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La crisi economica che, contraddicendo le meraviglie millantate dalla New

Economy, si è presentata dal 2008 con tutte le sue drammatiche

conseguenze sociali e che sembra non aver fine, è il punto di partenza delle riflessioni critiche di Edmondo Berselli85 sul liberismo che ha caratterizzato

gli ultimi decenni e della ricerca dello studioso di una prospettiva di riconciliazione fra economia e giustizia. Gli effetti dell’illusione che aveva consentito di credere che la deregulation avrebbe creato vantaggi per tutti, si sono materializzati in una catena di nuove povertà e nuove ingiustizie: il capitale finanziario ha fatto affari in tutto il mondo ed è diventato tanto potente da condizionare i governi e le loro politiche, mentre nella vita delle persone si sono accentuate le ineguaglianze e le esclusioni. Il Tesoro americano, la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale garantivano ottimistiche previsioni sul funzionamento di un mercato finalmente liberato dal fardello degli Stati.

84

Ivi, p. 226. 85

E. Berselli (2010), L’economia giusta. Dopo l’imbroglio liberista, il ritorno di un mercato orientato alla società. Una via cristiana per uscire dalla grande crisi, Torino, Einaudi.

Sul piano della cultura è di Margaret Thatcher il riferimento che ha poi dominato incontrastato: La società non esiste. Esistono solo gli individui86.

Secondo lo studioso, anche la capacità critica della sinistra si è andata spegnendo nel corso dei trent’anni in cui le correnti culturali liberiste si sono impadronite del campo e l’ebbrezza del consumo gratificava i singoli a spese delle comunità e delle generazioni future.

La dirigenza della sinistra europea non ha grandi progetti, non ha analisi, non ha soluzioni […]. E, in effetti, non ha prodotto neanche un’idea forte dall’epoca del welfare state87.

Nel deserto delle riflessioni e delle proposte, fra le poche voci di resistenza, Edmondo Berselli richiama l’attenzione sul contributo di alcuni studiosi laici e di alcuni documenti della Chiesa cattolica, fra i quali ritiene di individuare elementi di seria condivisione. Lo studioso ricorda che Karol Wojtyla, di fronte alle immani ingiustizie del sistema economico verso i più deboli, riconosceva la presenza di grani di verità nell’ideologia marxista e mette a confronto le domande che, nella ricorrenza del centenario della

Rerum Novarum, si poneva Giovanni Paolo II, una riflessone che Anthony

Giddens attribuisce a Daniel Bell ed un passo della Caritas in Veritate di Benedetto XVI:

[…] si può dire che, dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi 86

Intervista di Douglas Keay a Margareth Tatcher per Woman’s Own, 31/10/2008, p. 8. 87

dei Paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società? […]. La risposta è ovviamente complessa. Se con “capitalismo” si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di “economia di impresa”, o di “economia di mercato”, o semplicemente di “economia libera”.

Ma se con “capitalismo” si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa88.

La cultura si è separata dall’economia e dalla vita sociale. Il capitalismo dipende da un “puritanesimo” secolare nella sfera della produzione, ma si è arreso agli imperativi del piacere e del gioco in quella del consumo. Il liberalismo (di nuovo nell’accezione americana) incoraggia la libertà individuale e la sperimentazione nell’arte e nella letteratura così come nella vita economica. E tuttavia, agli occhi di Bell, tale sperimentazione, allorquando penetra nelle aree della vita familiare, della sessualità e dell’esperienza morale in generale, produce un individualismo sfrenato che minaccia la struttura sociale e crea il vuoto. “Nulla è proibito” e “tutto 88

K. Wojtyla (1991), Lettera enciclica “Centesimus Annus”: L'insegnamento sociale della chiesa dalla Rerum Novarum ad oggi, Piemme, Milano.

dev’essere esplorato”: l’assenza di un sistema di credenze morali radicate è la contraddizione culturale della società, la più grave minaccia alla sua sopravvivenza89.

L’aumento sistemico delle ineguaglianze tra gruppi sociali all’interno di un medesimo Paese e tra le popolazioni dei vari Paesi, ossia l’aumento massiccio delle povertà in senso relativo, non solamente tende a erodere la coesione sociale, e per questa via mette a rischio la democrazia, ma ha anche un impatto relativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del “capitale sociale”, ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile90.

Nelle citazioni soprariportate c’è la consapevolezza che le società hanno conosciuto lo sviluppo quando hanno saputo distribuire con sufficiente equità il benessere ottenuto dalle attività economiche.

Ora, aggiunge Edmondo Berselli, è indubbiamente difficile, dopo aver condiviso per decenni il modello liberista, essere capaci di individuare una prospettiva diversa, ma non si può certo fare a meno di provarci. Non partiamo dal nulla. Pur non trascurando i grandi e complessi cambiamenti introdotti dalla globalizzazione, il modello sociale che ha garantito maggiore benessere, democrazia e pace in Europa nei sessant’anni che abbiamo lasciato alle spalle costituisce un riferimento fondamentale.

89

A. Giddens (1997), Oltre la destra e la sinistra, Bologna, Il Mulino. 90

Perché il modello europeo?

Michel Albert91 nel confrontare il modello americano e quello europeo,

rispetto al primo in cui, come nell’Inghilterra della Thacher, le imprese sono dipendenti dal mercato finanziario, afferma che in Europa:

[…] si è assistito a una crescita più lenta, ma anche alla creazione di ampi settori di ceto medio, e a un’interazione virtuosa fra il mercato e il welfare. C’è l’impresa, da un lato, collocata sul mercato, dentro i meccanismi della concorrenza; dall’altro lato la scuola pubblica, la sanità generalizzata, l’apparato amministrativo, il sistema pensionistico, l’assistenza sociale. Un’evidente corporatizzazione dell’attività economica frenava o impediva le scalate azionarie, mentre una forte presenza sindacale bilanciava il potere imprenditoriale92.

Furono gli economisti ed i giuristi della Scuola di Friburgo, che facevano riferimento alla rivista Ordo, ad individuare la necessità di un modello che consentisse un equilibrio fra il mercato, i diritti dei singoli ed il senso di comunità.

Un modello in cui lo Stato regola, corregge, integra e interviene per evitare che i diritti delle persone non vengano schiacciati dalla rapacità del mercato.

91

M. Albert (1993), Capitalismo contro capitalismo, Bologna, Il Mulino. 92

All’epoca della globalizzazione, si chiede lo studioso, è ancora percorribile la prospettiva di un’economia regolata dagli Stati e temperata dal welfare?

Gli aspetti della crisi e delle sue soluzioni, nonché di un futuro nuovo possibile sviluppo, sono sempre più interconnessi, si implicano a vicenda, richiedono nuovi sforzi di comprensione unitaria e una nuova sintesi umanistica93.

Come potrebbe realizzarsi tale auspicata sintesi umanistica?

Edmondo Berselli individua la necessità di prepararsi ad una curva della

crescita lenta, cioè ad una condizione in cui non sarà più possibile

mantenere i precedenti stili di vita e di consumo.

È una prospettiva che trova ampie condivisioni con la decrescita proposta da Serge Latouche e che, così come viene argomentato anche dallo studioso francese, necessita di solidi riferimenti culturali su cui poggiare.

Abbiamo la necessità di imparare a vivere consumando di meno. Non è facile, provenendo da un’esperienza di eccessi, ma non abbiamo alternative.

La scelta è fra essere poveri nella consapevolezza della propria condizione storica e antropologica, da un lato, e dall’altro essere poveri nell’assoluta inconsapevolezza di ciò che è avvenuto, nella sorpresa dell’indicibile, e quindi soggetti a tutte le frustrazioni possibili. Occorre accingerci a costruire una cultura, forse non della povertà, bensì della minore 93

ricchezza. Di un benessere più limitato, e sapendo che questo minor benessere si ripercuoterà su ogni aspetto della nostra vita […]. Proviamoci, con un pò di storia alle spalle, con un pò di intelligenza e d’umanità davanti94.

Recentemente, in un documento di Papa Francesco, viene ribadita la necessità di costruire una cultura di riferimento per un cambiamento radicale degli stili di vita e che promuova la valorizzazione delle risorse umane:

[…] La situazione di crisi sociale ed economica nella quale ci troviamo può spaventarci, disorientarci […]. La grande tentazione è fermarsi a curare le proprie ferite e trovare in questo una scusa per non sentire il grido dei poveri e la sofferenza di chi ha perso la dignità di portare a casa il pane perché ha perso il lavoro […]. E il padrone di questa omologazione chi è? È il denaro. Prendere l’iniziativa in questi ambiti significa avere il coraggio di non lasciarsi imprigionare dal denaro e dai risultati a breve termine diventandone schiavi, occorre un modo nuovo di vedere le cose! […]. Oggi si dice che non si possono fare le cose perché manca il denaro […]. Il vero problema non sono i soldi, ma le persone: non possiamo chiedere ai soldi quello che solo le persone possono fare o creare. I soldi da soli non creano sviluppo, per creare sviluppo occorrono persone che hanno il coraggio di prendere l’iniziativa. Prendere l’iniziativa significa sviluppare un’impresa capace di innovazione non solo tecnologica; occorre rinnovare anche le relazioni di lavoro sperimentando nuove forme di 94

partecipazione e di responsabilità dei lavoratori, inventando nuove formule di ingresso nel mondo del lavoro, creando un rapporto solidale fra impresa e territorio. Prendere l’iniziativa significa superare l’assistenzialismo. […]. Si tratta di far circolare le capacità, l’intelligenza, le abilità di cui le persone sono state dotate. Liberare i talenti […] riguarda in particolare i giovani […] dobbiamo investire decisamente su di loro e dare loro molta fiducia […]95.

2.7 Il ruolo dell’educazione nella ricerca di una prospettiva di