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Martha Nussbaum è consapevole che la sua scelta di ritenere fondamentale il contributo di Aristotele nelle riflessioni sulla cultura e le politiche contemporanee potrebbe apparire anacronistica. Ma, argomenta la studiosa, se entriamo nel merito delle contraddizioni che caratterizzano il nostro vissuto, il pensiero del filosofo greco dimostra tutta la sua concretezza ed attualità.

A fondamento della vita sociale c’è sempre una priorità: la priorità del bene. Così, mentre il liberismo ritiene che la bontà di un ordinamento politico consista esclusivamente nella produzione di ricchezza economica, una ricchezza che viene misurata con lo strumento del PIL, cioè in base alla quantità di denaro che le persone si scambiano, né si chiede che cosa tale ricchezza determini per la vita delle persone e neppure come essa sia distribuita, per il filosofo greco la quantità dei beni materiali non è che un mezzo e non un fine. Aristotele ritiene inoltre che occorra valutare che cosa tali beni producano nella realizzazione delle persone, che cosa essi promuovano e che cosa ostacolino. Il pensiero liberista limita l’idea di valore alla quantità.

Ma più è necessariamente meglio?

Rispetto alla distribuzione delle risorse, il liberismo ha un’idea caritatevole e prende in considerazione l’assegnazione di sussidi ai soggetti svantaggiati

in relazione a problematiche fisiche o mentali. Ciò non fa che rendere croniche le condizioni di partenza ed incentiva una logica assistenzialistica. Per ridurre gli svantaggi, che da sempre hanno prodotto disumanizzazione ed esclusione, occorre dotarsi di un’altra logica, quella della valorizzazione delle risorse, in particolare delle risorse umane. Ne consegue che le istituzioni debbono pensare alla distribuzione delle risorse in modo che questa risulti funzionale allo sviluppo delle competenze delle persone, articolando un sistema di compensazioni che rendano possibile l’esercizio delle capacità più propriamente umane.

Un superamento critico delle logiche prese tradizionalmente a riferimento per trattare i temi della giustizia viene individuato da Martha Nussbaum nell’approccio delle “capacità”, approccio che, come sostiene la studiosa è

sviluppato in modi diversi da me in filosofia e da Amartya Sen in economia57.

L’impegno di Amartya Sen58 riguarda la misurazione comparativa della

qualità della vita, mentre Martha Nussbaum si concentra sulla ricerca dei riferimenti necessari alla realizzazione ed alla dignità delle persone. La studiosa elenca le capacità umane indispensabili per una vita dignitosa, capacità che possono essere perseguite:

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M. C. Nussbaum (2007), Le nuove frontiere della giustizia, Bologna, Il Mulino, p. 87. 58

solo trattando ognuno come un fine e nessuno come un mero strumento per fini altrui59.

Esiste una soglia al di sotto della quale il funzionamento delle persone non può essere considerato umano ed è dunque indispensabile che i soggetti superino tale soglia.

Il criterio tradizionale di misura dello sviluppo e di comparazione fra le diverse realtà territoriali è il prodotto interno lordo, si tratta di un criterio che non si cura di indagare la distribuzione delle risorse e che neppure si interroga riguardo all’utilizzo di esseri umani in funzione del benessere di altri. L’aspettativa di vita, l’istruzione, il lavoro, la libertà politica e le relazioni fra le culture ed i generi non sono in collegamento diretto con la ricchezza prodotta.

Anche l’utilizzo del criterio della media per le misurazioni, criterio che non consente di capire quali siano le condizioni di chi sta al vertice e di chi è invece fra gli ultimi della condizione sociale, non è un criterio che può aiutare a rendere conto della condizione di marginalità ed esclusione di tanti e ad indirizzare le scelte delle politiche verso l’obiettivo di trattare le persone come un fine. Pure le ricerche sul grado di soddisfazione delle persone non aiutano a capire, essendo logico che i soggetti adattino le proprie convinzioni a ciò che ritengono sia nelle loro possibilità e a ciò che la società pensa di loro.

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L’attraversamento critico delle teorie utilitariste e la ricerca di un criterio che ci consenta di capire se e quanta giustizia sociale una società stia realizzando conferiscono forza all’approccio delle capacità. Tale approccio si propone di capire che cosa le persone siano capaci di fare e di essere, assumendo a riferimento la dignità dell’essere umano e di una vita che si possa definire dignitosa. L’indicatore del benessere non può essere limitato alle risorse,

poiché gli esseri umani hanno bisogni differenziati e anche capacità diverse di convertire le risorse in funzionamenti60.

Martha Nussbaum richiama la distinzione aristotelica fra capacità interne e

capacità esterne. Le prime fanno riferimento alle condizioni personali degli

individui, le seconde sono quelle che mettono a disposizione dei soggetti le condizioni per lo sviluppo delle rispettive capacità personali. Le capacità

interne sono favorite dal sistema educativo e sanitario, ma hanno anche la

necessità che le istituzioni garantiscano a chi ha una determinata capacità di utilizzarla e questo comporta che dovrà essere prestata attenzione alle condizioni di lavoro e della vita sociale e personale degli individui, in particolare di coloro che non godono della possibilità di scegliere più che di coloro che invece vivono tale opportunità. È evidente l’importanza dell’educazione per la formazione delle diverse funzioni umane ed, in primo luogo fra queste, della partecipazione alla propria realizzazione e all’esercizio della libertà di scelta.

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Nella concezione aristotelica, a differenza della concezione liberista, per la quale è la libertà di mercato il riferimento da cui far discendere le regole di vita e le politiche istituzionali, la libertà di scelta degli esseri umani non è qualcosa di spontaneo e non può svilupparsi incontrando condizioni naturali e sociali avverse. La capacità di scegliere di realizzare la propria umanità implica necessariamente l’esistenza delle condizioni di natura sia materiale che sociale che lo consentano.

Martha Nussbaum ritiene che, in questo senso, è esemplare il modello di stato sociale scandinavo, il cui riferimento adottato per determinare la qualità della vita delle persone consiste nella convinzione che le persone sono soggetti attivi che cercano di realizzarsi in diverse aree distinte. Ne consegue che anche il metodo per valutare la qualità della vita delle persone deve far riferimento a più dimensioni. Secondo Robert Erikson ciò che si cerca quando si analizza la vita dei cittadini:

[…] è la loro capacità […] di controllare in modo consapevole e diretto le loro condizioni di vita. In altri termini, la qualità della vita dei consociati sarà un’espressione dell’ampiezza del loro agire61.

Lo studioso scandinavo entra poi nel merito della differenza fra il liberismo e la socialdemocrazia:

Ritengo che la povertà sia il principale problema legato al benessere per il liberismo sociale, mentre la disuguaglianza lo è per la socialdemocrazia 61

R. Erikson (1969), in M. C. Nussbaum (2003), Capacità personale e Democrazia Sociale, Reggio Emilia, Diabasis, p. 173.

[…]. Nella socialdemocrazia gli interventi pubblici non sono soltanto un meccanismo supplementare, ma rivestono la stessa importanza del mercato […] un modello ridistribuivo di politiche sociali ingloba meccanismi funzionali a far fronte alle necessità essenziali di tutti i cittadini62.

L’approccio del liberismo e della socialdemocrazia al tema dell’uguaglianza diverge radicalmente: il libero mercato ed elemosine agli indigenti è la logica a cui fa riferimento il primo, la garanzia di uguali capacità di realizzazione delle persone è la logica della seconda.