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2.2 Il disagio maschile

2.2.1 La miseria

Ciccone (2009) parla di “miseria relazionale e umana”157, come di un aspetto

sostanziale del corpo e della realtà maschile, che ne informa gli atteggiamenti e i comportamenti.

Questa categoria è originata dalla riflessione sul concetto di asimmetria tra il corpo femminile e quello maschile nell’ambito della riproduzione. Rispetto al corpo della donna, infatti, capace di mettere al mondo la vita, l’uomo percepisce il proprio corpo ed il proprio ruolo come accessori, soprattutto all’origine della storia della specie umana, quando non si conoscevano ancora le proprietà fecondative del seme maschile. Proprio a causa di questo sentimento di inferiorità, secondo Ciccone

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(2009)158, gli uomini hanno costruito nel tempo e nello spazio strutture simboliche

che garantissero loro il ruolo primario, il potere e il prestigio che, nell’ambito del processo riproduttivo, non percepivano di avere.

Stando a queste premesse, per poter dare un senso alla propria esistenza, il genere maschile ha scelto di distaccarsi dalla propria corporeità, concepita come luogo femminile per eccellenza, e ricercare la propria realizzazione al di fuori di essa. Per questo motivo l’ordine simbolico patriarcale si basa su una netta differenziazione di identità e ruoli di genere, secondo la quale le donne sono associate alla dimensione naturale, corporea, dominata dall’emotività, mentre gli uomini sono collocati nella dimensione culturale, mentale, caratterizzata dalla razionalità.

Sulla base di questa sistematizzazione, le donne troverebbero il loro scopo esistenziale nella riproduzione, si realizzerebbero attraverso la procreazione e la cura della prole e della famiglia; ne consegue che agli uomini, apparentemente esclusi dal primato nell’ambito riproduttivo, non resti che cercare la propria realizzazione in luoghi al di fuori della famiglia, quali il lavoro e le relazioni con il mondo esterno, che permetteranno loro di sopperire alla percepita “inabilità” di procreare, colmando questa mancanza attraverso l’assunzione del ruolo di procacciatori di risorse e protettori della famiglia159.

Per valorizzare questa auto-collocazione nella dimensione esterna e razionale e permettere che la stessa garantisca il potere ed il prestigio necessari a riqualificare la propria identità ed il proprio ruolo nella società, il genere maschile ha dunque costruito le strutture che supportano il sistema gerarchico patriarcale. All’interno di

158 Ciccone, S., (2009). Essere maschi. Tra potere e libertà. Torino: Rosenberg & Sellier 159 Ibidem

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questa configurazione, la dimensione corporea e naturale alla quale è stata relegata la donna viene collocata necessariamente su un piano considerato socialmente marginale. In questo senso il corpo stesso viene svalutato e con esso le donne, ritenute ad esso succubi in modo imprescindibile.

A seguito di questa svalorizzazione del corpo, a maggior ragione per l’uomo sarà fondamentale rimarcare la propria distanza da esso e dalle dinamiche che lo coinvolgono. In relazione a questo conflitto maschile rispetto al corpo e ciò che lo riguarda, Ciccone (2009)160 osserva come questa attitudine, nel tempo, abbia

progressivamente impoverito la dimensione maschile, limitandone fortemente le potenzialità non solo corporee, ma anche emotive e relazionali. In questo senso viene intesa la miseria maschile.

Basti pensare al rapporto con i figli, all’interno del quale il contatto fisico e la dimensione corporea è fondamentale; oppure al rapporto tra uomini, limitato da fobie relative al mantenimento della propria immagine virile, che possono sfociare in atteggiamenti anche omofobi. Per non parlare del rapporto con le donne, di fronte alle quali un uomo si sente investito dell’aspettativa di soddisfare il modello di virilità che lui stesso ha costruito e continua a riprodurre, per creare un solido appiglio da cui attingere nella propria definizione identitaria. Questo modello di virilità, però, si abbatte contro di lui nel momento in cui il sottostare a questa rigida normatività si rivela psicologicamente insostenibile e, più che garantire la sicurezza del privilegio sociale, è causa di frustrazione, insoddisfazione per non riuscire a sostenere dei ruoli che sono calibrati sulla base di una scissione tra dimensioni della persona, quali corpo e mente, emotività e razionalità, natura e cultura.

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Questa scissione interiore non può che portare disagio nel vissuto maschile. A maggior ragione in un momento storico caratterizzato dall’instabilità e dall’incertezza sociale, che rendono ancor più difficile trovare conferma nella realizzazione personale in ambito lavorativo e all’interno delle classiche istituzioni sociali, quali la famiglia stessa.

Il ruolo degli uomini nella società sta cambiando, in funzione anche della trasformazione del ruolo delle donne, le quali, abituate a dover sottostare a una certa flessibilità ed avendo preso in mano da tempo la gestione della propria identità e della propria funzione sociale, riescono a destreggiarsi nella società dell’incertezza apparentemente meglio di quanto non riescano a fare gli uomini.

Inoltre la miseria maschile di cui parla Ciccone (2009)161 non va intesa come una

giustificazione vittimista rispetto al rapporto di dominio e alla conseguente violenza simbolica e materiale inflitta alle donne nel corso della storia. Questo disagio non è concepito come innato e strutturale nel corpo e nella psiche dell’uomo, ma piuttosto come una conseguenza della costruzione sociale della maschilità, operata sul fondamento dell’ordine simbolico patriarcale, per occultare la percezione della accessorietà del proprio sesso.

La rilevazione e la riflessione sulla miseria dell’uomo non è quindi da intendersi come una forma di autocommiserazione, ma vuole invece essere funzionale alla critica e alla decostruzione di questa struttura sociale. La prospettiva è quella di individuare nuove possibilità per il genere maschile di definire la propria identità ed il proprio ruolo nella famiglia e nella società, senza dover sottostare a

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rappresentazioni che si rivelano sterili ed oppressive, sia per gli uomini, sia per le donne e quindi per la società nel suo complesso.