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L’approccio dell’empowerment di comunità

4.1 Per una pedagogia dell’adolescenza

4.1.3 L’approccio dell’empowerment di comunità

Il modello metodologico che si propone in questo paragrafo può venire collocato all’interno dell’approccio dell’empowerment di comunità, sulla base dell’impianto teorico rielaborato da Branca e Colombo (2001)258.

L’approccio dell’empowerment ritiene fondamentale che un intervento educativo, per essere efficace ed opportuno, venga modellato sulla base dei bisogni del target destinatario. Di conseguenza viene qui presentata la meta-progettazione di un intervento di educazione ai generi, pensato per un target di adolescenti, utilizzando l’approfondimento effettuato nel capitolo precedente come analisi dei bisogni del target di riferimento. Sono quindi stati messi in relazione i bisogni osservati come tipici dell’età adolescenziale, nel contesto specifico dell’attuale società postmoderna, e gli obiettivi che si prefigge l’intervento di educazione ai generi.

Naturalmente i bisogni specifici variano al variare dei gruppi e dei singoli soggetti; di conseguenza sarà opportuno che ogni intervento educativo preveda un momento iniziale di emersione dei bisogni e negoziazione del percorso. Nell’approccio dell’empowerment di comunità questo momento è chiamato “contratto psicologico”259 ed ha esattamente la funzione di negoziare gli obiettivi del percorso

tra educatrici/ori e partecipanti. La funzione del contratto psicologico è, oltre che

258 Branca, P. C. (2001). Verso una pedagogia di comunità. In AA.VV., Territorio e lavoro di

comunità. Padova: CLEUP

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modellare l’intervento in modo che possa essere efficace, anche promuovere una cultura partecipativa di cittadinanza attiva.

In questo approccio la metodologia è considerata importante quanto i contenuti, ovvero si ritiene che ci debba essere coerenza tra i due aspetti, in quanto le modalità educative sono esse stesse veicolo di contenuti. Nella metodologia, infatti, si esprime il tipo di relazione che si intende instaurare tra soggetti. Il modello relazionale agito esprime una specifica prospettiva sociale ed una presa di posizione, ad esempio per quanto riguarda le relazioni di potere tra individui e tra gruppi all’interno della società.

Un modello relazionale inclusivo e partecipativo veicola di fatto dei valori democratici che, ancor prima di essere verbalizzati, sono vissuti e agiti in prima persona dagli attori in gioco, che ne sperimentano gli effetti su di se’ e li assimilano quindi per via esperienziale. In seguito, tramite la proposta di contenuti che facciano emergere questi processi e permettano la loro verbalizzazione, potrà avvenire anche la presa di coscienza delle dinamiche vissute ed agite durante il percorso educativo.

Come si è visto, per individuare i bisogni specifici del gruppo è necessaria un’indagine preliminare al suo interno. Ma allo stesso tempo i diversi studi psicologici presentati nel capitolo precedente hanno rilevato che esistono alcuni bisogni comuni, tipici della fase adolescenziale, legati alla necessità di svolgere determinati compiti di sviluppo.

Da questi bisogni tendenzialmente condivisi si possono quindi individuare alcuni possibili obiettivi generali dell’intervento di educazione ai generi con le/gli adolescenti.

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Per cominciare, rispetto al delicato compito di strutturazione del concetto di sé, l’educazione dovrebbe avere l’obiettivo di fornire ai soggetti quei modelli culturali e quegli strumenti critici che permettano di decodificare la complessità sociale, in modo da potervisi interfacciare e poter trovare la propria collocazione al suo interno. In quest’ottica, come affermano Gamberi, Maio e Selmi (2010)260, l’educazione ai

generi è un’educazione alla scoperta di sé e dovrebbe quindi avere l’obiettivo di non riproporre gli stereotipi dominanti, ma al contrario problematizzarli. In questo modo si darebbe un supporto ai soggetti nella fase di sviluppo, affinché possano acquisire degli strumenti critici che permettano loro di autonomizzarsi nel processo di definizione del sé e di farlo possibilmente in armonia con la società in cui vivono e sviluppano relazioni.

Seguendo questa logica, lo sguardo di più ampio raggio è quello della prevenzione del disagio individuale e collettivo a cui si riferisce Bellassai (2010)261, che può

derivare dalla difficoltà di integrare la propria dimensione di soggetto con le aspettative di cui si è oggetto rispetto al ruolo sociale. Inoltre, prevenendo il disagio, l’intento è di prevenire anche le ulteriori possibili conseguenze dello stesso, quali i fenomeni di discriminazione e violenza -come il bullismo, di cui si parlerà nel paragrafo successivo-, o comunque di fornire strumenti per rapportarsi a tali fenomeni in modo critico.

Rispetto allo sviluppo fisico e sessuale caratteristico dell’adolescenza, si può osservare come questa fase di cambiamento possa fornire degli input molto fertili riguardo alla tematica di genere, e di come, dal punto di vista cognitivo, lo sviluppo

260 Gamberi C., Maio M. A., Selmi G. (a cura di) (2010). Educare al genere. Riflessioni e strumenti

per articolare la complessità. Roma: Carocci

261 Bellassai, S. (2010). Dalla trasmissione alla relazione. La pedagogia della mascolinità come

riposizionamento condiviso nella parzialità di genere. In M. A. C. Gamberi, Educare al genere. Riflessioni e strumenti per articolare la complessità. Roma: Carocci

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del pensiero formale e riflessivo garantisca gli strumenti cognitivi di base per poter operare proficuamente sul processo di strutturazione del sé. Questo processo non potrebbe infatti avvenire allo stesso modo in un soggetto i cui strumenti cognitivi si limitassero, ad esempio, a quelli infantili.

Inoltre, l’obiettivo di fornire strumenti e modelli interpretativi sembra adeguato a rispondere alle esigenze delle/gli adolescenti -segnalate da Buday (2010)262- di

orientarsi di fronte alla pluralità di modelli di genere forniti dalla complessa società attuale e di definire ed accettare il proprio ruolo di genere sociale.

Infine è da osservare che i percorsi di educazione ai generi con questo tipo di target si svolgono all’interno di un gruppo di pari, al di fuori dell’ambito familiare. Tra gli obiettivi dell’intervento c’è quello di promuovere il confronto tra pari e favorire il processo di definizione collettiva di quei valori e parametri di riferimento che sono oggetto di ricerca per il processo di strutturazione del sé. L’aspetto del confronto tra pari è un ulteriore elemento che sembra rispondere al bisogno tipicamente adolescenziale, osservato da Pietropolli Charmet (2000)263, di elaborare

collettivamente tra pari i parametri per la definizione dell’identità di genere, cominciando in questo modo il processo di differenziazione dai modelli parentali introiettati.

D’altro canto, il ruolo delle/gli educatrici/ori è fondamentale per garantire la legittimazione di visioni, idee, valori differenti che emerge fisiologicamente da un gruppo eterogeneo di pari. Inoltre permette di mediare la frammentarietà e la

262 Buday E., Introduzione al capitolo “L’adolescente ama e si fa amare”, in Pietropolli Charmet G.,

Cirillo L., “Adolescienza. Manuale per genitori e figli sull’orlo di una crisi di nervi”, Edizioni San Paolo, Milano, 2010

263 Pietropolli Charmet G., I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte ad una sfida, Raffaello

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conflittualità derivate dalla compresenza di valori e parametri derivanti dal passato, maggiormente influenzati dalle visioni parentali e quelli del presente, influenzati in più larga misura dai pari. La mediazione delle/gli educatrici/ori garantisce quindi la tutela del bisogno adolescenziale, osservato da Erikson (1967)264, di percepire una

continuità nel cambiamento e di far evolvere la conflittualità come potenzialità di confronto e crescita collettivi.

Sulla base di quanto analizzato, esistono dunque metodologie partecipative, quale quella dell’empowerment di comunità, che si rivelano particolarmente efficaci rispetto all’obiettivo di costruire percorsi di educazione ai generi in cui obiettivi e metodologie corrispondano (e rispondano) ai bisogni fondamentali del target individuato: le/gli adolescenti.

In particolar modo si è osservato come i soggetti adolescenti, per le caratteristiche strutturali della loro fase di sviluppo, si configurino come un target particolarmente strategico rispetto ad un percorso di educazione ai generi che si prefigge degli obiettivi di prevenzione e contrasto a fenomeni di disagio, discriminazioni e violenza nell’ambito dell’identità di genere.

In questo senso si può pensare ad una pedagogia dell’adolescenza, intesa come l’elaborazione di metodologie adeguate a rispondere ai bisogni e ai desideri che caratterizzano questa fase evolutiva così delicata, ma anche piena di risorse e potenzialità.

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