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Michael Young pubblicò nel 1958 uno studio che ha avuto una recente riedizione in lingua italiana: L’avvento della meritocrazia53.

Si tratta di un saggio in cui l’autore immagina gli effetti che si sarebbero verificati nel corso di un secolo in cui in Inghilterra fossero state applicate rigorosamente le regole meritocratiche in tutti i ruoli sociali: il nepotismo della vecchia società preindustriale ed i suoi privilegi di nascita sarebbe stato finalmente superato, i nuovi ruoli a tutti i livelli della organizzazione sociale sarebbero stati assegnati, dopo una formazione scolastica basata sul merito, a chi fosse stato riconosciuto capace e meritevole. Il sociologo inglese entra dunque nel merito di uno dei temi maggiormente mitizzati anche nel presente e che sono stati, e sono tuttora, una bandiera dei liberisti, e dimostra ironicamente l’infondatezza di affidare le realizzazioni a quel criterio che il filosofo John Rawis definisce “lotteria naturale”. Senza prendere in considerazione le condizioni di appartenenza di classe, etnia e di genere54, verrebbe infatti inevitabilmente premiato, con un vantaggio di

tipo sociale, chi già gode di un vantaggio “naturale”.

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M. Young (2014), L’avvento della meritocrazia, Roma/Ivrea, Comunità Editrice. 54

J. Rawis (1982), Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, p. 81, ed. or. 1971, A Theory of Justice, Cambridge Blixnap Press of Harvard University Press.

La conseguenza, nella rappresentazione ipotizzata da Michael Young, sarebbe una società da incubo, in cui si confronterebbero tecnici da un lato e populismi dall’altro, e in cui il quoziente dell’intelligenza (Q.I.), oltre che metro di misura ordinario, potrebbe venir rilevato ancor prima della nascita, per poter così destinare da subito le persone ai compiti che dovranno poi ricoprire a livello sociale. Si potrebbe in questo modo separare fin dalla nascita gli immeritevoli dai meritevoli, evitando di far perdere a questi ultimi tempo e attenzioni, e convincendo gli svantaggiati ad accettare la loro condizione, in quanto scientificamente dimostrata.

L’educazione non può mai trascurare le condizioni ambientali e la realizzazione delle persone, non può mai prescindere dalle condizioni politiche, economiche e sociali. Per cui l’approccio meritocratico, basato sul dotare di risorse e maggiori attenzioni i soggetti con maggiori capacità, non fa che aggiungere ingiustizia ed esclusione.

Le competenze non sono un dato, ma una realizzazione che deve essere resa possibile ed incrementabile per chiunque.

La Costituzione della Repubblica Italiana indica a questo fine, all’art.3, alcuni punti programmatici: il principio di uguaglianza formale che afferma che:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.

e il principio di uguagliata sostanziale che aggiunge:

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Martha Nussbaum ci ricorda che, per descrivere i compiti del buon maestro, Aristotele, come farà don Lorenzo Milani negli anni '60 del '900, propone la metafora del medico che accompagna il paziente dalla malattia alla guarigione e sottolinea la priorità di preoccuparsi di coloro che non sono ancora in grado di realizzarsi pienamente, piuttosto che di coloro la cui formazione è già avanzata.

Queste convinzioni non erano certamente scontate nella Grecia del sesto secolo, ma non lo sono neppure oggi, come dimostra l’enfasi del dibattito sul tema della meritocrazia.

Se infatti, argomenta Martha Nussbaum, condividiamo ciò che afferma Sesto Empirico, e cioè che non vi è argomento che possa convincere chi è affamato o assetato che egli non è affamato o assetato, è assai più agevole convincere coloro che non hanno avuto l’opportunità di conoscere alternative, che l’istruzione, la cultura e le competenze non sono aspetti degni di apprezzamento e che la loro situazione di vita non possa che essere accettata, in quanto pregiudizialmente ritenuta immutabile.

La realizzazione umana fa riferimento ad una pluralità di funzioni che hanno però sempre un aspetto comune e caratterizzante la specie: l’attività razionale. L’educazione e la politica non possono di conseguenza limitarsi ad assicurare condizioni materiali sufficienti, ma debbono impegnarsi affinché i soggetti acquisiscano gli strumenti per scegliere razionalmente. Per Karl Marx, ricorda la studiosa americana, un soggetto che non è libero di scegliere ed è schiacciato dalle necessità immediate vive una dimensione disumanizzante:

S’intende che l’occhio umano gode in modo diverso dall’occhio rozzo, inumano, l’orecchio umano in modo diverso dall’orecchio rozzo […]. Inoltre il senso, prigioniero dei bisogni pratici primordiali, ha soltanto un senso limitato. Per l’uomo affamato non esiste la forma umana dei cibi ma soltanto la loro esistenza astratta come cibi; potrebbero altrettanto bene essere presenti nella loro forma più rozza, e non si può dire in che cosa differisca questo modo di nutrirsi da quello delle bestie55.

La ragion pratica, cioè il pensiero critico, che assieme al sentimento di affiliazione, cioè un agire che implica sempre la relazione con gli altri, sono le funzioni che caratterizzano l’umano rispetto agli altri esseri viventi. Ma il pensiero critico e il senso di appartenenza sono funzioni che, per potersi sviluppare, richiedono necessariamente delle condizioni materiali ed istituzionali che ne rendano possibile la formazione.

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Per la cultura liberista la libertà consiste nel lasciare ai singoli la decisione di scegliere ciò che è bene per loro e ciò che soddisfa i loro desideri, nascondendo che i desideri sono manipolabili e che non è facile avere consapevolezza dell’esistenza di alternative rispetto alla condizione vissuta. Se è solo il merito a venire premiato, chi ha successo potrà accreditarsi stima e risorse, mentre chi non potrà dimostrare particolari abilità sarà relegato ad una povertà senza prospettive.

[…] il trionfo dell’ideologia meritocratica porta inesorabilmente alla sua conclusione logica, vale a dire allo smantellamento delle norme previdenziali, di quella assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali, oppure alla riformulazione di tali norme - un tempo considerate un indiscriminato obbligo di confraternita e un diritto universale - in un atto di elemosina concessa da chi ne ha voglia a chi ne ha bisogno56.

Ne consegue che i sistemi educativi non possono trascurare di indagare che cosa gli individui siano in condizione di fare, di essere e, perfino, di desiderare.

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