in progetto politico.

Senza l’ipotesi che un altro mondo è possibile non c’è politica, c’è soltanto la gestione amministrativa degli uomini e delle cose75.

Sono otto i cambiamenti interdipendenti che Serge Latouche individua come riferimenti che debbono orientare un progetto politico di decrescita:

Rivalutare: la responsabilità verso la natura e verso gli altri, compresi

coloro che non sono ancora nati, è un valore da far risorgere dall’oblio in cui è stato relegato dall’individualismo liberista.

Riconcettualizzare: occorre una ridefinizione dei concetti di ricchezza e di

povertà, concetti alterati dalla mercificazione della natura e degli uomini.

Ristrutturare: il superamento dell’economia di rapina del capitalismo

richiama la necessità di ricercare un diverso modello produttivo e delle relazioni sociali.

Ridistribuire: è un’opera di giustizia che riguarda la restituzione

dell’immane debito del Nord nei confronti del Sud del mondo e la ripartizione delle risorse all’interno di ogni società.

Rilocalizzare: restituire un rapporto fra la cultura, la politica, l’economia e

il vissuto quotidiano ed i territori. Non si tratta di localismo, ma di radicare

75

il progetto collettivo della decrescita nei diversi territori, intesi come luoghi di vita da salvaguardare e di cui aver cura nell’interesse di tutti.

Ridurre: ridurre consumi e sprechi e il tempo di lavoro, che potrebbe essere

ripartito affinché tutti possano accedervi, restituisce senso a dimensioni della vita che sono state umiliate e cancellate. Ridurre non significa tornare indietro, ma distinguere, utilizzando la terminologia di John Maynard Keynes, fra bisogni assoluti, che hanno una ragione naturale, e bisogni

relativi, indotti dall’economia della sovrapproduzione e dello spreco.

Consumare meno risorse e realizzare un di più di qualità di vita.

Riutilizzare/riciclare: sono numerosi gli esempi già attivi che suggeriscono

la concreta possibilità di un uso delle cose che rispetti l’ambiente di vita e le persone.

Lo studioso individua infine un riferimento concettuale e di stile di vita che è trasversale agli otto comportamenti, identificandolo nel verbo “resistere”. È interessante ritrovare il riferimento alla resistenza come centrale in studiosi di diverse discipline. In particolare le riflessioni di Tzvetan Todorov che sostiene il concetto che democrazia significa resistenza76, ed il contributo di Mariagrazia Contini che al tema dello scarto e della resistenza ha dedicato un suo studio che apre a una prospettiva educativa “ecologica”:

Resistenza, allora, vuol dire anche “investire” in pensieri e pratiche di cura rivolgendosi ai “capitoli” esistenziali attualmente più “innaturali”: 76

distanti e difformi dalla triade che ha rovinosamente dominato lo scenario del mondo cosiddetto “sviluppato” - denaro, potere, successo – e centrati sulla tensione ad arricchire di senso e di possibilità l'esistenza propria, degli altri, di tutti i viventi attraverso l'impegno etico a costruire spazi di emancipazione per chi è in vario modo oppresso, legami di solidarietà con gli uguali e con i diversi, stili di convivenza pacifica al cui interno anche la conflittualità possa darsi come occasione di confronto e di negoziazione, anziché di sopraffazione e di violenza77.

La proposta della decrescita nasce dalla consapevolezza che il sistema capitalistico è inevitabilmente avviato verso l’implosione e, affinché si realizzi una svolta positiva per l'umanità, occorre costruire le condizioni perché le società si assumano la responsabilità di un radicale cambiamento e di un impegno istituente nella cultura, nella economia e nei suoi rapporti di produzione, nelle strutture del diritto e delle regole.

Per secoli gli aumenti di produttività sono stati trasformati in crescita del prodotto anziché in decrescita dello sforzo […]. Si può immaginare una transizione più o meno lunga, durante la quale gli aumenti di produttività saranno trasformati in riduzione del tempo di lavoro senza intaccare i salari (e comunque non i più bassi) né la produzione finale, salvo trasformarne il contenuto […]. La nostra concezione della società della decrescita non è né un impossibile ritorno all’indietro né un compromesso

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con il capitalismo. È un “superamento” (se possibile senza eccessivi traumi) della modernità78.